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Questo monaco trappista ha salvato 26 partigiani dalla fucilazione

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 11/07/18
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Il “motto” del benedettino Padre Paolino Beltrame, frate eroe della seconda guerra mondiale: per essere uomini bisogna saper rischiare Cappellano in guerra e medaglia d’argento al valor militare, partigiano protagonista di una rischiosissima missione segreta nella guerra di liberazione, scout della prima ora, predicatore appassionato e instancabile curatore di anime.

E’ questo il Padre Paolino Beltrame Quattrocchi che tratteggia Fiorella Perrone nel suo ultimo volume “Le avventure di un monaco in bianco e nero” (Cantagalli). Benedettino e trappista Padre Paolino, figlio della prima coppia di coniugi beatificata dalla Chiesa cattolica, è stato un protagonista nella vita spirituale e sociale del Novecento italiano, ma sopratutto un eroe di guerra.



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La metafora della croce

Nella predicazione del frate è centrale il simbolo della Croce: la fatica per ogni uomo a salire sull’asse verticale, e a trovare quel punto di incontro con il legno orizzontale. E lo si può fare solo allargando le braccia come per abbracciare i propri fratelli, e raggiungere così il volto di Dio. Il principio è molto semplice ed è il succo dell’annuncio di Gesù di Nazareth: c’è un solo Dio, del quale tutti gli uomini sono figli e, dunque, tutti, fra loro, fratelli.



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Eroe di guerra

L’abbraccio ai fratelli si manifesta con le azioni eroiche di padre Paolino, nel periodo della seconda guerra mondiale.

Cappellano militare nei territori della ex-Jugoslavia, cellula segreta nel nord Italia delle forze di liberazione alleate, medaglia d’argento al valor militare, padre Paolino rappresenta come sia possibile, anzi ineludibile per lo spirito umano, per potersi chiamare uomo, l’azione, anche rischiosa, che vada decisa in pochi cruciali istanti.

Il salvataggio dei partigiani

All’indomani dell’armistizio, partecipa attivamente alla Resistenza come agente segreto, mentre la famiglia a Roma nasconde e aiuta numerosi fuggiaschi, in alcuni casi usando come travestimento le tonache dismesse dei figli. Nel 1944, padre Paolino si reca di persona a Salò, al ministero della Guerra, e ottiene la sospensione della pena capitale di ventisei partigiani parmensi. In altre occasioni intercede presso il carcere di Parma a favore di alcuni condannati a morte con l’accusa di connivenza al fascismo.

L’amicizia con Pietro Barilla

Negli anni del dopoguerra (1946-1956) le opere del frate si concentrano in Italia, nell’ambito della Pontificia Opera di Assistenza. Un episodio vale la pena citare: quello della spontanea e lunga amicizia e soprattutto della carità esercitata verso poveri, bambini malati, carcerati, umanità sperduta insieme all’amico di Parma, l’industriale Pietro Barilla.

Di questa carità fatta insieme, da due amici così diversi, restano segni tangibili ancora oggi, a rappresentare al lettore la necessità di abbracciare l’altro per muoversi in modo efficace verso la cura di altri ancora che soffrano nel corpo e nello spirito e che pure vanno raggiunti.



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I martiri in Cina

Infine, c’è un altro ritaglio della vita del frate, che racconta come il labora benedettino possa essere allargato dall’uomo sullo scenario internazionale. Padre Paolino è anche un fine scrittore ed esprime al meglio questa sua peculiarità allungando lo sguardo sulla Cina. Là il frate, sull’esempio di padre Matteo Ricci di molti secoli prima, ha trascorso diversi periodi, negli anni ’80, per ricostruire la storia, i nomi, i percorsi dei suoi oltre 130 confratelli trappisti martirizzati.
Ne esce fuori Il libro “Monaci nella tormenta”, che fa conoscere la “marcia della morte”, ossia la passio dei monaci trappisti di Yan-Kia-Ping e di Liesse, testimoni della fede nella Cina di Mao-Tze-Tung, avvenuta nel secondo semestre del 1947.