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Chi era Don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia?

FATHER ZENO
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Lucandrea Massaro - Aleteia Italia - pubblicato il 10/05/18
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La presenza del Papa a Nomadelfia, la piccola comunità grossetana che vive secondo il Vangelo in tutto e per tutto, fa di nuovo puntare i riflettori su questa oasi di fraternità cristiana, e pone a tutti l’esigenza di confrontarsi con il suo fondatore, l’energico Don Zeno Saltini.

Le origini

Nasce, nono di dodici figli, in una famiglia contadina a Fossoli vicino Carpi, il nonno un austero ma buono è il capo famiglia da cui trae gran parte della sua personalità. Un patriarca come in fondo sarà lo stesso Don Zeno che – secondo i nomadelfi – di figli ne avrà 4000 in oltre trent’anni di Comunità. Dal nonno impara anche la giustizia e il diritto degli operai di essere ben trattati, siamo nei primi del ‘900 di sindacati non c’è molta traccia, ma il nonno paga bene perché «L’operaio mantiene il mondo» dice. Con gli operai Zeno sta volentieri, impara da loro più di quanto impari a scuola che infatti lascia

Terminate le scuole tecniche a Carpi decise, con enorme dispiacere per la mamma, di non proseguire gli studi perché, affermava, «gli insegnanti dicono cose che non mi interessano. La gente del paese ne sa più di quelli là. E allora vado a lavorare con i nostri operai» (Civiltà Cattolica, 2006)

Ma questa decisione la rimpiangerà quando, nel 1920 mentre sta facendo il servizio militare, per controbattere le provocazioni di un amico anarchico gli mancano le parole. L’amico ha studiato, lui no e non riesce così spiegare perché Cristo e la Chiesa non sono un ostacolo alla difesa dei poveri e degli oppressi come sosteneva il suo “avversario”. Decide quindi di rimettersi a studiare, si laurea in Legge in Cattolica a Milano nel 1929 e nel frattempo sta maturando l’idea di farsi prete, il suo scopo è uno solo: difendere i poveri e gli ultimi, in particolare i gli orfani. Il 4 gennaio del 1931 durante la sua prima messa da presbitero adotta il giovane Danilo, 17 anni appena uscito di prigione. Il primo di molti figli che tirerà fuori dalla miseria e dall’esclusione sociale.

https://www.youtube.com/watch?v=0eooadjq9SY

Osteggiato dagli anticomunisti

Nonostante Don Zeno abbia fondato la comunità e svolto il suo apostolato armato solo del Vangelo e delle poche parole paesane che conosceva, nell’Italia del dopoguerra non era ben visto da tutti, specialmente negli ambienti più conservatori della DC e anche della Chiesa italiana.

Anche durante il fascismo è stato più tollerato che amato e quando il regime cade:

Alla caduta del fascismo, la comunità diffonde, in migliaia di copie, il suo giornaletto che contiene un appello di don Zeno. Vi è scritto tra l’altro: “… È caduto un regime che ha rovinato l’Italia … Guai a coloro che credono che essere cristiani significhi anche essere conigli: Cristo ha saputo imporsi al Sinedrio e a Cesare a costo della vita … Questa sera alle otto terrò il consueto discorso sul tema di attualità … Lasciate il lavoro e venite a S. Giacomo: uniamoci attorno all’altare per trattare i nostri sacrosanti diritti … Noi rappresentiamo l’ordine, noi siamo coloro che hanno lavorato, sofferto, pianto, lottato per tirare su la nostra gioventù rovinata dal fascismo … Operai, contadini, lavoratori in genere che siete sempre stati sfruttati più dei buoi, onesti datori di lavoro, uomini di buona volontà, venite tutti e ascoltatemi. … Vigliacchi e sfruttatori statevene pure a casa perché a voi non spetta, in questo momento, altro compito che attendere per imparare da noi come si realizza una vera fraternità cristiano-sociale … Padri di famiglia, guai a noi se non comprendiamo l’ora di nostra responsabilità che attraversiamo. I nostri figli ci maledirebbero in eterno.”  (ANPI)

C’è un’ansia di libertà e giustizia nei Piccoli Apostoli che Don Zeno ha radunato a vivere secondo la fraternità del Vangelo. I più grandi entreranno nella Resistenza per combattere contro i nazisti che occuparono l’Italia settentrionale.

L’arresto di don Zeno Saltini è pressoché immediato. Lo rinchiudono nel carcere di Mirandola, ma viene scarcerato per la compatta protesta popolare. Qualche mese dopo, con l’occupazione nazista, i fascisti rialzano la testa. Pretendono che la Curia faccia internare in manicomio don Zeno, definito “prete bilioso” e “mestatore da bordello”. La sua Comunità viene perseguitata; così il sacerdote passa le linee e raggiunge il Sud con alcuni ex prigionieri neozelandesi e venticinque “piccoli apostoli”, che sarebbero sicuramente stati deportati dai nazifascisti. Altri “piccoli apostoli” entrano nelle formazioni partigiane (sette di loro moriranno combattendo per la libertà) ed alcuni dei sacerdoti rimasti contribuiranno all’organizzazione odella Resistenza e ad aiutare ebrei e perseguitati politici.

