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Martina Colombari: la vita ci è stata donata per portare frutto agli altri

MARTINA COLOMBARI
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Silvia Lucchetti - pubblicato il 11/07/18
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L’ex Miss Italia intervistata da For Her Aleteia, parla di vita matrimoniale, impegno nel volontariato e valoriFor Her Aleteia ha avuto il piacere di fare una chiacchierata con Martina Colombari, sempre splendida ed elegante, con lo stesso luccichio negli occhi di quando giovanissima, all’età di 16 anni, vinse nel 1991 il concorso di Miss Italia.

Martina_Colombari_Miss_Italia_1991

Wikipedia, Public Domain

Al telefono la sua voce ci raggiunge sicura, gentile, schietta. La vita privata (è moglie da 14 anni di Billy Costacurta e mamma di Achille), l’impegno nel sociale e quale senso ha dato alla sua vita, queste alcune delle domande che le abbiamo rivolto. E ci ha sorpresi soprattutto una frase che ha ripetuto durante l’intervista: “Dobbiamo rimettere l’uomo al centro”, proprio come ci invita a fare Papa Francesco. Quello che mi ha sorpreso di più del nostro dialogo è che in fondo per Martina Colombari la vita è piena solo quando ci si spende per l’altro.

Cara Martina, la ringrazio per quest’intervista. Per prima cosa vorrei chiederle, che cos’è per lei la femminilità?

Da una parte è qualcosa di innato, anche se a volte ci sono donne bellissime ma gelide che non ti arrivano, come si dice a Roma “è bella ma non balla”. Poi c’è chi gioca ad essere femminile attraverso il trucco, l’abbigliamento, i capelli. Però credo che la femminilità vada di pari passo con gli anni. Con il tempo si acquisisce maturità anche in questo, si diventa più sicure e ci si accetta maggiormente. Quando avviene questo passaggio noi donne diventiamo in grado di lasciarci andare e così la personalità e la femminilità vengono fuori.

Com’è cambiato il suo rapporto con la bellezza e la femminilità da Miss Italia ad oggi?

L’esperienza, la maturità cambia il tuo modo di essere donna. E non solo… anche la vita che hai scelto. Una donna single è magari sempre alla ricerca di un uomo, una donna “cacciatrice” che tenta quindi di tenere alte certe corde della femminilità, ma questo non significa che se sei sposato da 20 anni ti devi arrendere. Mai! Anzi, al contrario e a maggior ragione utilizzi la tua femminilità in un altro modo. Questo è successo anche a me, ho vinto il concorso a 16 anni, ero ancora acerba, mi mancava una fetta importante che solo l’esperienza ti può offrire.

Un matrimonio che dura da 14 anni, come fate?

La bacchetta magica non c’è, segreti non esistono, è una gran fatica. Il matrimonio ti spinge a cambiare. Secondo me per farcela bisogna seguire gli insegnamenti delle nostre nonne che dicevano: “porta pazienza”, “vedrai che tutto si risolve”, “le cose gravi e importanti sono altre”, “manda giù, fai finta di niente”. Quello che io e mio marito però abbiamo sempre cercato di fare è stato tenere le nostre vite parallele ma restando uniti. Sia per il lavoro che negli hobby abbiamo rispettato molto l’individualità dell’altro. Di giorno in giorno costruiamo la vita insieme, un mattoncino alla volta. Certo, il “E vissero per sempre felici e contenti” esiste solo nelle favole e la vita non è una favola, però ad oggi siamo felici di aver formato una bellissima famiglia con un figlio adolescente che ci mette continuamente alla prova, che ci fa capire che non è nostro e che ad un certo punto dovrà andare. La famiglia tornerà ad essere formata da me e mio marito, ed è giusto così.

Come è stato diventare mamma?

Ho vissuto la maternità in maniera bellissima! Diventare mamma è stata un momento splendido della mia vita. È ovvio che nessuno ti prepara, non sai come sarà quando da due si diventa tre. Ma è anche sbagliato cadere nell’errore che facciamo tutte di paragonare la vita da genitori a quella di prima. Se accetti il cambiamento, vivi la bellezza della maternità con serenità. Se vuoi tornare a tutti costi quella che eri, riavere quello che avevi e continui a fare confronti avrai problemi e non godrai di ciò che hai. Per me è stato bello tutto: bellissimo il parto, unici i momenti quando Achille era neonato. Ti dicono che quando sono così piccoli non comunicano e invece non è vero, io mi sono goduta ogni fase della sua crescita, ogni piccolo cambiamento.


NOEMI
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E oggi?

Adesso viviamo con le porte sbattute, con frasi tipo: “bussa prima di entrare”, “fatti una vita”, “perché mi fai il terzo grado”. Ascoltano questi rapper che per noi mamme sono assurdi, dei mezzi diavoli. Mi consolo pensando che si tratta di una fase passeggera, diventerà grande anche lui. Noi genitori abbiamo il compito di accompagnare i figli tenendoli per mano anche se la mano non se la fanno tenere. È giusto che facciano le loro esperienze e i loro sbagli, bisogna sostenerli a distanza, ma esserci sempre. Però quando le mamme parlano al plurale e dicono “abbiamo il compito di storia”, “abbiamo la partita di basket”, mi infastidisco e mi chiedo perché questo plurale? è tremendo. Così noi genitori diventiamo molto ingombranti nella vita dei nostri figli.

Il suo rapporto con i genitori com’è stato?

