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“Perché ti sei fatta chiudere le tube?” Le riflessioni di una mamma incinta

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Silvia Lucchetti - Aleteia Italia - pubblicato il 15/09/17
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Non sappiamo cosa porti realmente tante donne a sottoporsi al legamento tubarico. Che dolore recidere la propria femminilità!

“Sono single, non ho figli e sei settimane fa, all’età di 29 anni, mi sono sottoposta al legamento tubarico. Si è trattato, senza alcun dubbio, della migliore decisione che io abbia mai preso”.

Così comincia un articolo pubblicato l’anno scorso su The Huffington Post Usa e poi tradotto e comparso sull’Huffpost.it.

La giovane donna racconta che già dall’età di 21 anni aveva richiesto l’intervento di chiusura delle tube e poi di nuovo a 25.

“Mi rivolsi a due medici diversi (per quel che vale, e potrebbe non significare niente, in entrambi i casi si trattava di medici di sesso maschile), entrambi con studio a Manhattan, e nessuno dei due si era detto disponibile a operarmi. “Lei è troppo giovane”, mi son sentita dire. Anche “può ancora cambiare idea” era fra le più gettonate”.

Infatti è la prima cosa che penso mentre leggo l’articolo, come sei giovane Anjali, ho la tua età e sono incinta, sai? Dopo quattro anni di matrimonio e di attese (e di pianti, visite, dispiaceri, test sempre negativi), il Signore per intercessione della Vergine Maria ci ha concesso questa grazia. La mia gravidanza è un miracolo! Non ci credi?

Dovevo operarmi alle tube che tu hai chiuso (ma perché l’hai fatto? Hai avuto paura? Ti sentivi confusa? Arrabbiata? Proprio non lo so!) perché i dottori avevano valutato da un esame specifico che erano messe malaccio. Soprattutto la sinistra: “Su quella signora non ci faccia proprio affidamento” mi avevano detto senza cattiveria ma con onestà, in una stanza di fronte il reparto di maternità, dove parenti e papà emozionati si trovavano in attesa di conoscere i loro bambini. Tenevo le lacrime ferme, ben conficcate. Ricordo solo che dissi a mio marito: “I medici fanno il loro lavoro e avranno sicuramente ragione, ma l’ultima parola non è la loro, è del Signore”. E dopo aver rifiutato la procreazione assistita (“Sa signora, così le tube le baipassiamo direttamente”) mi avevano proposto un intervento per provare a sistemare queste benedette tube, o almeno una.



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Le tue erano sane, Anjali, sane! Lisce e libere, pronte a sospingere la vita con le loro lunghe ciglia.

Invece pensa, poche settimane prima dell’operazione ho scoperto di essere incinta. Continuavo a rimandare il test, la ginecologa mi aveva detto durante l’ultima visita che quel mese avevo ovulato dall’ovaio sinistro e utilizzato quindi proprio la tuba sinistra. Poteva mai essere che fossi finalmente rimasta incinta? Dalla tuba malandata e aggrovigliata? E invece sì!

“Drizza ciò che è sviato” recitiamo nel Vieni Santo Spirito. Nulla è impossibile a Dio!

Non so quale processo ti abbia spinta a prendere una decisione simile. Quale convinzione, rifiuto, certezza, menzogna, possa portare una donna sana a sottoporsi ad una simile operazione, a negare la propria femminilità, reprimerla, cancellarla. Davvero, il solo pensiero mi fa rabbrividire.

Non le senti mai quelle donne, anche famose, che a quarant’anni suonati piangono pentite per non aver pensato prima di avere un figlio? Le vedi ancora belle ma distrutte, sconsolate per aver compreso tardi la loro vera chiamata: quella di dare la vita.

Scrivi che…

“Quello d’esser responsabile della vita di un altro essere umano, inclusi gli annessi e connessi dell’abnegazione emotiva, dell’impegno economico e della spossatezza fisica, era un concetto che mi aveva sempre e solo repulso”.

Magari ti ha repulso fino a quel momento! Magari senza accorgertene ti sei bevuta la menzogna di questo mondo! Ovvero che il senso dell’esistenza sia cercare noi stessi. Occuparci solo di noi. Va tanto di moda, ce lo ripetono in continuazione. E rischiamo così di non far altro tutta la vita, ovvero morire. Perché vivere per se stessi significa morire, Anjali! Troviamo compimento nell’altro! Soprattutto noi donne! Biologicamente create per questo!



