Come sarebbe bello se per prima cosa la mamma, al rientro a casa del figlio, gli dicesse che è felice che ci sia e gli chiedesse se anche lui è contento. Dopo sì, si può parlare anche di scuolaL’espressione immortalata nell’immagine sopra l’articolo è quella che Franco Nembrini usa per inscenare la risposta del figlio. Per rendere anche plasticamente il senso di tormento che la solita domanda gli infligge.
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Sempre la stessa, ripetuta ogni santo giorno, quasi nello stesso istante, proprio mentre sta per addentare il primo agognato boccone del pranzo da lungi desiderato. Parecchio lungi: dice che già alla campanella della seconda ora il ragazzone vede librarsi in aria, sotto il soffitto diventato greve dell’aula scolastica, una generosa porzione di lasagne fumanti.
“Tutto bene, mamma”. Prova a chiudere la questione il ragazzo e a riaprire la bocca sulla forchetta. Ma la mamma non desiste: “sarà pur successo qualcosa, no?”
“Niente. Non è successo niente“. O almeno, penserà il figliolo, non ho voglia, non ho l’energia per raccontartelo ora. E poi mi viene pure il sospetto che ti interessi solo quello…
In effetti è un’abitudine non così salubre e piuttosto diffusa nelle famiglie italiane quella di mettere tanta enfasi sul rendimento scolastico e non solo nei momenti topici (verifica, interrogazione, fine quadrimestre), ma ogni benedetto giorno.
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Il docente ed educatore bergamasco coglie con lucidità e un certo rammarico come questo ricorrente questionario trasmetta in realtà un messaggio non proprio innocuo. Non è curiosità ma una specie di indagine di mercato: vali se rendi. Ti stimo in ragione delle tue performance scolastiche.
Invece quello che gratifica il figlio è l’amore incondizionato, ripetuto a dosi omeopatiche, tutti i santi giorni che Dio manda in terra, anche semplicemente cambiando domanda.
“Come stai? Sei contento?”. Io lo sono! Sono felice che tu ci sia.
E questo, ne siamo sicuri, diventerebbe un fattore di miglioramento anche del rendimento scolastico.