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Ma per parlare di moda ci tocca ripartire da Adamo ed Eva? Meglio di sì

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Paola Belletti - Aleteia Italia - pubblicato il 28/07/17
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Il pensiero di Karol Wojtyla ci aiuta a fondare il discorso sul pudore, la bellezza, la corporeitàSiamo la redazione di For Her che anche per chi l’inglese lo mastica e lo sputa subito, come me, significa per lei. Siamo donne noi che scriviamo e ci rivogliamo alle donne. Sia a quelle già toccate dalla grazia della conversione sia a quelle ancora in ricerca- anche inconscia- della propria vera felicità e quindi segretamente smaniose di incontrare il Signore.

Sarà anche uno stereotipo, ma tendenzialmente la questione moda, abbigliamento, bellezza interessa sempre un buon numero di ragazze, signore, spose, single, insomma per l’appunto, donne.

Allora il tema è: come si parla di moda, di abbigliamento e femminilità senza dover sospendere il giudizio di fede? E senza scadere nell’index habituum proibitorum o nella casuistica più sfrenata? Come si può mantenere l’interesse per questa tematica trattandola in modo adeguato, né pedante e stantio, né sciocchino e superficiale?

Perché, siamo convinte, non si tratta di parlare di cose frivole e poi di spruzzarci sopra un velo di cattolicità, un commento spiritualeggiante qua, un passo evangelico vagamente attinente là. Si tratta di fondare il discorso nella verità che riguarda l’essere umano.

Nasciamo nudi, è vero, ma subito da vestire e siccome nasciamo tutti dalle donne io credo che già un radicamento segreto del nostro interesse alla vestizione risieda lì, nel compito materno di portare e dare alla luce (ma non agli sguardi di tutti e non al freddo o al caldo eccessivi. Per chi ha orecchi e carte di credito pronte questo significa: dateci dentro con le tutine, i body, gli abitini frou frou dai quali spunterà il pannolino, se state per diventare mamme).

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Pixabay

E se ci pensiamo la nudità, e poi la vergogna e la vestizione (fatta malamente dapprima dagli uomini e poi da Dio stesso, che pur avendoli cacciati, tesse delle tuniche di pelle e delle vesti per i nostri progenitori, Genesi 3, 21) sono proprio all’inizio della storia sacra. E si trovano anche al centro: dove è piantata la croce di Cristo c’è anche il Cristo spogliato. Ci sono le Sue vesti divise in quattro-numero dell’umano?- e la sua tunica intera, giocata a sorte.
Ma è possibile che per dare due consigli di stile, magari un poco più morigerati degli altri magazine femminili, dobbiate risalire ancora una volta fino ad Adamo ed Eva? Potreste chiederci.

Bé, sì. È proprio questo il caso.

E lo facciamo accompagnati dal pensiero di Karol Wojtyla.

 

Nudità, pudore, vergogna

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Quando ho scoperto il testo che scrisse negli anni ’60 ancora Vescovo di Cracovia, Amore e responsabilità, ho iniziato ad apprezzare e decifrare la grande complessità della dualità spirituale e corporea dell’essere umano e la differenza sessuata maschile e femminile. Sì sembra una cosa lontana e invece è nascosta dietro tutte le collezioni autunno-inverno e primavera-estate; ed è sottintesa, ben tesa sotto, come un robusto ed elastico tappeto di sicurezza, ad ogni discorso sulla bellezza e sull’amore umani.



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Salvo che per alcune popolazioni che vivono a latitudini e temperature tropicali, per le quali la nudità non è fonte di vergogna perché non è considerata impudica, per noi tendenzialmente lo è. Ma non è per la nudità in sé stessa. Non è del corpo nudo in sé che ci vergogniamo.

Ecco perché andare in giro coperti non significa essere pudichi. E nemmeno una nudità parziale o integrale coincide con l’impudicizia. Lo dice proprio il futuro Papa santo a pagina 128 dell’opera che vi ho citato (Amore e responsabilità, K. Wojtyla, Marietti 1820, 1980. Anche se l’edizione in lingua originale è di 20 anni prima).

Bellezza femminile secondo la “modalità cattolica”?

È proprio per questo, io credo, che mal sopportiamo l’immagine della donna eccessivamente castigata o che ostenti di seguire dettami volutamente rigidi, standardizzati sulla “modalità cattolica”. Perché non è affatto così semplice. Altrimenti basterebbe indossare una divisa o un bourqua con sufficienti arieggiature e saremmo a posto.

Ciò che mortifica non la vanità, ma la libertà della persona viene giustamente vissuto come una imposizione soffocante. Che ottiene comprensibilmente l’effetto opposto. Allontana. E archivia come “indebita ingerenza” il tentativo forse goffo di qualche neo cattolica.

