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C’è una fonte segreta ed eterna. Continua a sgorgare, la sentite?

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Carmelo Veneto - pubblicato il 09/08/18
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La notte oscura di San Giovanni della Croce seduce e conquista anime a Dio, da secoli. In tanti hanno cantato e cercato di “dire”quella notte oscura…di Fra Iacopo Iadarola ocd

Il Santo Padre Giovanni della Croce non smette nei secoli di suscitare percorsi di santità e di poesia che, in fondo, sono due applicazioni di un medesimo Principio, quello di Dio poiētēs – “creatore”. In special modo, con il tema della notte, S. Giovanni ha toccato una delle corde più profonde del cuore umano, destinate in eterno a risuonare.

I suoi versi sul fenomeno mistico della notte oscura dell’anima (non solo la Noche oscura, ma anche nel Cantico Espiritual e nel Cantar del alma), infatti, sono stati citati e ripresi in innumerevoli rimodulazioni, come neanche Summertime di George Gershwin. Tralasciando le citazioni colte, l’ultima canzone dei Mienmiuaif (di cui abbiamo parlato varie altre volte), Mi ami anche di notte, è solo l’ultima di queste rivisitazioni: si pensi a The dark night of the soul di Loreena McKennit o allo strabiliante concept album di Danger Mouse e Sparklehorse, intitolato Dark night of the soul e contenente una canzone omonima interpretata dal regista psichedelico David Lynch.

Ma se in questi ultimi esempi bisogna riconoscere che il tenore teologico passa assolutamente in secondo piano rispetto alla suggestione lirica, in altri casi come quello, ad esempio, della musicista Cecilia Vettorazzi, a una composizione sublime si accompagna uno studio e una ricezione dottrinale altrettanto alti del messaggio del Santo di Fontiveros (il suo ultimo lavoro è un’originalissima orchestrazione polifonica del Cantico Espiritual).

A metà strada tra questi due opposti, furbescamente in senso buono, si situa Mi ami anche di notte, l’ultima creazione dei nostri Mienmiuaif con un testo minimal-kerigmatico e una melodia ammiccantemente indie rock. Il riferimento più pregnante stavolta, oltre naturalmente alla Noche oscura, è ad un altro gioiello poetico di S. Giovanni della Croce, il Canto dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per mezzo della fede (Cantar del alma), gioiello tanto splendido quanto buio e squallido fu il carcere di Toledo in cui lo compose (la Noche oscura invece venne composta soltanto dopo la sua rocambolesca evasione). Le coplas che lo costituiscono erano originariamente villancicos, canzoni villerecce, villanelle, cioè componimenti poetici di genere popolare, per lo più in dialetto, per lo più di carattere amoroso – se non erotico.



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Ma è la quintessenza del cattolicesimo, e del genio di S. Giovanni della Croce, questo volgere l’infimo al sublime: la villanella di S. Giovanni, prendendo a pretesto amorazzi notturni, ineffabilmente sonda gli abissali misteri della Trinità e della sua arcana comunione con l’anima, nel fondo della notte dell’anima, in cui sgorga quella fonte di vita che tutti cerchiamo, più o meno alla cieca, tanto in una tresca disperata quanto in una trappa: “più di una memoria esterna / hai parole di vita eterna” come canta Anita nel nostro pezzo.

Ma a questo punto non troviamo miglior modo per contestualizzare e recensire l’ultima prova dei Mienmiuaif che riproporre al lettore il testo della poesia di S. Giovanni della Croce or ora citato: da leggere, magari, dopo aver fatto partire Mi ami anche di notte a questo link. Dopo il viaggio, per chi vuole, si riatterri leggendo le parole di S. Giovanni Paolo II citate in calce, dove è razionalmente indagato, per quanto possibile, il fascino infinito di questa notte in cui tutti possiamo annegare – o riemergere con Cristo.

Canto dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per mezzo della fede.

Ben so io la fonte che sgorga e scorre,

anche se è notte!

 

1. Quell’eterna fonte sta nascosta,

ma ben so io dov’essa ha sua dimora,

anche se è notte.

 

2. Sua origine non so, non ve n’è alcuna,

ma so che tutte l’origini in sé aduna,

anche se è notte.

 

3. So ch’esservi non può cosa più bella,

che cieli e terra bevon d’ella,

anche se è notte.

 

4. Ben so che fondo in essa non si trova

e che nessuno mai potrà guadarla,

anche se è notte.

 

5. La sua chiarezza mai non s’offusca,

so che ogni luce da essa è venuta,

anche se è notte.

 

6. So che tanto copiose son le sue correnti,

che cielo e terra irrigano e le genti,

anche se è notte.

 

7. La corrente che nasce da tal fonte

ben so quanto è grande e onnipotente,

anche se è notte.

 

8. La corrente che da queste due procede

so che nessuna d’esse la precede,

anche se è notte.



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9. Codesta eterna fonte sta nascosta

in questo vivo pan per darci vita,

anche se è notte.

 

10. Qui se ne sta, chiamando le creature,

che dell’acqua si sazian, anche se è buio,

perché è notte.

 

11. Questa viva fonte, cui anelo,

in questo pan di vita io la vedo,

anche se è notte.

