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6 caratteristiche di una vera resilienza

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 21/11/17
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Può essere attivata nei bambini così come in situazioni familiari complesse, ad esempio in presenza di un disabile. E rappresenta la rinascita di una persona dopo un periodo buio

Sei indizi di una vera resilienza. A farceli scoprire è Sergio Astori, autore di “Resilienza” (edizioni San Paolo).

Per resistente, spiega l’autore, s’intende un sistema che non subisce cambiamenti rilevanti se esposto a un evento perturbativo. Resiliente, invece, rinvia a un livello di complessità superiore: l’essere in grado di recuperare il proprio stato, dopo averlo modificato a causa di un evento negativo indotto dall’esterno, e ciò grazie a un processo di cambiamento.

Poi Astori spiega le caratteristiche della resilienza anche attraverso esempi pratici.

1) Il trauma dei bambini

Un gruppo di insegnanti messi a dura prova dall’irruzione delle scene dell’11 settembre 2001 dentro la loro scuola perde la capacità d’ascolto dei bimbi loro affidati. Gli adulti sotto shock non sono più in grado di sentire le voci dei propri alunni. Soprattutto di aiutarli a interpretare le drammatiche immagini.

Sulle prime a farne le spese è la capacità di apprendimento dei piccoli. In realtà si scoprirà che è stato perso ben di più: il senso di fiducia. Piano piano il dolore nascosto nel buio dei ricordi ha prodotto un disagio che riguarda l’intera comunità scolastica. È diventato necessario dargli ascolto e voce.

Le peggiori forme di sofferenza e di cordoglio sono quelle affrontate dai bambini, ed è compito anzitutto degli adulti mantenere vivo il legame educativo con i più piccoli.Dotare di un significato un evento critico, che colpisce insieme grandi e piccini, è un processo fondamentale su cui si fonda una resilienza relazionale.

La resilienza non è solo la capacità dell’individuo di riprendersi da situazioni traumatiche, perché inevitabilmente si realizza attraverso i sostegni culturali e sociali che la persona incontra.

2) Come il sistema immunitario

La resilienza è stata paragonata al sistema immunitario, quella rete integrata di mediatori e funzioni costantemente e silenziosamente all’opera per prepararci a difenderci dagli insulti alla nostra integrità.

L’immagine presa a prestito dalla biologia è utile perché il sistema immunitario è costituito tanto da una parte innata (deputata a combattere immediatamente e distruggere gli agenti esterni penetrati nei nostri tessuti) quanto da una parte acquisita (più lenta ma capace di adattarsi a ciascuna infezione).

Immaginiamo così la resilienza: una rete, una costellazione di comunicazioni, di condivisioni, di memorie. Può essere ferita da situazioni di stress, dalla paura e dai conflitti, ma risponderà se le persone sofferenti saranno incoraggiate a condividere i loro stati d’animo e verranno sostenute nel riconoscere a se stesse che hanno anche “la stoffa” della resilienza. Lo si può fare attraverso il racconto intimo di un percorso terapeutico che anzitutto renda protagonisti e non vittime.



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3) Il ruolo della famiglia

È resiliente chi accetta di affrontare un viaggio. La scoperta di una forma di disabilità in famiglia è spesso un punto di partenza per un percorso “altrove”. Malgrado gli inevitabili smarrimenti, la famiglia è il luogo decisivo delle comunicazioni e degli scambi, il luogo attraverso il quale apprendiamo l’equilibrio tra la capacità di conservare (tradizioni, valori e credenze) e quella di rinnovare, facendo fronte anche alle avversità.

4) La vita professionale

Nella vita professionale, nel tempo della malattia, persino di fronte a tragedie e disastri, è possibile esercitare resilienza.

Anche chi non si trova immerso in crisi, perdite o disastri come quelli raccontati nel capitolo, può domandare a se stesso:

1. Vivo con nostalgia le tradizioni oppure sono disposto a valorizzarle rilanciandole e innovando quando serve?

2. Mi sento paralizzato dalla paura perché non procedo alla stessa velocità degli altri oppure riconosco l’unicità del mio percorso di vita?

3. Mi isolo sempre più quando avverto la mancanza di qualcuno che mi sia davvero d’appoggio? Posso provare a dirlo a qualcuno?


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5) Situazioni estreme

A coloro, invece, che stanno facendo i conti con situazioni estreme, consiglio di rimanere in contatto con se stessi e con quello che sono stati; di cercare di realizzare la migliore espressione possibile della propria umanità; di non cedere alle forme di estremismo, la più subdola delle quali è il fatalismo. Così ci avviamo a “rinascere ogni giorno”.

6) Tre forme di dialogo

Sostenere risorse di resilienza è oggi uno degli obiettivi prioritari degli interventi di soccorso: a una persona, a una famiglia, a un gruppo.

La resilienza si attiva quando a più livelli ci si rimette in connessione con la propria storia, ci si sente considerati e aperti a nuovi significati: questo può accedere solo se c’è una progettualità dialogica.

Il dialogo può essere interiore, come nel caso in cui si avverta una crisi rispetto alla propria professione. Se gli adulti sono messi nella condizione di integrare la difficoltà acuta nella propria storia, senza negarla, allora è possibile recuperare quella resilienza che si aveva da bambini.

Oppure il dialogo può essere familiare: come nel momento della malattia, quando non ci crediamo più autorizzati a sentirci vivi, siamo confusi e possiamo anche allontanare chi amiamo lasciando insinuare dentro di noi l’idea che siamo soli. A questo punto la leva che risolleverà il mondo si trova proprio in un incontro: con il partner, i figli, un membro della famiglia.

Ancora, il dialogo può riguardare un prendersi cura dei legami comunitari: nell’ambito di vicende traumatiche, come un terremoto devastante, nelle quali è coinvolta un’intera popolazione, la classe dirigente deve ricostruire ben sapendo che l’unico muro che rischia di rimanere intatto dopo un trauma collettivo è quello del silenzio, che non va rafforzato.

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