E invece pare che sia proprio questo uno dei campi più aridi e assetati. Siamo particolarmente affaticati, oppressi e assetati proprio qui. Nella carne. Nel corpo, nella sessualità. E quindi è proprio così: c’entrano anche i vestiti. Sono quasi al centro del problema o molto vicino. Non sono la rivista da sfogliare svagati in attesa di un’otturazione –che allora la si sfoglierebbe preoccupati.

(Ora non so come tirare questa tesi lunga lunga fino all’armadio, per dire che è necessario rinnovare il guardaroba, ma ci proverò. In realtà personalmente non mi interessa davvero così tanto. O meglio. Se dormissi un po’ di più. Se fossi meno stressata. Se le occasioni mondane si scostassero di qualche metro dalla riunione per inizio anno scolastico o rinnovo certificazione invalidità del figlio. Se il marito ricominciasse a rincasare con uno stile ed un passo un filo meno The walking dead; ecco, se si realizzassero tutte queste circostanze e cadessero per giunta in concomitanza con dei saldi spettacolari e io fossi anche leggermente abbronzata allora sì, mi rifarei l’intero guardaroba).

Rifuggiamo quindi sia la spettacolarizzazione sensuale della bellezza fisica femminile, la sua esposizione volutamente provocatoria, e anche il castigo eccessivo delle sue forme corporee così belle e benefiche, anche alla sola vista.



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Interiorità che affiora

Ecco che cos’è! È proprio la vista. O meglio lo sguardo. Meglio ancora, il tipo di sguardo che si può posare su di noi, sul nostro corpo, che attiva il pudore.

Ed è da quello che vogliamo difenderci; o per contro è esattamente in quello che gettiamo l’esca, come quegli occhi fossero un laghetto quieto ma pieno di pesci, se vogliamo indurre un particolare turbamento in chi sta dietro quelle pupille.

L’allora vescovo ausiliare di Cracovia e futuro Sommo Pontefice parla del pudore come di un fenomeno tipicamente umano e per questo espressamente legato al valore della persona. La persona è quella creatura inviolabile, indisponibile a tutti e che dispone di sé stessa. Oltre a lei, di lei, solo Dio può disporre fino in fondo – secondo quanto le nostre due libertà si limitano reciprocamente. Quello di Dio non è un limite, come lo è per noi; è un inchino, una genuflessione che Egli compie davanti alla nostra libertà, da Lui stesso donataci – per la quale solo l’amore è il trattamento adeguato. Questa è la dignità dell’uomo. Questa è la sua vera altezza. Intesa anche come profondità che si svolge interiormente. L’uomo infatti è l’unica creatura che ha una propria dimensione interiore.

Quando questa dimensione sfugge, quando qualcosa che doveva restare nascosto, intimo, viene esteriorizzato, viene visto, allora proviamo pudore. E perché allora c’è un pudore proprio correlato alla nostra sessualità? Perché vedere che alcuni nostri attributi, o il corpo in quanto sessualmente attraente, vengono guardati come possibile oggetto di godimento, non è accettabile.

Nessuno, se non quando misconosce del tutto il suo proprio valore, se non quando non si ricorda più chi è, se non quando si disprezza perché forse ha subito chissà quale diminuzione, accetta senza patire di essere usato. Essere oggetto e non soggetto in una relazione per la persona in quanto tale è inaccettabile.

È la sensualità ingovernata che porta a guardare l’altro come oggetto di godimento. E siccome nell’uomo e nella donna sensualità e affettività hanno uno sviluppo e un rapporto di forza diversi, diverso è anche il fenomeno del pudore. È proprio negli uomini, nei maschi, che il pudore ha una forza maggiore. Perché maggiore è la spinta, l’attivazione rispetto ai valori sessuali della donna. La donna li coglie meno e ne sente meno la forza. Per questo ella è naturalmente più casta (p 129, ibidem). È meno sensibile ai valori sessuali perché li vive associati, quasi nascosti dall’affettività.



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Allora il pudore è come il segnalatore di qualcosa di prezioso che vuole restare nascosto per via del suo valore e della sua bellezza. Il corpo è fonte di pudore non perché è da disprezzare, ma anzi perché è da offrire solo a chi vi si relazionerà secondo modalità che lo rispettino. Ovvero a chi si ama e ci ama e come dono. Da fuori si vedrebbero sempre e solo gli atti della sessualità, ma chi si ama sa che sono atti anche spirituali.

Ripartiamo da questo. Riconsideriamo in noi e negli altri proprio queste dimensioni dove corporeità e spiritualità si fondono misteriosamente. Torniamo a guardarci come ci guarda il Signore. Rivestiamoci di Lui. A partire da questo potremo sbizzarrirci senza timore alcuno nel parlare di moda, colori, tessuti, scarpe, accessori.