Mio papà è qui a fianco a me mentre le parlo. Mia madre è rimasta incinta all’età di 17 anni, quindi i miei sono diventati genitori molto presto. Io sono stata una ragazzina brava, che non ha mai creato problemi, forse fin troppo. Genitori molto presenti ma un po’ troppo timorosi e protettivi. Avendo vinto Miss Italia a 16 anni mi è mancata un po’ la spensieratezza della giovinezza. Io e mio marito permettiamo delle cose ad Achille che io ho fatto molto più tardi.

Com’è nato in lei il desiderio di diventare una volontaria? Abbiamo letto dei suoi viaggi ad Haiti con la Fondazione Rava, del suo impegno con le ragazze che soffrono di disturbi alimentari in cura presso Villa Miralago a Varese…

Viviamo un momento storico di crisi, se non impariamo a ricollocare l’uomo al centro di tutto non ne veniamo fuori. In un epoca così tecnologica è importante riacquisire i valori umani: il rispetto, la fiducia, il prendersi cura degli altri e dell’ambiente che ci circonda. Dieci anni fa sono arrivata ad una certo punto della mia vita in cui ho pensato che ero soddisfatta di quello che avevo costruito ma volevo fare di più per gli altri. Ho incontrato la Fondazione Rava, mi sono sembrati molto seri e ho deciso di impegnarmi. Se diventi testimonial di una fondazione devi essere anche un volontario altrimenti presti solo la tua immagine, cosa che reputo dignitosissima, ci mancherebbe. Con loro andiamo ad Haiti, in centro Italia ad riaprire le scuole colpite dal terremoto, seguiamo un progetto che si chiama “In farmacia per i bambini”, tutto questo mi ha portato ad avere un approccio con gli altri differente. C’è una citazione che non ricordo di chi è, ma non importa conta la sostanza che dice: “La gente si ricorderà di te non per quello che hai fatto o per quello che hai detto ma per come l’avrai fatta sentire”. La vita ci è stata donata per portare frutto e quando non ci saremo più sarà negli altri che si vedranno i frutti di ciò che abbiamo fatto nella nostra esistenza.

Spulciando il suo profilo Instagram ci hanno colpito le foto che ha postato insieme ai volontari dell’Ordine di Malta con cui avete portato sostegno ai senzatetto che vivono presso la stazione di Milano. Che esperienza è stata?

A Milano la domenica e il mercoledì è l’Ordine di Malta ad occuparsi dei senzatetto. Io lì ho degli amici e quando mancano dei volontari mi coinvolgono nel servizio notturno. È molto impegnativo sia fisicamente che emotivamente. Ti piomba addosso una realtà che hai tutti i giorni davanti gli occhi ma che se stai sempre dentro casa al calduccio puoi far finta di non vedere. È difficile capire se chi incontri è un barbone, un drogato, uno spacciatore. I responsabili del nostro gruppo operativo si occupano per questo del primo intervento.

C’è una storia in particolare che vuole raccontarci?

Mi ha colpito la storia di un ragazzo italiano di vent’anni che abbiamo incontrato una sera durante il servizio. CI ha raccontato di essere stato adottato insieme ad altri suoi due fratelli da una famiglia di Milano. Uno faceva il cameriere in Inghilterra, l’altro stava finendo gli studi e lui, l’ultimo, era da un mese in strada perché continuava a drogarsi ed era scappato dalla comunità di San Patrignano. Gli ho chiesto perché fosse scappato e mi ha risposto “c’erano troppe regole”, allora ho provato a spiegargli che la vita è fatta di regole che all’inizio ci sembrano toste da accettare ma che esistono per il nostro bene. Nella vita possiamo scegliere, è una questione di decisioni, alla fine mi ha detto che sarebbe tornato in comunità.
Quando fai volontariato devi metterti in secondo piano, non puoi farti prendere dalle emozioni perché altrimenti non fai un buon servizio, durante il lavoro devi essere un po’ un robottino e poi quando torni nella tua stanza puoi lasciarti andare.

Crede in Dio?

Credo ma non sono praticante. Il mio parroco di Riccione ha sposato i miei nonni, i miei genitori, me e mio marito, e ha battezzato anche mio figlio. Dico sempre che se ci fossero più don Giorgio in Italia e nel mondo saremmo tutti più credenti. Mi piacciono le sue prediche, rende concreta ogni omelia, la contestualizza, rende vivo ogni brano della Bibbia e del Vangelo, lo rende vicino, diventa molto pratico. Così quegli insegnamenti che sembrano lontani li sento più vicini, quotidiani e attualissimi.

C’è un’esperienza che l’ha avvicinata in modo particolare alla fede?

Ad Haiti mi sento più vicina alla spiritualità, tutte le nostre attività sono gestite da padre Enrique che è un medico volontario in prima linea da più di 30 anni ad Haiti. Le nostre giornate cominciano sempre con la messa delle 6.30 dove si celebrano i funerali dei bambini che non ce l’hanno fatta a superare la notte. E lui ci fa riflettere tanto su Dio. Quando finisce la messa c’è un momento di convivialità nel suo ufficio in ospedale dove ci prepara il caffè italiano e lì parliamo ed approfondiamo quello che è stato detto durante la messa. Lui dice spesso: “Dio aveva creato un mondo fantastico, sono stati gli uomini a ridurre così Haiti”.

Quando si sente davvero libera?

Mi sentirò libera pienamente quando morirò. Quando avrò dato tutto e potrò dire: “Mi è stata data una vita, l’ho vissuta, ho fatto quello che ho potuto e spero che quello che ho lasciato darà dei frutti”, allora a quel punto sarò davvero libera.