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10 aforismi di don Milani che dovrebbero conoscere tutti, insegnanti e studenti

DON LORENZO MILANI
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Gelsomino Del Guercio - Aleteia Italia - pubblicato il 18/06/17
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Ecco le più importanti lezioni di vita che ci ha lasciato in eredità il priore di Barbiana

A leggere i suoi testi, più che alle parole di un insegnante sembra di trovarsi di fronte ad un genitore appassionato che dialoga costantemente con i suoi figli.

Don Lorenzo Milani era uno di quei maestri che metteva il cuore oltre la disciplina. Anche questo ha reso celebre la sua scuola popolare di Barbiana. E il suo “testamento spirituale” è rappresentato oggi da tutte quelle lezioni che ci ha lasciato attraverso i suoi testi.

Dal volume “La memoria dei luoghi“, a cura di Francesca Così e Alessandra Repossi (Ancora editrice) abbiamo ricavato dieci piccoli aforismi, dieci lezioni di vita di don Lorenzo che dovrebbero far riflettere ogni docente, ma anche ogni scolaro, ogni genitore.

«La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale» (Esperienze pastorali).

«Eppure io non splendo di santità. E neanche sono un prete simpatico. Ho anzi tutto quello che occorre per allontanare la gente. Anche nel fare scuola sono pignolo, intollerante, spietato.

Non ho retto i giovani con doni speciali di attrazione. Sono stato solo furbo. Ho saputo toccare il tasto che ha fatto scattare i loro più intimi doni. Io ricchezze non ne avevo. Erano loro che ne traboccavano e nessuno lo sapeva» (Esperienze pastorali).

«Con la scuola non li potrò far cristiani, ma li potrò far uomini; a uomini potrò spiegare la dottrina e su 100 potranno rifiutare in 100 la Grazia o aprirsi tutti e 100, oppure alcuni rifiutarsi e altri aprirsi. Dio non mi chiederà ragione del numero dei salvati nel mio popolo, ma del numero degli evangelizzati» (Esperienze pastorali).



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«Caro Teopisto, […]

la fede quando si trova va tenuta stretta per non perderla più» (Lettera del 22 luglio 1955).

«Il prete lo faccio quando amministro i sacramenti. La scuola mi serve per cercare di trasformare i sudditi in popolo sovrano, gli operai ed i contadini sfruttati in persone consapevoli e capaci di rivendicare i propri diritti» (Esperienze pastorali).

«Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti» (Lettera a una professoressa).



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«In sette anni di scuola popolare non ho mai giudicato che ci fosse bisogno di farci anche dottrina. E neanche mi son preoccupato di far discorsi particolarmente pii o edificanti. Ho badato solo a non dir stupidaggini, a non lasciarle dire e a non perder tempo. Poi ho badato a edificare me stesso, a essere io come avrei voluto che diventassero loro» (Esperienze pastorali).

«I ragazzi qui studiano e pensano, ma anche io studio e penso con loro. […] normalmente arriviamo alla verità insieme. Quando rimane qualche divergenza, il bene che ci vogliamo ci aiuta a risolverla e a convivere senza tragedie. Perché questo bene è fatto di rispetto reciproco» (Lettera ad un amico, Natale 1965).

«Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, […] ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto» (Testamento del 1° marzo 1966).

«Devo tutto quello che so ai giovani operai e contadini cui ho fatto scuola. Io ho insegnato loro soltanto a esprimersi, mentre loro mi hanno insegnato a vivere».



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