Dimenticando la malattia e l’estrema debolezza delle sue gambe, la ragazza corse verso il tabernacolo e si gettò in ginocchio: ‘E vero! E’ proprio vero: Gesù mi ama e mi ha perdonato tutto! “di padre Umberto Davoli (missionario in Indonesia)
Potrà sembrare una cosuccia da nulla, eppure mi ha toccato vivamente, ricordandomi certi fioretti francescani o certi episodi ingenui e profumati che si leggono in Storia di un’anima di Teresina di Gesù Bambino. E’ fresca di giornata e non voglio lasciarla avvizzire.
Avevo appena terminata la S. Messa nella mia nuova parrocchia di Chamboli, stamattina, quando una delle sante donne ‘ostiarie’, che mi aiutano nel visitare i malati e portar loro la santa Eucaristia, mi disse che una povera vecchia immobilizzata da una brutta forma di artrosi desiderava la santa Confessione.
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Mi feci dare la chiave del tabernacolo, preparai la cassettina del Viatico e riconsegnai la chiave alla sacrista. Accompagnato da due donne del comitato liturgico, arrivai dalla vecchietta, scherzai con lei per un poco, per risollevarle il morale, poi la confessai e la comunicai… e mi accinsi a rincasare.
Ero fermo allo stop, all’incrocio della strada principale per Kitwe, quando una donna si avvicinò al finestrino: “Padre, non hai visto mia figlia alla chiesa? E’ partita da casa più di un’ora fa per incontrarti, ma fa tanta fatica a camminare“.
“Forse è arrivata all’ufficio quand’ero già partito. Cosa voleva?”.
“Vuole ricominciare a ricevere i sacramenti… Sai, si era messa con quell’uomo che poi l’ha abbandonata: ora è tanto malata… e non ha più pace, perché pensa che Dio non vorrà perdonarla“.
Girai la macchina e tornai veloce alla chiesa. La povera figlia era in piedi sotto il sole, davanti alla porta dell’ufficio. Diciotto anni di pena! Rinsecchita dalla tisi (e non solo!), con due occhioni grandi grandi… e così tristi! La feci premurosamente accomodare in ufficio. “Padre, non merito nulla, lo so… io volevo sposarmi, ma lui…”. Un doloroso senso di colpa la torturava dentro.
“Ma tu meriti tutto, invece! Dimmi pure, bimba mia”. E mi raccontò di come l’amore l’aveva accecata. Non aveva capito l’egoismo e la falsità di quell’uomo aitante e inizialmente… cosi gentile! La luna di miele era durata assai poco, rivelando ben presto la meschinità dei suoi intenti ed era stata quasi subito una serie di tradimenti e umiliazioni e infine di malattia: ‘quella’ malattia, purtroppo!
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“Padre, la mia pena più grande è stata quella di non poter più ricevere il Signore nel sacramento! E’ da tanto tempo!… Sapessi quanta voglia ne ho! Ma tu non puoi permettermi di riceverlo ancora, vero?”.
“Ne hai voglia davvero?”.
“Oh, sì, padre.. tanta! “.
“E se io ti dicessi che Gesù ne ha più voglia di te? E’ lui che vuole venirti nel cuore, e consolarti, e darti forza e grazia e speranza”
“A una peccatrice come me? “.
“E come no? E’ proprio per i peccatori come te e me, che si è fatto cibo eucaristico”. Vidi due perle scendere luminose su quel volto ancora bellissimo, nonostante la malattia. “Io sono certo che non vede l’ora di unirsi a te. Non vuoi riceverlo oggi stesso … subito?“.
“Dici davvero?… Ne sarei felicissima! “.
Tolsi la stola dalla cassettina del viatico e la confessai subito, poi invitai tutti i cristiani che stavano nei paraggi ad unirsi con noi in chiesa per la nuova ‘prima comunione’ della ragazza. Parlai brevemente della gioia che stavamo per regalare al Signore: “Non vede l’ora di entrare in questo cuore che ha tanta nostalgia di lui: in cielo si sta già facendo gran festa!“.