Dopo la guerra e dopo la Liberazione, Don Zeno passerà i suoi guai un po’ con gli emiliani che gli prestano soldi per la sua comunità che però non ha ancora i mezzi per ripagarli e poi con il Governo Scelba che vorrebbe annientarne l’opera perché da ritenersi pericolosa in quei tempi, troppo vicina al comunismo la sua idea in cui “tutti i beni sono in comune, non esiste proprietà privata, non circola denaro, si lavora solo all’interno e non si è pagati”. 

Nettamente anticomunista, egli si pose dalla parte di Schuster, quando il cardinale di Milano accusò Don Zeno «di occulto misticismo di sinistra». Tramite la Chiesa, il ministro faceva pressioni continue per l’autoscioglimento della comunità, «necessario- aggiungeva – anche per il cumulo di debiti insolvibili» (Il Tirreno, 1999).

Per i debiti e l’ostilità anche ecclesiale, Don Zeno per salvare la sua creatura lascia temporaneamente lo stato clericale nel 1953 e grazie alla donazione di un podere di 4 Km quadrati dalle parti di Grosseto porta, novello Mosé, il suo popolo in una nuova terra. Non si sono più mossi da allora. Anche se per i primi due anni vissero in tende. Tornerà a poter vestire la talare nel 1962 grazie anche alla simpatia che suscitò in Giovanni XXIII.

il 5 febbraio 1952 il Sant’Uffizio gli impone di lasciare la comunità e il ministro dell’Interno Scelba manda le forze dell’ordine a sgomberare Fossoli. Allora 400 superstiti si rifugiano a Grosseto in una tenuta donata da Maria Giovanna Albertoni Pirelli grazie all’intermediazione di padre David Maria Turoldo: è la seconda fondazione di Nomadelfia. Per seguire i suoi figli, don Zeno ottiene da Pio XII la riduzione allo stato laicale. Sono anni durissimi: nei campi c’è più roccia che terra, mancano acqua e luce, si può alloggiare in un solo casale e quasi tutte le famiglie devono dormire sotto le tende. Ma lentamente la vita riparte, i conti tornano in ordine e nel 1962 don Zeno ottiene da Giovanni XXIII la riammissione al sacerdozio (Famiglia Cristiana, 9 maggio).

La fondazione di Nomadelfia

Alla fine a prezzo di grandi sacrifici Don Zeno con quanto resta della comunità originale di Fossoli fonda Nomadelfia un nome che è un programma — nomos (legge) e adelphos (fratello) —, ossia una città dove si realizza il Vangelo sine glossa, alla lettera. Ma se lui è padre ha bisogno di madri che assistano questi fanciulli.

1941, quando arrivò tra i Piccoli Apostoli la prima mamma, Irene: una diciottenne scappata di casa. Don Zeno non poteva lasciarsela portar via e così, grazie pure al maresciallo dei carabinieri, convinse il padre della ragazza a farla restare lì, con i suoi tanti figli. Poco prima di Natale pensò che fosse giunto il momento di dare un volto ufficiale all’Opera, facendo riconoscere dal nuovo vescovo di Carpi, mons. Vigilio Dalla Zuanna, Irene come «mamma di vocazione». La mandò dal vescovo con uno dei bambini e Irene tornò con tanto di benedizione e la promessa che a Natale le sarebbero stati consegnati i primi «figli». Quella notte nacque Nomadelfia (Civiltà Cattolica)



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Come spiegato sullo stesso sito di Nomadelfia, nel 1965, don Zeno propone ai nomadelfi una nuova forma di apostolato: le “Serate di Nomadelfia”, uno spettacolo di danze popolari, interrotte da un discorso di don Zeno e da un documentario su Nomadelfia. Il circo e il cinema sono sempre stati un pallino di Don Zeno e ancora adesso i ragazzi sono educati anche alle arti circensi e fanno spettacoli. Nel 1968, poi, inizia la pubblicazione del mensile “Nomadelfia è una proposta”. Nello stesso anno i nomadelfi ottengono dal Ministero della Pubblica Istruzione di educare i figli sotto la loro responsabilità, nella propria scuola interna. L’homeschooling prima che facesse figo usare l’inglese. Loro lo chiamano “Scuola vivente” improntata ad una didattica diffusa e pratica dove si impara mentre si fa. Don Zeno si è spento nel 1981 aveva appena fatto in tempo a mostrare, nel 1980, a Papa Giovanni Paolo II questa sua comunità fondata sull’amore, le famiglie e il Vangelo. Il Papa la benedirà dicendo: “Se siamo vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Oggi Papa Francesco rinnova quella fiducia e quella passione per una comunità fatta di famiglie e fatta di carità fraterna. Nel 2009 è stata aperta una causa canonica di beatificazione nella diocesi di Grosseto.



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