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Pensando a quello che hai fatto mi vengono in mente quelle donne che a causa di un tumore devono dolorosamente privarsi del seno, delle ovaie, dell’utero. Anche quando hanno superato l’età fertile, non so se l’hai mai notato, è comunque un duro colpo da accettare per loro che riescono a metabolizzare a fatica solo perché ha a che fare con la guarigione. Spesso dicono che si sentono diverse, come vuote, senza un pezzo.

Purtroppo non è la prima volta che leggo e sento parlare di legatura e chiusura delle tube. Chissà tu come ne sei venuta a conoscenza… chissà quante volte di notte quest’idea diabolica ti ha insediato i pensieri! Ti ha tolto il sonno! Ti ha allontanato dagli altri e da te! O magari ti ha fatto sentire sicura! Moderna! Indipendente!

Mi ricordo che un paio di anni fa, nel pieno del mio momento di sofferenza perché non riuscivo a rimanere incinta, la moglie di mio cugino mi raccontò che una sua amica aveva programmato per la data del cesareo, quindi nel giorno della venuta al mondo del suo secondo bambino, (atteso e desiderato a lungo, per cui la sentivo anche “vicina”) l’intervento di chiusura delle tube. Io rimasi scioccata. Mi chiedevo: come si può cercare tanto un figlio e dopo aver ricevuto questo dono decidere di farsi chiudere le tube? E poi proprio lo stesso giorno in cui lui verrà alla luce? Una data di vita che assume colori di morte!

Eppure andò proprio così. Due figli e stop, lo aveva programmato, stabilito, non potevano essere ammesse modifiche al progetto, e la pillola o qualche altro anticoncezionale non sarebbero stati così sicuri, ci voleva un taglio netto, definitivo, immutabile, irreversibile.

Che bestemmia! Bestemmiamo anche senza imprecare verbalmente contro Dio.

Ti sembrerò esagerata, magari non prenderai minimamente in considerazione il mio pensiero e mi accuserai subito di integralismo cattolico. Lo ha fatto anche mio padre ieri, sai? mentre discutevamo di questa cosa. Eppure è lui che mi ha educato. Cercava di mantenere una posizione da medico laico apparentemente calmo e aperto e al contrario rimproverava la mia posizione appassionata e religiosa.

Ma poi se ci pensi bene non c’è bisogno di essere credenti, cara Anjali, tu una mamma l’hai avuta. Non so che madre sia stata, magari ti avrà abbandonata, non lo so. Chissà se era una pazza, depressa, iperattiva, drogata. Non lo so. Forse ti lasciava a scuola per correre dietro l’ennesimo amore, magari ti ha trascurato, ha dimenticato di fare i lavoretti con te, non ti ha mai organizzato una festa di compleanno. O al contrario era iperprotettiva, super mamma, perfettina e apprensiva. Non lo so. Ma so che sei sgusciata fuori dalla sua pienezza, dalla pienezza di una donna, come te. Lei ti ha accolto nel suo ventre e ti ha messo al mondo. Sei venuta da qualcuno, non ti sei auto-generata. La sua pancia è stata la tua casa, hai fatto la pipì dentro di lei, ti sono cresciute unghie e capelli nel suo ventre e sei uscita fuori quando sei diventata abbastanza grande e forte per resistere. Nel suo utero ti sei ingrandita un milione di volte.



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Oggi la Chiesa festeggia la Beata Vergine Maria Addolorata, stamattina a messa il sacerdote ha detto che a sentire questo nome viene in mente una festa di dolore, con la Madonna triste, il volto corrugato, pieno di lacrime. Ci ha raccontato che da piccolo ha sempre immaginato i preti vestiti di viola per quel giorno e invece da grande ha scoperto che il colore dei paramenti nella festa della Beata Vergine Maria Addolorata era il bianco. Altro che sofferenza! Perché Maria è sotto la croce e Gesù la dona come madre a Giovanni e Giovanni siamo noi tutti, noi tutti figli e discepoli. Ovunque c’è un figlio lì c’è anche la Madre, ha scritto nel commento al Vangelo di oggi don Luigi Maria Epicoco.

Oggi durante la messa ho pregato anche per te, quando un giorno ti pentirai, e il tuo pentimento sarà una gioia, una grazia, sappi che vicino avrai sicuramente una mamma, Maria!

Cara Anjali laggiù in America, che la Madonna ti conceda il dono della fecondità.