La difesa della libertà religiosa è una delle “priorità” della politica estera americana, ha sostenuto il 25 giugno 2018 Callista Gingrich, ambasciatrice degli Stati Uniti presso la Santa Sede, intervenendo in un simposio organizzato a Roma.
L’epoca attuale è un periodo pericoloso per le persone di fede, ha dichiarato Callista Gingrich. Le persecuzioni sono una realtà quotidiana e «nessuna comunità è al sicuro». La diplomatica ha così citato il terrorismo islamista in Africa e in Medio Oriente, le restrizioni religiose in Cina, in Arabia Saudita o in Iran, ma anche le posizioni del presidente venezuelano Nicolás Maduro contro l’episcopato del suo Paese.
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A fronte di questa constatazione, gli Stati Uniti vogliono essere «i difensori» della libertà religiosa nel mondo, ha assicurato l’ambasciatrice, che nella minaccia fondamentalista vede una causa di «preoccupazione comune» per il proprio Paese e per la Santa Sede. La promozione della libertà religiosa è del resto una costante della politica estera americana fin da una legge del 1998, ha ricordato.
Non soltanto “libertà di praticare”
Tale impegno è «molto importante», ha replicato il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede. Per l’alto prelato, la libertà religiosa è uno dei diritti inalienabili dell’uomo, e le strutture statali esistono appunto per proteggere tali diritti. Promuovere la libertà religiosa, ha proseguito, non deve significare avere una preferenza per una comunità religiosa ma riconoscere l’uguale dignità di ogni persona.
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Nel corso della conferenza, mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi (Pakistan) e presto cardinale, ha dato testimonianza della situazione dei cristiani nel proprio Paese. Se infatti essi possono praticare la loro fede, in termini di legge, il «diritto di propagarla» non è più garantito dalla Costituzione a partire dagli anni ’70. Così, ha sottolineato il prelato, la libertà religiosa non consiste soltanto nella libertà di culto.
[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]