L’unità corpo-anima che è l’essere umano richiede un trattamento che riconosca entrambi gli elementi, e il nostro Creatore lo sa…Noi esseri umani siamo come due creature in una.
Potremmo dire che siamo in parte animali e in parte “angeli”. Una parte di noi ha fame, come un uccello, di quello che riesce a soddisfare il nostro corpo, l’altra ha fame di quello che è in grado di soddisfare la nostra anima.
Gesù sottolinea i due tipi della nostra fame nel Vangelo di domenica scorsa (18ma Domenica del Tempo Ordinario, anno B). La settimana precedente aveva mostrato la sua preferenza per il fatto di darci più di quello che è sufficiente al nostro corpo, questa domenica ha voluto darci più di quello che serve alla nostra anima.
Il pane non basta
Nutrire il corpo è un aspetto centrale del cristianesimo – dal miracolo di Gesù a Cana ai pani di cui si è parlato domenica scorsa, fino al Giudizio Finale, quando ci chiederà: “Chi hai sfamato?”
Come si legge in un testo ecclesiale del XII secolo, “Nutri l’uomo che muore di fame, perché se non lo hai nutrito lo hai ucciso”.
Gesù, però, ha anche messo sempre in guardia sul fatto di non fermarsi a questo.
Quando il diavolo lo ha tentato dicendogli di trasformare le pietre in pane, Egli ha rifiutato dicendo: “Non di solo pane vive l’uomo”.
Ora si nasconde dalla gente che vuole celebrarlo solo perché ha mangiato. “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna”.
Madre Teresa sapeva com’è questa fame più grande.
“Essere non desiderati, non amati, non curati, dimenticati da chiunque. Penso che sia una fame molto più grande, una povertà molto superiore rispetto a quella della persona che non ha nulla da mangiare”, diceva.
I titoli recenti relativi ai suicidi di gente ricca sembrerebbero darle ragione, e la nostra fame di significato provoca molti comportamenti negativi, non troppo lontani dal suicidio.
Abbiamo un vuoto nel cuore che ci provoca un dolore tremendo se non troviamo il modo in cui riempirlo.
Come dice il Concilio Vaticano II, è “in quelle profondità” che un essere umano “torna quando fa ritorno a se stesso, là dove lo aspetta quel Dio che scruta i cuori là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino”.
L’unico modo per soddisfare il secondo tipo della nostra fame è tornare.
Nel Vangelo Gesù rifiuta di soddisfare qualsiasi cosa sia inferiore alla fame più profonda che sa che hanno le persone.
È per questo che ha inventato l’Eucaristia – per mostrare nel modo più chiaro possibile che vuole entrare nella nostra vita e riempirci con la sua.
Come dice il Catechismo, “ciò che l’alimento materiale produce nella nostra vita fisica, la Comunione lo realizza in modo mirabile nella nostra vita spirituale”. In particolare, “come il cibo del corpo serve a restaurare le forze perdute, l’Eucaristia fortifica la carità”.
In altre parole, ci immerge nell’amore, permettendo di mettere via la vita vecchia e il vecchio sé per indossare un nuovo sé, creato alla maniera di Dio nella giustizia e nella santità della verità.
L’Eucaristia può compiere meraviglie in noi se riceviamo il Pane del Cielo non solo con la bocca, ma anche con il cuore e la vita.
Dopo tutto, quando abbiamo fame non riusciamo a pensare a nient’altro.
Almeno per me, i 10 minuti più lunghi della giornata sono quelli che precedono la cena, e quando latte, uova o pane terminano, ripristinarli è una priorità che supera qualsiasi altra considerazione.
È così che funziona la fame: richiede cibo, e subito.
Anche la nostra fame spirituale deve funzionare in questo modo, ma spesso non è così. Siamo come mendicanti affamati invitati a una festa che restano fuori, troppo preoccupati della confessione, con troppa paura di Cristo e di noi stessi.
“Io sono il pane di vita”, ci dice Gesù. “Chi viene a me non avrà fame, e chi crede in me non avrà sete”.
Sappiamo di aver fame. Sappiamo dov’è il cibo. Siamo stati invitati alla mensa. Cosa stiamo aspettando?