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Esperienze di pre-morte: un teologo ci mette in guardia

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Louise Alméras - pubblicato il 29/08/17
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Come ogni avvenimento inspiegabile, suscitano una morbosità che invoca prudenza

Arnaud Join-Lambert, teologo, insegna all’università di Lovanio, in Belgio. Dopo aver pubblicato nel 2010 un’opera sulle NDE (in italiano “esperienze di pre-morte”), continua a interessarsi al fenomeno, spesso molto positivo per la persona che lo vive. Che cosa si può trarre da simili esperienze fuori dal comune senza snaturarle? Quale prudenza si deve avere trattandone? Arnaud Join-Lambert privilegia un approccio teologico e accademico. Egli abborda detti fenomeni nel contesto preciso della cultura occidentale, in cui la teologia cristiana è segnata dal ricorso alla ragione.

Arnaud Join-Lambert

YouTube/KTO

Aleteia: Lei sembra piuttosto prudente di fronte alle derive che le NDE possono suscitare riguardo alla fede o all’utilizzo che se ne può fare per l’accompagnamento delle persone in fin di vita. Specialmente riguardo a quanti ne traggono una teoria sulla morte, come Elisabeth Kübler-Ross, Marie de Hennezel e padre Monbourquette. Perché?

Arnaud Join-Lambert: Sono più di 40 anni che le NDE hanno fatto la loro comparsa nella cultura contemporanea. In questo dominio c’è una cosa che a me sembra una sorta di “peccato originale”, certo involontario da principio ma che continua a trasmettersi. Mi spiego. Quando Raymond Moody (medico autore di La vita dopo la vita) ha raccolto il suo centinaio di racconti, ha constatato degli elementi ricorrenti. Egli ha quindi ricostruito un racconto-tipo, che è diventato il paradigma delle NDE. Tutte erano state vissute positivamente, e questo è un tratto che ha orientato i primi scritti sull’argomento. Poiché si trattava di elementi in comune, questo equivaleva a una sorta di prova. Autori noti come quelli che lei cita sono rimasti nel registro della prova, tipico degli anni ’70 e ’80. Ora, migliaia di racconti si sono discostati da questo racconto-tipo di Moody, modificandolo fino a ridurre gli elementi comuni a ben poca cosa. Conviene quindi essere un minimo prudenti, quando ci si avventura nell’uso di questi racconti. E mi pare azzardato tirarne fuori delle “ricette” per “morire bene”.



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Le testimonianze di NDE non cessano di proliferare. Alcuni accennano a conoscenze acquisite nel corso della loro esperienza, come alla reincarnazione della loro anima in diverse epoche, o a una “missione” che non avevano compiuto sulla terra. Alcuni tornano pure con delle facoltà che prima non avevano: capacità di guarigione mediante energie, telepatia, visione di angeli sulla terra e via dicendo. Che ne pensa lei, o cosa ne pensa la Chiesa?

Le NDE complesse che lei evoca sono piuttosto rare, in rapporto alle NDE “semplici” che si riassumono in un’esperienza di fuoriuscita dal corpo, un’impressione di calore o talvolta di freddo, di gioia o più raramente di terrore, la visione di – o l’incontro con – personaggi noti o figure religiose, un ritorno alla coscienza più o meno ben vissuto. Le ricerche scientifiche nel campo delle neuroscienze, attualmente le più performanti sulle NDE, per esempio in seno al Coma Science Group dell’Università di Liège, si focalizzano su elementi semplici e più comuni. Le esperienze che lei riporta possono accadere in stato di coscienza, in momenti di trance o in un’esperienza mistica. Secondo me, bisogna considerarle allo stesso modo, senza attribuir loro un valore aggiunto per via della perdita di coscienza e della situazione di NDE. In siffatto caso la Chiesa cattolica, così come le altre Chiese, è molto prudente – diciamo pure diffidente.

Lei formula una riserva quanto alla prova dell’esistenza di un aldilà apportata da queste esperienze. Lei scrive: «Non è quindi impossibile considerare una NDE come un messaggio particolare per una persona o un gruppo, ma una NDE non prova niente quanto a un eventuale aldilà. Che la morte sia un passaggio verso un altrove resta un atto di fede». È un modo per classificare le NDE in un altro dominio che quello del passaggio dalla vita alla morte?

