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Si può fare la Comunione senza essersi prima confessati?

Catholic priest giving beliver a Holy Communion

© Antoine Mekary / ALETEIA

VATICAN CITY, October 16: Pope Francis attends a Holy Mass and canonization of blessed Salomon Leclercq, José Sanchez del Río, Manuel González García, Lodovico Pavoni, Alfonso Maria Fusco, José Gabrie

Toscana Oggi - pubblicato il 26/06/17

Mi è capitato a volte di rinunciare a fare la Comunione, durante la Messa, pensando di avere qualche peccato da confessare. Una persona però mi ha fatto presente che non è necessario confessarsi ogni settimana e che, a meno di non avere sulla coscienza peccati gravi, fare la Comunione è comunque cosa buona perché l’Eucarestia è anche una medicina che guarisce dai peccati. Nel dubbio, cosa è meglio fare?

Lettera firmata

Risponde don Gianni Cioli, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale

Per rispondere alla domanda mi pare opportuno attingere direttamente alla dottrina del Concilio di Trento che affrontò la questione in maniera dettagliata nella Sessione XIII (11 ottobre 1551) e più esattamente nel Decreto sul santissimo sacramento dell’eucaristia.

Nel secondo capitolo del decreto si legge: «Il Signore, quindi, nell’imminenza di tornare da questo mondo al Padre, istituì questo sacramento. In esso ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi (Sal 110,4), e ci ha comandato (Cfr. Lc 22,19; 1Cor 11,24) di onorare, nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare la sua morte, fino a che egli venga (1Cor 11,26) a giudicare il mondo. Egli volle che questo sacramento fosse ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio (Gv 6,58) e come antidoto, con cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati mortali» (DS 1638, il grassetto è mio).




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Nel settimo capitolo del medesimo decreto a proposito Della preparazione necessaria per ricevere degnamente la santa eucaristia si dice, invece, che «…quanto più il cristiano percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole, piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio, non distinguendo il corpo del Signore (1Cor 11,29). Chi, quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto: L’uomo esamini se stesso (1Cor 11,28). E la consuetudine della Chiesa dichiara che quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale, per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa eucaristia senza aver premesso la confessione sacramentale» (DS 1646-47, il grassetto è mio).




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Sulla base questi testi mi pare non esservi alcun dubbio che la Chiesa ci esorti a fare sempre la comunione ogni volta che partecipiamo alla Messa, quindi come minimo tutte le domeniche, a meno di non essere consapevoli di aver commesso un peccato mortale. La Chiesa ci esorta a fare la comunione tutte le volte che è possibile perché ci ricorda che questo «cibo spirituale» ci libera dalle «colpe di ogni giorno» (cioè dai peccati veniali, come puntualizza anche il Catechismo della Chiesa cattolica) e ci preserva dai peccati mortali.


La Chiesa ovviamente non ci obbliga a fare le comunione tutte le domeniche, (l’obbligo esiste ma è limitato a una volta all’anno!), ma certo ci fa capire che rinunciare alla comunione significa privarsi di un grande aiuto spirituale che il Signore ci ha donato nella sua bontà, consapevole dei nostri bisogni.




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Certo, proprio la consapevolezza della grandezza e della bellezza del dono ci spinge a non accostarci al Sacramento in una condizione indegna e quindi, come puntualizza il Concilio, ciascuno deve esaminare se stesso con sincerità e desiderio di conversione, e confessare i peccati gravi di cui avesse consapevolezza, soprattutto in vista della propria conversione e della vita eterna. Ma se uno non ha consapevolezza di aver commesso peccati gravi non dovrebbe aver timore di accostarsi all’eucaristia.

Questo naturalmente non toglie il valore della confessione frequente anche dei soli peccati veniali, che la Chiesa raccomanda, ma non la si dovrebbe collegare meccanicamente alla comunione.




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L’importante è acquisire la disposizione ad esaminare con sincera onestà, ma senza scivolare nello scrupolo, la propria coscienza e a non peritarsi a ricorrere con sollecitudine al sacramento della penitenza qualora si avesse consapevolezza di essersi allontanati seriamente da Dio che è la pienezza della nostra vita.

Il problema è che è mancata nella Chiesa la capacità di educare i cristiani ad un esame di coscienza serio e sereno. In passato infatti, il timore di essere in peccato mortale portava i cristiani a ritenere che fosse necessario confessarsi ogni volta che intendevano accostarsi alla comunione, col risultato che alle messe domenicali, nonostante la dottrina incoraggiante del Concilio di Trento, facevano la comunione davvero in pochi. Oggi al contrario si ha l’impressione che molti di quelli che partecipano alla Messa, anche a giudicare dalla scarsità delle confessioni, si accostino, nonostante gli ammonimenti di Trento, alla comunione senza farsi grandi problemi circa i propri peccati e, più che altro, senza aver fatto alcun esame di coscienza. In entrambi casi è mancata, e manca, la capacità di discernere. In entrambi i casi si è rischiato, e si rischia, di perdere la gioia della conversione.




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Una via da percorrere per superare la condizione di dubbio circa la propria reale condizione di peccato, a cui allude la lettrice, e per non cadere né in un atteggiamento di scrupolo, che vede il peccato mortale ovunque, né in quello di una superficialità che si autoassolve da ogni peccato, penso possa essere quella di intraprendere un serio percorso di direzione spirituale in grado di fornire sereni criteri di discernimento per camminare e convertirsi nella carità, sentendosi veramente amati da Dio. Egli non è un giustiziere che attende la nostra caduta per condannarci, ma è il Padre che ci attende con amore per correrci incontro e abbracciarci (cfr. Lc 15,20).

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