STANZA AL BUIO

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Dalla lettera Apostolica Maestro della fede di S. Giovanni Paolo II in occasione del IV centenario della morte di S. Giovanni della Croce, 14 dicembre 1990

(n. 14) Il Dottore mistico [san Giovanni della Croce] richiama oggi l’attenzione di molti credenti e non credenti per la descrizione che fa della notte oscura come esperienza tipicamente umana e cristiana. La nostra epoca ha vissuto momenti drammatici nei quali il silenzio o assenza di Dio, l’esperienza di calamità e sofferenze, come le guerre o lo stesso olocausto di tanti esseri innocenti, hanno fatto comprendere meglio questa espressione, dandole inoltre un carattere di esperienza collettiva, applicata alla realtà stessa della vita e non solo ad una fase del cammino spirituale. La dottrina del Santo è invocata oggi di fronte a questo mistero insondabile del dolore umano. Mi riferisco a questo mondo specifico della sofferenza del quale ho parlato nella Esortazione Apostolica Salvifici doloris. Sofferenze fisiche, morali o spirituali, come la malattia, la piaga della fame, la guerra, l’ingiustizia, la solitudine, la mancanza del senso della vita, la stessa fragilità dell’esistenza umana, la coscienza dolorosa del peccato, l’apparente assenza di Dio, sono per il credente un’esperienza purificatrice che potrebbe chiamarsi notte oscura. A questa esperienza Giovanni della Croce ha dato il nome simbolico ed evocatore di notte oscura, con un riferimento esplicito alla luce e oscurità del mistero della fede. Senza pretendere di dare all’angustioso problema della sofferenza una risposta di ordine speculativo, alla luce della Scrittura e dell’esperienza, va scoprendo e scegliendo qualche cosa della meravigliosa trasformazione che Dio porta a compimento nell’oscurità, poiché “sa saggiamente e bellamente far nascere il bene dal male” (c 23,5). Si tratta, in definitiva, di vivere il mistero della morte e resurrezione in Cristo con tutta verità.

(n. 15) Il silenzio o assenza di Dio, come accusa o come semplice lamento, è un sentimento così spontaneo quando si sperimenta il dolore e la ingiustizia. Gli stessi che non attribuiscono a Dio la causa delle gioie, lo responsabilizzano spesso del dolore umano. In maniera differente, ma forse con maggiore profondità, il cristiano vive il tormento della perdita di Dio o del suo allontanamento da lui; perfino può sentirsi lanciato nelle tenebre dell’abisso. Il Dottore della notte oscura porta in questa esperienza un’amorosa pedagogia di Dio. Egli tace e a volte si nasconde perché già ha parlato e si è manifestato con sufficiente chiarezza. Perfino nell’esperienza della sua assenza può comunicare fede, amore e speranza a chi si apre a Lui con umiltà e mansuetudine. Scrive il Santo: “L’anima indossava il bianco vestito della fede mentre usciva da questa notte oscura, allorché camminando . . . in mezzo a tenebre e angustie interiori . . . soffrì con perseveranza passando per quei travagli senza stancarsi e venir meno all’Amato, il quale nei travagli e nelle tribolazioni prova la fede della sua sposa, affinché essa possa dire con verità le parole di Davide: “Per le parole delle tue labbra io persevererò per aspri sentieri” – Sal 16, 4 (2 n 21,5). La pedagogia di Dio agisce in questo caso come espressione del suo amore e della sua misericordia. Restituisce all’uomo il senso della gratitudine, facendosi per lui dono liberamente accettato. Altre volte gli fa sentire tutta la portata del peccato, che è offesa a Lui, morte e vuoto dell’uomo. Lo educa anche a discernere sulla presenza o assenza divina: l’uomo non deve farsi guidare da sentimenti di gusto o disgusto, ma dalla fede e amore. Dio è ugualmente Padre amoroso, nelle ore della gioia e nei momenti del dolore.

(n.16) Solo Gesù Cristo, Parola definitiva del Padre, può rivelare agli uomini il mistero del dolore e illuminare con i raggi della sua croce gloriosa le più tenebrose notti del cristiano. Giovanni della Croce, conseguente con le sue affermazioni intorno a Cristo, ci dice che Dio, dopo la rivelazione del suo Figlio, “è rimasto quasi come muto non avendo altro da dire” (2 s 22,4); il silenzio di Dio ha la sua più eloquente parola rivelatrice di amore nel Cristo crocifisso. Il Santo di Fontiveros ci invita a contemplare il mistero della Croce di Cristo, come lui lo faceva abitualmente, nella poesia de “El Pastorcico” o nel suo celebre disegno del Crocifisso, (noto come “il Cristo di San Giovanni della Croce”. Sul mistero dell’abbandono di Cristo nella croce scrisse certamente una delle pagine più sublimi della letteratura cristiana (2 s 7,5-11). Cristo visse la sofferenza in tutto il suo rigore fino alla morte di croce. Su di lui si concentrarono negli ultimi momenti le forme più dure del dolore fisico, psicologico e spirituale: “Dio mio, Dio mio! perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Questa sofferenza atroce, causata dall’odio e dalla menzogna, ha un profondo valore redentore. Era ordinata a che “semplicemente pagasse il debito e unisse l’uomo a Dio” (2 s 7,5-11). Con la sua consegna amorosa al Padre, nel momento del più grande abbandono e dell’amore più grande, “compì l’opera più meravigliosa di quante ne avesse compiute in cielo e in terra durante la sua esistenza terrena ricca di miracoli e di prodigi, opera che consiste nell’aver riconciliato e unito a Dio, per grazia, il genere umano” (2 s 7,5-11). Il mistero della Croce di Cristo svela così la gravità del peccato e l’immensità dell’amore del Redentore dell’uomo. Nella vita di fede, il mistero della Croce di Cristo è riferimento abituale e norma di vita cristiana: “Quando le si presenterà qualche sofferenza e disgusto, si rammenti di Cristo crocifisso e taccia. Viva in fede e in speranza, anche se è fra le tenebre, che in esse Dio aiuta l’anima”. La fede si converte in fiamma di carità, più forte che la morte, seme e frutto di resurrezione: “e dove non c’è amore, poni amore e ne ricaverai amore”. Perché, in definitiva: “Nella sera sarai esaminato sull’amore” (d 59)

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