E’ deceduta ieri a Lahore in Punjab per le gravissime ustioni che ricoprivano l’80% del suo corpo. L’aspirante marito musulmano voleva la sua conversione all’Islam. Sana viveva a Brescia ed era tornata in Pakistan per un viaggio ma il 18 aprile vi ha trovato la morteRizwan Juggar è reo confesso. E’ lui il responsabile del geniale piano per la conversione forzata della futura moglie, Asima, cristiana decisa a restarlo con grande disappunto dell’uomo. La strategia prevedeva una sola fase: cospargerla di cherosene e darle fuoco. Risultato atteso? Ottenere una risposta simile: “Sì, prima di sposarti cambio fede e divento musulmana”. Fuggito dal luogo del delitto mentre la donna era avvolta dalle fiamme viene raggiunto e arrestato.
In un primo momento, l’eroe ha spiegato che il suo scopo era “solo” spaventarla. Doveva amarla davvero molto se era disposto ad accasarsi con una donna sfigurata e sotto shock chissà per quanto tempo. A questo avrà pensato, possiamo presumere, prima di inzupparla di miscela infiammabile. Chissà, forse era poco pratico di combustione. E anche di conversione: almeno per noi, cristiani come Asima, la conversione è l’orientamento libero della nostra anima a Dio e il cambiamento esistenziale che ne consegue. Con la nostra volontà vogliamo aderire a quella di Dio, che ci ama. Cosa ci può essere di libero in un’adesione pronunciata a parole e sotto minaccia? Niente, ma non è un problema per tutti. La conversione all’Islam è attestata da una formula, detta la testimonianza, ma vi si richiederebbe adesione e convinzione. Il condizionale è d’obbligo, non per tutti.
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Stando a quanto riferisce la polizia “i due giovani di Sialkot (nel Punjab) volevano sposarsi, ma avevano posto come condizione la conversione dell’altro alla propria religione.” (Interris)
Il ragazzo non aveva più potere persuasivo?
Il papà di questa donna di ventiquattro anni ha spiegato che l’uomo l’ha attesa di ritorno dal suo lavoro di domestica, l’ha sorpresa per strada nella città di Sialkot, la dodicesima per popolazione del territorio pakistano, e lì ha messo in atto il progetto.
Esiste un tribunale speciale antiterrorismo, in Pakistan, che ha già arrestato, giudicato e condannato a morte tra gli altri il responsabile di un crimine terribile, lo stupro e l’uccisione di una bambina Zeinab. Imran Ali, è il nome dell’assassino.
“Speciali tribunali antiterrorismo sono stati istituiti dal Governo dell’allora Primo Ministro Nawaz Sharif (1997-1999) per fronteggiare l’aumento di atti terroristici nel paese. Ma questi tribunali sono stati investiti nel tempo del compito di processare anche persone accusate di reati politici o di crimini come stupro di gruppo e violenza sui bambini. Questi tribunali devono terminare il processo entro 7 giorni e 7 giorni è il termine concesso ai condannati per presentare appello, che a sua volta dovrà essere fissato e discusso entro 7 giorni”. (vedi link)
Il nome di Asima, in Italia, è immediatamente associato a quello di un’altra giovane, di origini pakistane ma residente a Brescia. Si chiamava Sana Cheema ed era di un anno più grande di Asima. I fatti che riguardano il suo decesso sono rimasti per qualche giorni incerti: il padre e il fratello, dapprima accusati di averla uccisa per il rifiuto di un matrimonio combinato, sono stati rilasciati, qualcuno dichiara nemmeno mai arrestati, e alla morte della giovane sono state attribuite cause naturali. Ma ora la notizia del fermo non solo del padre e del fratello di Sana ma anche dello zio è confermata dalla nostra ambasciata a Islamabad.
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La comunità pakistana (al primo gennaio 2016 i migranti di origine pakistana regolarmente soggiornanti in Italia risultano 122.884, Fonte Banca Dati Italia Lavoro), si legge sul Corriere, ha manifestato dolore per la morte di Sana e chiesto chiarezza. Ciò che in molti temono è la stigmatizzazione dell’intera comunità italo-pakistana.
Eppure ciò che da qualche portavoce veniva smentito con sdegno ha trovato autorevole conferma. Sana è stata uccisa il 18 aprile scorso perché ha rifiutato il matrimonio impostole dalla famiglia. Non è stato un malore, non ha avuto un infarto.
Viveva a Brescia e aveva avviato una sua attività, una scuola guida (la patente per le donne di molti paesi è lontana come un’altra galassia) chiusa in tutta fretta alla fine del 2017.
A lei non è stata proposta una conversione in cambio della vita ma la accettazione delle conseguenze della sua appartenenza religiosa ed etnica.
A due donne che hanno opposto la propria ferma volontà a quella violenta di uomini che siamo abituati a immaginare alleati, il padre, il fratello, il fidanzato, è stata inflitta la stessa pena, una morte che le ha rese molto più simili di quanto non fossero in vita.