Andai al tabernacolo e subito mi ricordai che avevo riconsegnato la chiave alla sacrista. Mi rivolsi a una delle donne ‘ministre’ e le chiesi di portarmi la chiave. Tornò dalla sacristia a mani vuote, con un’aria un po’ smarrita: “La sacrista ha chiuso a chiave l’armadietto e ha portato la chiave con sé “.
La pregai di correre alla casa della sacrista e cominciai le preghiere di rito. Pochi minuti dopo, la donna tornò con aria ancora più avvilita: “E’ andata al mercato; abbiamo cercato dappertutto, ma la chiave dell’armadietto, non c’è proprio“. Il disappunto della mia malatina era fin troppo evidente e anche gli altri cristiani ne sembravano molto rammaricati.
Che fare? Mi avvicinai alla ragazza e la consolai, promettendole che le avrei fatto portare la santa Comunione a casa, non appena avessimo ritrovato la chiave. “Per ora ti do la benedizione del Signore; tu invitalo a venire spiritualmente nel tuo cuore, poi va a riposarti e a prepararti al grande incontro. E sta’ serena!”.
Mentre la benedicevo, non potei evitare di sentirmi un po’ deluso anch’io, e me ne lamentai segretamente coi Signore: “Che peccato, Gesù! Sarebbe stato così bello! E io che le avevo detto che eri tu ad avere più fretta di lei di incontrarla nel Sacramento dell’amore!”
Terminate le preghiere, mi tolsi la stola e mi accinsi a riporla nella cassettina… e che ti vedo? Proprio lì, tra il minuscolo ciborio del viatico e il crocifissino portatile, c’era una chiave mai vista prima. “E questa chi l’ha messa qui?”.
La vice-sacrista sbirciò nella cassetta:”Sembra la chiave vecchia del tabernacolo, quella che si usava prima che cambiassimo la serratura parecchi mesi fa, quando tu non eri ancora venuto. Ma come è finita lì ora?”.
Scherzai sorridendo: “Non sarà mica il Signore che ci gioca uno dei suoi tiri divini” e la mia giovane penitente sbottò, con un guizzo di speranza negli occhi: “Provala! Forse è proprio vero che Gesù ha fretta di venirmi a visitare! “.
Mentre andavo verso il tabernacolo provavo un misto di esultanza e di timore: mi sarebbe spiaciuto tanto deluderla una seconda volta. Ma la chiave entrò perfettamente nella serratura: la porticina si aprì, e io afferrai la pisside con aria di trionfo.
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E qui avvenne una cosa davvero commovente. Dimenticando la malattia e l’estrema debolezza delle sue gambe, la ragazza corse verso il tabernacolo e si gettò in ginocchio: ‘E vero! E’ proprio vero: Gesù mi ama e mi ha perdonato tutto! “. E lacrime di gioia e di gratitudine scorrevano ormai copiose sulle gote della mia povera, dolcissima bimba.
Mentre le deponevo la sacra particola sulla lingua, scoppiò un applauso nella chiesa. I miei cristiani si abbracciavano esultanti, come se avessero vinto una delicata battaglia e io silenziosamente mormorai dentro di me: “Grazie, Capo!”… proprio come faccio di tanto in tanto, quando sono particolarmente d’accordo col mio Signore.
Uscendo dalla sacristia, un po’ più tardi, vidi diversi dei miei fedeli tremendamente indaffarati a raccontare a quanti incontravano, con gioiosa concitazione il miracolo della chiave! E si davano grosse pacche sulle spalle, come se avessero vinto un terno al lotto.
Guidando il mio macinino verso casa, mi sentivo anch’io piacevolmente leggero ed esilarato: lanciavo occhiate conniventi al sole, ai fiori, agli alberi e mi sentivo stranamente ricco, come se tutto il creato mi appartenesse di diritto. Poi, a un tratto, mi sentii borbottare all’indirizzo di Dio, mentre gli strizzavo l’occhio: “Cosa non mi combini mai, anche tu, Signore, quando t’innamori davvero!”