La testimonianza lieta e coraggiosa di Cristina GiordanaLuca Borgone, 22 anni, di Cuneo. Alpinista, sky runner, laureando in Biologia, fratello, figlio.
L’8 luglio 2017, intorno alle 11 e 30, precipita durante una competizione sul Cervino.
Doveva laurearsi di lì a pochi giorni. Aveva appena consegnato la tesi in Biologia. Muore con una cosa che era proprio da fare. E al suo posto, allora, anche se senza valore legale, l’ha fatta la sua mamma.
«Gli effetti del succo di barbabietola sulla prestazione sportiva di alta quota».
Questo il titolo. Solo l’amore di una mamma, che aveva fatto gli stessi studi del figlio senza portarli a termine per due soli esami, poteva trovare entusiasmante un tema del genere. Che poi non è nemmeno così vero: basta addentrarsi nel discorso, scoprirne i moventi e lo scopo. E scorgere dietro di esso una grande passione, quella per la montagna e lo sport, a sua volta inerpicata su di un’altra passione ancora più rocciosa e forte. Quella per la vita e per il suo significato.
La mamma, che ha discusso con proprietà di linguaggio, contegno equilibrato, larghi sorrisi la tesi del figlio appena deceduto proprio in seguito ad un incidente ad alta quota, si dice stupita. È sorpresa per il fatto di avere sorpreso così tante persone.
Guardando la foto proiettata sullo schermo dell’aula punteggiato dello sguardo di centinaia di persone, Cristina racconta con una naturalezza che davvero colpisce, un dettaglio da innamorata: questo è ciò che ha visto Luca nel momento della morte.
Le parole che sceglie Cristina sono terse e nette, come l’azzurro del cielo contro il profilo del Cervino. Nessuna maledizione per la montagna assassina. Nessuna lacrima – in pubblico- da prefica romana. Certo, conterà anche il temperamento. Ci saranno momenti nei quali la mancanza di suo figlio si farà sentire con una forza più intensa della certezza della sua presenza. Ma Cristina pare una signora razionale e salda.
«È lì che Luca ha iniziato la sua nuova vita. Questa foto – ha detto Cristina Giordana – l’ho scattata nell’esatto momento della sua dipartita, quelle sono le nuvole che lui ha visto… L’abbiamo potuto ricostruire quando il suo orologio satellitare è stato ritrovato, con i minuti, la quota a cui era salito…». Si dice sicura che si stia divertendo. Che sia quello che sta meglio di tutti, ora.
Cosa c’è di più mutevole di un agglomerato di nuvole che corrono intorno ad una vetta? Eppure quelle, proprio quelle, in quella precisa disposizione reciproca, sono la scena che Luca ha visto prima di affacciarsi altrove.
(Chissà che questa immagine non fosse profetica, per lui. Ha aperto sorridendo le braccia almeno nei pressi di una Croce. E la Croce è la chiave del Paradiso, dobbiamo continuare a ricordarcelo.)
Non ha dubbi sua mamma. È certa che suo figlio viva. Mica può finire in niente un ragazzo così, il suo ragazzo!
“Niente lacrime. La commozione, ha insegnato questa mamma profondamente credente a tutti i presenti, è poter raccontare «un figlio che ha vissuto 22 anni meravigliosi. Con mio figlio ho sempre condiviso tutte le passioni, dalla montagna a quella per lo studio, in un perfetto legame intellettuale. Essere qui era la cosa più naturale, giusta e normale da fare, sono stupita di tanta attenzione. Luca è qui con noi, non dobbiamo scandalizzarci di essere comunque felici».” (Maria Teresa Martinengo, da La Stampa, 21-07-2017)
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Nel video che li riprende proprio il giorno della laurea simbolica e che segue la mamma, la sorella Giulia e il papà fino alle foto di rito – senza corona d’alloro, che Luca si era fatto promettere che nessuno avrebbe comprato – c’è un passaggio che mi ha profondamente colpito.
Perché sono le stesse domande che ho sentito porsi dalla madre di un ragazzo così simile a Luca, anche lui morto per un incidente, sebbene in circostanze più oscure, nel bel mezzo della sua giovane e promettente vita. Ora che Luca è morto, si chiede la sorella, a che è servito tutto questo studiare? I viaggi? I corsi? L’apparecchio ai denti?
Avrà provato quella sensazione di spreco, di sforzo vano, di cose costruite negli anni, sebbene brevi, e poi franate su sé stesse?
La mamma si affretta a raccontare, a favore di telecamera, come a voler rassicurare tutti, il motivo per cui a suo avviso non c’è stato nessuno spreco. Ha potuto vivere anni bellissimi a Torino! Spiega con calore e fermezza.
Ci sono sempre un qui e ora, un luogo e un tempo. Fino al punto di intersezione tra il qui e ora terreno e l’inizio della vita oltre la morte. Non ha dubbi Cristina, oppure li ha vinti. O li lascia in un angolo ad impolverarsi mentre lei continua a seguire l’impeto della vita in sé, in sua figlia, in suo marito, negli occhi forse tremuli di commozione dei compagni di studio e passione del figlio. Me la immagino anche a piangere, questa cara mamma, che sembra farsi carico del dolore degli altri per ridurlo in frantumi.
È credente, profondamente credente, dice l’articolo. E allora ha anche gli argomenti giusti per dire a tutti che non dobbiamo vergognarci di essere pure felici perché Luca non è stato inghiottito dal nulla. Perché tutto ha un senso, anche le barbabietole e il loro disgustoso saporaccio. Anche l’azoto che circola più copioso nel sangue dei nostri fratelli tibetani. Anche le nuvole nei loro rapidi, scomposti balletti.
È una dolce, pacata mestizia, quella che passa soprattutto dagli occhi della sorella e del papà e che in Cristina, la mamma, sembra vinta, come in un’ascesi, da una gioia perseguita con disciplina. In fondo, un figlio, lo hanno già sistemato. E non può essere altrimenti per chi si ricorda ancora che, una volta nati, l’unico vero problema è scegliere la salita giusta e arrivare al Cielo.