Siamo sempre tentati di considerare le NDE come prova di qualcosa. Io insisto nel dire che esse sono delle esperienze autentiche che segnano in profondità le persone. La difficoltà sta nel passare dall’indicibile di un’esperienza unica, e totalmente soggettiva, a un racconto fatto di parole comprensibili ad altri. Le NDE sono chiaramente vissute in situazione di prossimità alla morte, ma le persone non sono morte – checché ne dicano. Si potrebbe dunque immaginare che questo fenomeno avvenga al momento della morte, e che poi non ci sia più niente. Un ateo non ha certo problemi con le NDE, e neppure un credente. In fondo è un po’ il colmo che credenti ed atei si ritrovino uniti e inermi di fronte a questa esperienza.


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Le NDS, come ha sottolineato, servono ad alcuni credenti, protestanti o cattolici, per “moralizzare” quanti sono sono sulla retta via o che non credono al giudizio finale, come le esperienze negative riportate da persone che hanno tentato di suicidarsi. Ci vede un pericolo? Una maniera di integrare teologicamente queste esperienze?

Ancora una volta, è porre il discorso nel registro della prova che fa problema. In una testimonianza molto diffusa, una donna racconta come avrebbe incontrato le anime dei feti abortiti che invocavano giustizia. Chiunque può comprendere che questo tipo di argomento morale, giustificato dalla supposta (in senso scientifico) esattezza di tutto ciò che ha visto, pone un problema. Io non so se sia il caso di parlare di pericolo, ma mi pare che la fede cristiana venga snaturata non tanto da questi racconti, quanto dal loro utilizzo.

Se le NDE sono riconosciute come delle esperienze spirituali personali, segni di speranza per “la vita dopo la vita”, lei torna piuttosto alla virtù della speranza tanto amata da Charles Péguy. Insomma, la fede e la speranza sono più importanti della conoscenza?

Non si può impedire a qualcuno di tirare in ballo una conoscenza ricevuta durante una NDE: avrà sempre un valore, per lui (o lei). Se davvero si vuole uscire dall’individualismo, bisogna pensare altrimenti. Vedo una certezza, nel campo delle NDE: le persone che le hanno vissute devono essere ascoltate e accompagnate. Un’esperienza tanto potente non lascia indenni, e la prima cosa da fare è accordare del credito. Per un cristiano che ascolta un simile racconto, sarà sempre mediante la fede che ci si potrà vedere un segno di speranza, o un avvertimento per la persona, o per lui stesso. E possono allora esserci dei bellissimi momenti di condivisione, dai quali la persona che ha fatto l’esperienza e quella che l’ascolta escono entrambe più grandi.



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Ma allora che cos’è che in queste testimonianze è compatibile con la fede cristiana? E cosa non lo è?

È molto difficile rispondere a una simile domanda. Anzitutto, inviterei alla prudenza nell’interpretare i racconti. Mi sembra che su questo punto stiano acquattati numerosi abusi di potere di persone che si credono illuminate e versano rapidamente nella manipolazione. Ciò vale quando ci si avvicina al paranormale. Ora, le NDE non mi sembrano proprie del paranormale. Siamo in un campo ancora non spiegato, che la biomedicina esplora a fatica. Le scienze del linguaggio possono contribuire molto a comprendere come si costruisce il racconto, ma non che cosa sia stata l’esperienza in quanto tale. Comunque, per rispondere alla sua domanda, i criteri tradizionali della Chiesa sono utili: il contenuto dell’esperienza e i suoi frutti o effetti sulla persona. Per dirla in altro modo, visioni molto fantasiose o contrarie alla tradizione biblica, spirituale e teologica, sono da lasciar cadere. E se la persona ne viene fuori trasformata in meglio, modificando il suo stile di vita o anche solo con un profondo benessere, allora non si può che rallegrarsi con lei e rendere grazie a Dio.

[Traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]