Il porporato ci tiene a mettere in chiaro il ruolo positivo da lui svolto e la sua esperienza come Prefetto della Dottrina della FedeSulla questione di Ratisbona e degli abusi subiti da generazioni di piccoli cantori del coro del Duomo, in oltre 50 anni è stato detto molto, così come sono stati tirati in ballo prima Georg Ratzinger, per il suo ruolo di direttore del Coro, poi il cardinale Gerhard Ludwig Müller, vescovo di Ratisbona tra il 2002 e il 2012.
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Al Corriere, intervistato da Gian Guido Vecchi ha detto: «In questi anni ho sperimentato la vergogna, per quanto accaduto nella Chiesa». Il 69enne teologo e curatore dell’opera omnia di Joseph Ratzinger, fino al mese scorso prefetto dell’ex Sant’Uffizio, spiega: «Ho sempre creduto che la misericordia nella Chiesa non è possibile senza una vera giustizia», scandisce. Rivendica – contro ogni addebito – che a far partire l’inchiesta fu proprio lui tra il 2010 e il 2012 quando arrivarono le prime segnalazioni. Il lavoro svolto da lui è stato riconosciuto anche dall’avvocato Ulrich Weber che del Rapporto omonimo è curatore ed estensore, e riferendosi al suo successore nella diocesi, monsignor Rudolf Voderholzer, di cui approva l’operato ma del quale sottolinea anche la differenza di approccio«Lui ha preso questa iniziativa tre anni dopo la mia partenza, in base a nuove informazioni. Non si può fare confusione sulle tappe di un processo di indagine durato sette anni e mezzo. Io ho partecipato al lavoro solo nei primi due anni».
«In realtà, fui io ad avviare il processo di informazione. Incaricai un team di esperti perché investigassero su fatti che sono accaduti cinquant’anni prima del mio mandato come vescovo di Ratisbona. Nel sito web della diocesi c’è una grande documentazione con tutti i passi del nostro lavoro. In questa prima fase, fra il 2010 e il 2012, si fece tutto ciò che era possibile e necessario. Ulrich Weber mi ha anche ringraziato per questa iniziativa. Sette anni dopo è troppo facile giudicare degli inizi, quando ancora sapevamo poco. E poi non è il vescovo ad organizzare e comunicare il lavoro delle persone incaricate di questo compito. Mai ho difeso l’istituzione, piuttosto ho difeso i Domspatzen di oggi, che nulla hanno a che vedere con questi crimini compiuti 50 anni fa».
Padre Hans Zollner ha detto al «Corriere» che la strada è quella giusta, «la verità vi farà liberi»: la Chiesa, facendo luce sul passato senza paura, rende più credibile il suo impegno della lotta alla pedofilia e per la prevenzione. È d’accordo?
«Senz’altro, è sempre stata la mia massima. Come capo di un Supremo Tribunale della Chiesa, sono stato sempre assolutamente determinato nel far dimettere quei chierici che lo meritavano, sempre nel pieno rispetto del diritto di difesa. Devo ribadire una volta in più che qualsiasi accusato, nella Congregazione per la Dottrina della Fede, ha goduto della presunzione di innocenza fino alla fine del processo, e che allo stesso tempo non ho mai negato la voce a nessuna vittima. Tutto questo nonostante le pressioni subite, soprattutto mediatiche. Sono convinto che una giustizia imparziale ed equa sia il migliore aiuto e contributo della Santa Sede ai vescovi del mondo. Solo così potranno poi mostrare l’affetto materno della Chiesa e la riparazione, per quanto possibile, del danno materiale e spirituale subito dalle vittime» (Continua a leggere su Corriere della Sera, 20 luglio).
Ma il cardinale tedesco, è stato di recente anche al centro di mormorazioni legate alla fine del suo mandato come Prefetto della Dottrina della Fede. C’è chi ha voluto vedere un nesso tra la chiusura del rapporto fiduciario tra lui e Papa Francesco, e il Rapporto su Ratisbona magari anticipato dalla diocesi tedesca al Pontefice. Sia nell’intervista al Corriere che in una a Matteo Matzuzzi del Foglio, il porporato smentisce categoricamente che ci possa essere un qualsiasi nesso e spiega le sue posizioni circa Amoris Laetitia e la discussione generata da alcuni cardinali circa il testo, respingendo l’idea che si possa essere cardinali e contemporaneamente contro il Pontefice:
Comprende le ragioni che hanno portato i cardinali Burke, Brandmüller, Caffarra e il defunto Meisner a presentare al Papa cinque dubia sull’esortazione?
“Io non comprendo il motivo per cui non si avvii un dialogo con calma e serenità. Non capisco dove siano gli ostacoli. Perché fare emergere solo tensioni, anche pubbliche? Perché non organizzare una riunione e parlare apertamente su questi temi, che sono essenziali? Fino a oggi ho ascoltato solo invettive e offese contro questi cardinali. Ma questo non è né il modo né il tono per andare avanti. Noi siamo tutti fratelli nella fede e io non posso accettare discorsi sulle categorie ‘amico del Papa’ o ‘nemico del Papa’. Per un cardinale è assolutamente impossibile essere contro il Papa. Cionostante – prosegue l’ex prefetto del Sant’Uffizio – noi vescovi abbiamo il diritto direi divino di discutere liberamente. Vorrei ricordare che nel primo concilio tutti i discepoli hanno parlato in modo franco, favorendo anche controversie. Alla fine, Pietro ha dato la sua spiegazione dogmatica, che vale per tutta la Chiesa. Ma solo dopo, al termine di una lunga discussione animata. I concili non sono mai stati raduni armoniosi”.Il punto è se Amoris laetitia rappresenti o meno una forma di discontinuità rispetto al magistero precedente. E’ così o no? “Il Papa – dice Müller – tante volte ha dichiarato che non c’è un cambiamento nella dottrina dogmatica della Chiesa, e questo è evidente, anche perché non sarebbe possibile. Francesco voleva attrarre di nuovo queste persone che si trovano in situazioni irregolari rispetto al matrimonio, cioè come farli avvicinare alle fonti della grazia sacramentale. Ci sono i mezzi, anche canonici. A ogni modo, chi vuole ricevere la comunione e si trova in stato di peccato mortale deve ricevere sempre prima il sacramento della riconciliazione, che consiste nella contrizione del cuore, nel proposito di non peccare più, nella confessione dei peccati e nella convinzione di agire secondo la volontà di Dio. E nessuno può modificare questo ordine sacramentale, che è stato fissato da Gesù Cristo. Possiamo semmai cambiare i riti esterni, ma non questo nucleo sostanziale. Ambiguità in Amoris laetitia? Può darsi e non so se siano volute. Se ci sono, le ambiguità hanno a che vedere con la complessità della materia e della situazione in cui si trovano gli uomini di oggi, nella cultura in cui sono immersi. Quasi tutti i fondamenti e gli elementi essenziali, oggigiorno, per popolazioni che superficialmente si definiscono cristiane, non sono più comprensibili. Da qui – aggiunge il cardinale – nascono i problemi. Noi abbiamo avanti due sfide, prima di tutto: chiarire qual è la volontà salvifica di Dio e interrogarci sul modo di aiutare pastoralmente questi nostri fratelli a camminare lungo la via indicata da Gesù” (Continua a leggere su Il Foglio, 21 luglio).