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Perché conviene farsi santi? Per non marcire!

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Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 18/10/17
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Pubblichiamo in anteprima l’introduzione al nuovo libro di don Luigi Maria Epicoco “Sale, non miele” (San Paolo edizioni) che uscirà in libreria domani

“Una cristianità non si nutre di marmellata più di quanto se ne nutra un uomo. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo rassomiglia al vecchio padre Giobbe, pieno di piaghe e di ulcere, sul suo letame. Il sale, su una pelle a vivo, è una cosa che brucia. Ma le impedisce anche di marcire”

(George Bernanos, Diario di un curato di campagna)

Se qualcuno ci domandasse del perché converrebbe farsi santi, dovremmo rispondere alla maniera di Bernanos: per non marcire.
La nostra vita è costantemente sull’orlo di marcire, ma questa non è una considerazione pessimistica sulla vita. Al contrario è una visione molto ottimistica. Le cose che rischiano di marcire sono le cose vive, le cose traboccanti di vita. Le cose morte, le cose secche non rischiano di marcire perché in loro non c’è più nessuna vita e quindi nessun rischio. Il sangue sgorga da un corpo vivo. Una malattia si sviluppa lì dove c’è vita. Una piaga fa male perché vulnera un corpo vivo. La santità è il tentativo di mantenere la vita viva, di non lasciare che vada a male, di non permettere che l’eccesso di vita diventi principio di fine. Ecco perché è sbagliato pensare che la santità consista solo in un facile buonismo da quattro soldi. Al contrario essa è una dolcezza a caro prezzo così come solo il sale sa fare su una piaga.



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Io stesso ho dovuto attraversare una stagione della vita in cui la santità era mescolata a un immaginario troppo mielesco e poco aderente alla mia piccola vita. Ricordo ancora quando ancora bambino, raccattato assieme ai miei amici chierichetti, andavamo a vivere alcuni fine settimana a sfondo vocazionale. Quasi sempre la sera vedevamo tutti insieme le diapositive della vita di qualche santo. Il rumore non molto romantico delle diapositive che scorrevano era coperto da un’audiocassetta che con musiche e voci recitanti raccontavano le vicende del santo di turno. Può sembrare che il mio discorso finirà con una acerba critica a questo tipo di esperienza, invece devo dire che ricordo con molta nostalgia quelle storie, perché nutrivano il mio cuore di un desiderio sempre più crescente di “prendere sul serio” la fede in Cristo proprio mentre vivevo immerso in un mondo “abituato” alla fede, come ci si abitua a un canto popolare o al gesto di rito di una mano alzata quando si saluta un amico per strada. Il problema era però l’immaginario, non il desiderio che mi cresceva nel cuore. Per diverso tempo ho pensato che la santità fosse questa visione romanzata della realtà, in cui il trionfo dei buoni sentimenti, e dei sorrisi nonostante tutto fosse la vera cifra dei santi. L’eroismo di essere buoni. Ahimè ho imparato a spese mie che la santità è una questione più scottante. È l’eroismo di restare umani nonostante la vita. E per restare umani delle volte bisogna essere forti non buoni. Scaltri non ingenui. Decisi non remissivi. Paradossalmente la delusione dei colori delle diapositive mi ha avvicinato più potentemente ai santi che intendevano raccontare.

Per un misterioso disegno della Provvidenza ho l’occasione di incontrare molte persone, tante comunità, tanti modi di vivere il cristianesimo. Ho avuto la grazia di attraversare i silenzi dei monasteri, ma anche di immergermi nei canti a squarcia gola dei grandi raduni. Ho visto tante normalità di parrocchie situate in ogni dove, e di parlare con gente che ha avuto la vita cambiata da eventi inimmaginabili. Che cosa tiene insieme tutte queste persone? Qual è la cosa che mi sono sforzato di condividere con tutti loro? Semplicemente che qualunque sia il modo attraverso cui ognuno vive la vita e la propria fede, di fondo c’è quel minimo comune denominatore del Battesimo che ci ha resi figli e che ci ha donato l’interiore certezza di essere amati, di vivere immersi in un campo che ha al suo fondo un destino buono, e di sapere che l’Amore è il presupposto di ogni vita degna di questo nome. Cioè la Fede, la Speranza e la Carità. I tre potenziali ricevuti in dono nel Battesimo che siamo chiamati ad esprimere in qualunque nostra vita.



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La faccenda è seria perché dalla buona riuscita della nostra avventura dipende la qualità del resto del mondo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,13-16).

Perché vedano, e gli venga voglia di alzare lo sguardo su Qualcun altro.
Le parole di cui è fatto questi libro nascono da questi incontri. Molte parole le ho ascoltate anche io mentre le pronunciavo come suggerite dagli occhi chi di ascoltava. Sarebbe lungo poter fare l’elenco di ogni persona, di ogni comunità, di ogni esperienza condivisa di cui queste pagine ne sono solo una piccola traccia, e a cui sono personalmente grato.

Luigi Maria Epicoco

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San Paolo edizioni