Papa Francesco ha recentemente rinnovato l’invito a non far entrare nei seminari persone con “omosessualità radicata”. Ma c’era un documento del 1992 che suonava già come un avvertimento
Il problema dell’immaturità sessuale nei candidati al sacerdozio, esploso ora in Cile ma certamente non relegato soltanto a quel Paese latinoamericano, come dimostrano vari scandali accaduti in Europa e in altre parti del mondo, attestano anche un grave problema a monte, relativo ai criteri con i quali si sono scelti i vescovi negli ultimi decenni.
La scorsa settimana, dialogando a porte chiuse con l’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, Papa Francesco, che pure aveva manifestato tutta la sua preoccupazione ai vescovi per il calo delle vocazioni sacerdotali, li aveva invitati ad occuparsi più della qualità dei futuri sacerdoti che della quantità, citando il caso di persone omosessuali che desiderano entrare in seminario: «Se avete anche il minimo dubbio, è meglio non farli entrare» (La Stampa, 30 maggio).
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I due documenti
Francesco ha parlato sulla scia di due documenti pubblicati negli ultimi anni dalla Santa Sede.
Nel 2005, sotto il pontificato di Benedetto XVI è stata pubblicata l’Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri
Nel 2016, sotto il pontificato di Bergoglio è stata diffusa la Ratio Fundamentalis della Congregazione per il Clero dal titolo “Il Dono della vocazione presbiterale”
In entrambi, pur rispettando profondamente le persone in questione, si sostiene che non è possibile ammettere al seminario e agli ordini sacri «coloro che praticano l’omosessualità» o «presentano tendenze omosessuali profondamente radicate».
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L’allarme di Wojtyla
Ma c’è un altro documento, del 1992, che già fissava l’attenzione sulla formazione dei sacerdoti che si apprestavano ad entrare in seminario. Accendendo “sirene” sul problema della sessualità.
26 anni fa, infatti, Giovanni Paolo II rendeva nota l’esortazione apostolica Pastores dabo vobis dedicata alla “formazione dei sacerdoti nelle circostanze attualiˮ.
In quel documento si legge: «Poiché il carisma del celibato, anche quando è autentico e provato, lascia intatte le inclinazioni dell’affettività e le pulsioni dell’istinto, i candidati al sacerdozio hanno bisogno di una maturità affettiva capace di prudenza, di rinuncia a tutto ciò che può insidiarla, di vigilanza sul corpo e sullo spirito, di stima e di rispetto nelle relazioni interpersonali con uomini e donne. Un aiuto prezioso può essere dato da un’adeguata educazione alla vera amicizia, ad immagine dei vincoli di fraterno affetto che Cristo stesso ha vissuto nella sua esistenza».
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Libertà ed egoismi
Papa Wojtyla inoltre affermava: «La maturità umana, e quella affettiva in particolare, esigono una formazione limpida e forte ad una libertà che si configura come obbedienza convinta e cordiale alla “veritàˮ del proprio essere, al “significatoˮ del proprio esistere, ossia al “dono sincero di séˮ quale via e fondamentale contenuto dell’autentica realizzazione di sé».
«Così intesa – sottolinea Giovanni Paolo II – la libertà esige che la persona sia veramente padrona di sé stessa, decisa a combattere e a superare le diverse forme di egoismo e di individualismo che insidiano la vita di ciascuno, pronta ad aprirsi agli altri, generosa nella dedizione e nel servizio al prossimo».
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“Gravi squilibri”
Si deve, infatti, registrare, avvertiva il papa, «una situazione sociale e culturale diffusa “che “banalizza” in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico”. Spesso le stesse situazioni familiari, dalle quali provengono le vocazioni sacerdotali, presentano al riguardo non poche carenze e talvolta anche gravi squilibri».
Educazione alla sessualità
In un simile contesto, concludeva Wojtyla, «si fa più difficile, ma diventa più urgente, un’educazione alla sessualità che sia veramente e pienamente personale e che, pertanto, faccia posto alla stima e all’amore per la castità, quale “virtù che sviluppa l’autentica maturità della persona e la rende capace di rispettare e di promuovere il significato sponsale del corpo“».
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