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Come la “mindfulness” mi ha aiutata a superare l’infertilità

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Ashley Jonkman - pubblicato il 27/06/18
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Questa pratica, combinata con la preghiera, ha aiutato sia il mio stato mentale che il mio corpoIl mio viaggio nell’infertilità è stato relativamente breve, almeno se paragonato a quello di alcune donne. Ci sono voluti poco meno di due anni di speranze, dubbi, attese e preghiere prima che il mio primo figlio annunciasse la sua presenza nel mio grembo con un’ondata gigantesca di inconfondibile nausea.

L’esperienza di lottare per avere un figlio era isolante – mi sentivo come se fossimo l’unica coppia che non riusciva a rimanere incinta al primo tentativo. Avevo circa 25 anni, ero sana e felicemente sposata. Le circostanze sembravano tutte “giuste”, eppure qualcosa non stava funzionando. Era fastidioso e mi spezzava il cuore. Sembrava che ovunque intorno a noi ci fossero persone che non pensavano neanche di diventare genitori e tuttavia all’improvviso venivano benedette con miracoli inaspettati. Anche se mi sentivo estremamente sola, la verità è che negli Stati Uniti milioni di uomini e donne lottano ogni anno con l’infertilità. Secondo il Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CDC), più del 12% delle donne americane tra i 15 e i 44 anni ha difficoltà a rimanere incinta o a portare a termine una gravidanza. L’infertilità è incredibilmente diffusa, e tuttavia tende a farti sentire terribilmente solo.



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Ho compiuto qualsiasi sforzo per far fronte al fatto che non riuscivo a rimanere incinta. Per molto tempo ho cercato di ignorare semplicemente l’angoscia che provavo, ma inutilmente. Ogni mese in cui non rimanevo incinta interferiva con la mia vita, con la mia capacità di concentrarmi sul lavoro, perfino con il mio matrimonio. Invidiavo le persone che apparentemente rimanevano incinte senza alcuno sforzo, e odio ammettere che a volte era difficile essere veramente felice per loro. Oltre a questo, sentivo come se in me ci fosse qualcosa di sbagliato – forse per qualche ragione non ero adatta a diventare madre.

Una mia collega eccentrica ha poi iniziato a parlarmi della mindfulness. Mi stavo stressando per qualcosa a lavoro, e questa persona ha suggerito che quello che contava di più era il momento che avevo davanti. Ero una cristiana praticante, ma non avevo collegato il fatto di vivere la mia fede con la pratica della mindfulness. Non ero sicura di cosa significasse per il mio stato mentale, o di come mi potesse aiutare a far fronte a mesi e mesi di infertilità inspiegabile. Non sapevo nemmeno cosa volesse dire davvero quel termine (mi sembrava un po’ troppo New Age e pseudo-spirituale), ma ho comunque provato la tecnica, unendola alla preghiera, come meccanismo di difesa contro la solitudine e la tristezza che provavo.

Se siete come me e vi state chiedendo se la mindfulness sia una pratica appropriata per un cristiano praticante, seguitemi per qualche minuto. La mindfulness non è una religione o una meditazione; è semplicemente una calma accettazione di qualsiasi momento ci troviamo a vivere, la consapevolezza della realtà che abbiamo davanti. Uno sguardo più approfondito alla mindfulness rivela che è semplicemente una pratica con la quale possiamo esercitare la nostra fede.

Il dottor Gregory Bottaro, del CatholicPsych Institute e autore di The Mindful Catholic, scrive che la mindfulness cristiana è “semplicemente imparare come controllare la nostra messa a fuoco di modo che anziché fare attenzione alle fantasie che creiamo nella nostra immaginazione possiamo concentrarci sulla realtà che si svolge al di fuori dello spazio compreso tra le nostre orecchie”.

“Anziché dire semplicemente ‘Confido in Dio‘”, aggiunge, “possiamo affiancare alle parole il cervello. Quando rimuginiamo sul passato o sul futuro, ‘ruminando’ in continuazione su preoccupazioni o rimpianti, stiamo agendo come se avessimo il controllo e dovessimo capire tutto. Se vogliamo compiere un atto di fiducia in Dio, possiamo cercare di liberarci di questo falso controllo concentrando invece la nostra mente sulle realtà del momento presente”.

Nei miei peggiori momenti di paura e disperazione, mentre divoravo libri sulla fertilità e siti Internet pieni di dritte su come rimanere incinte, non ho sempre confidato del tutto in Dio – era difficile tenere la mente tranquilla e concentrata sulla realtà del momento.



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I momenti in cui mi fermavo, respiravo e accettavo il fatto che Dio non mi avesse ancora dato un bambino – anziché gettarmi in un tentativo frenetico di capirne il motivo – erano però una rivelazione di pace e calma. Mi concentravo sulle cose per le quali ero grata: avevo un impiego, ero sposata con un uomo affettuoso e che mi sosteneva, avevo buoni amici e una famiglia che mi amava, e una Chiesa solida.

Non sapevo perché Dio non mi avesse ancora dato un bambino, ma con la mindfulness e la preghiera ho smesso di pormi le domande continue e angoscianti che mi stavano provocando tanto stress. In quel periodo ho pregato molto, e se supplicavo Dio di donarmi un figlio, la mia vita di preghiera andava anche al di là delle continue richieste. Sono andata più a fondo con Lui, ho iniziato a conoscerlo di più, e ogni volta che mi rivolgevo a Lui perché ero triste o perché mi facevo mille domande mi veniva più incontro.

Non avrei scelto di vivere mesi di infertilità inspiegabile, e non l’augurerei a nessuno per il dolore che provoca, ma non credo che il tempo trascorso aspettando di diventare madre sia stato sprecato. Con la mindfulness e l’accettazione della mia situazione sono riuscita ad arrivare a Dio nella preghiera autentica, e così il mio rapporto con Lui si è rafforzato. Anche se quei mesi sono stati spiacevoli e stressanti, non li cambierei neanche se potessi. La prossima volta che vivrò una situazione di sofferenza (e ce ne sono sempre) ricorderò la crescita che ho sperimentato mediante l’infertilità, e la preghiera e la mindfulness saranno le mie prime difese.