Negli USA la “destra alternativa” ha sostituito i riferimenti alla fede con un approccio paganeggiante alla tutela della “tribù”
“Sono pagàno perché questo è l’unico modo con cui potrei essere fedele a chi, e a cosa, sono davvero. Sono pagàno perché gli aspetti migliori della nostra civiltà derivano dall’Europa pre-cristiana” – Stephen McNallen, scrittore ed editorialista di AltRight e Radix
La cosiddetta “Alt-right” è un movimento politico di estrema destra, non strutturato seppur in costante crescita, che si pone l’obiettivo di proporre un’alternativa alla destra conservatrice in opposizione alle sinistre. Un movimento subculturale – nato negli Stati Uniti e sviluppatosi attorno a forum, siti web e social – che sfocia nel suprematismo bianco e in pericolose derive estremiste.
Il termine, usato per la prima volta dal giornalista e attivista di destra Richard Spencer, è stato sdoganato alla cultura di massa durante le elezioni presidenziali del 2016. Steve Bannon, responsabile della campagna elettorale di Donald Trump, è l’ex direttore del sito Breitbart News, definito da lui stesso come la “piattaforma internet dell’alt-right“.
Il video qui sotto mostra l’esultanza di Spencer alla notizia dell’elezione di Trump, al grido di “Heil Trump, heil our people, heil victory”.
Richard Spencer è anche alla guida del think thank National Policy Institute (NPI), la cui descrizione sul sito web non lascia molto margine alla fantasia: “un’organizzazione indipendente dedicata al patrimonio, all’identità e al futuro delle persone di discendenza europea residente negli Stati Uniti e in tutto il mondo”.
“È il sogno di una società nuova”, spiega Spencer, “un etno-Stato, il punto d’incontro per tutti gli europei. Dobbiamo attivarci per una pulizia etnica pacifica”.
LA SECOLARIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ AMERICANA
Negli ultimi dieci anni, numerosi sondaggi hanno mostrato che gli americani stanno abbandonando sempre di più le religioni organizzate. La fascia di popolazione che rifiuta qualsiasi affiliazione religiosa è in rapida crescita, passando dal 6% nel 1992 al 22% nel 2014 (tra i millennials la percentuale sale al 35%).
Un’inchiesta dell’Atlantic ha sottolineato che sono stati soprattutto i repubblicani non praticanti ad abbracciare l’ideologia di Donald Trump. Perché seppur abbiano “abbandonato la religione organizzata”, gli americani non hanno abbandonato la “visione politica dell’eterna lotta tra noi e loro”.
Secondo i dati raccolti dal Public Religion Research Institute (PRRI), dal 1990 la percentuale di bianchi repubblicani che non si identificano in nessuna religione organizzata è quasi triplicata.
Durante la campagna di Trump, molti commentatori hanno avuto difficoltà a conciliare il cristianesimo apparentemente superficiale di Trump con il sostegno che gli hanno offerto gli evangelici. Ma come osservato da Geoffrey Layman della University of Notre Dame, “Trump ha avuto la meglio tra gli evangelici che avevano una caratteristica fondamentale: quelli che non vanno in chiesa e non sono praticanti”.
Un sondaggio del Pew Research Center dello scorso marzo ha rilevato che Ted Cruz ha avuto 15 punti di scarto su Trump, tra i repubblicani che partecipano a funzioni religiose su base settimanale; ma il tycoon newyorchese ha superato Cruz di ben 27 punti tra coloro che non frequentano abitualmente la chiesa.
È anche emerso che in America i conservatori bianchi che non partecipano regolarmente alla vita ecclesiale tendono ad avere minore successo economico, e le loro famiglie risultano più disgregate, rispetto a quelli che vanno in chiesa regolarmente. Inoltre, la prima categoria tende ad essere più pessimista e a covare più risentimento sociale. Secondo W. Bradford Wilcox, sociologo presso l’Università della Virginia, all’interno della classe operaia bianca chi non frequenta regolarmente la chiesa ha più probabilità di vivere un divorzio, dipendenze di vario tipo e di sperimentare difficoltà finanziarie.
IL RAZZISMO COME FULCRO DI QUESTA IDEOLOGIA “ALTERNATIVA”
In altre società, la tendenza alla secolarizzazione ha riportato al centro del dibattito sociale e politico l’essere umano. La religiosità, in altre parole, tende a scomparire a vantaggio dell’umanesimo (dove per entrambe intendiamo sistemi di valori che si prefiggono il raggiungimento del pieno riconoscimento della dignità umana, seppur con diversi punti di partenza e diversi percorsi). Ma non è questo il caso della secolarizzazione a stelle e strisce.
Un’altra ricerca dell’American National Election Studies (ANES) dimostra infatti che a chi frequenta la chiesa in modo saltuario sembrerebbe interessare meno il programma politico della destra cristiana tradizionale, preferendo le emozioni suscitate dall’agenda di Trump sul creare posti di lavoro, sul migliorare il benessere economico degli americani e sull’arginare i flussi migratori. In altre parole, danno più importanza a questioni socio-economiche che a battaglie di tipo etico.
Dalla ricerca emerge inoltre che il mix tra risentimento sociale e identitarismo porta questa fascia di popolazione ad essere meno tollerante verso le comunità afro-americane, sudamericane e musulmani.
Nel libro “Religion and Politics in the United States”, Kenneth D. Wald e Allison Calhoun-Brown sostengono che quando i conservatori si allontanano dalla religione organizzata tendono a ridisegnare i confini della propria identità, mettendo da parte l’aspetto morale e religioso a favore di quello razziale e nazionale. Ad approfittare di questo fenomeno sono stati sia Trump che l’alt-right (lo so, qui rischio una tautologia), con la loro retorica contro i rifugiati e l’immigrazione.
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Perché chi non accoglie non può dirsi cristiano
Nel suo articolo sull’Atlantic, Beinart attribuisce l’ascesa della destra alternatica al declino del senso di appartenenza cristiana tra i conservatori. Le riflessioni dei suprematisti bianchi, sottolinea Beinart, fanno sempre meno riferimenti al cristianesimo, esaltando invece come un totem le ancestrali radici europee. Nel vademecum “An Establishment Conservative’s Guide to the Alt-Right”, pubblicato da Milo Yiannopoulos e Allum Bokhari sul già citato Breitbart.com, ci sono cinque riferimenti alla “comunità”, sette alla “razza”, tredici all’“Occidente” e uno solo al “cristianesimo”. E non è una coincidenza. L’alt-right è tendenzialmente sospettoso verso il cristianesimo per la sua chiamata universale e al di là dei concetti di sangue e di territorio.
“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” – Galati 3:28
E l’ampollosa enfasi del comunitarismo e dell’identità, che talvolta sfocia nell’aperta xenofobia, è in contraddizione con i principi del cristianesimo. Sul valore intrinseco di ogni vita, l’enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II è chiara:
Come discepoli di Gesù, siamo chiamati a farci prossimi di ogni uomo (cf. Lc 10, 29-37), riservando una speciale preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso l’aiuto all’affamato, all’assetato, al forestiero, all’ignudo, al malato, al carcerato — come pure al bambino non ancora nato, all’anziano sofferente o vicino alla morte — ci è dato di servire Gesù.
L’ANTISEMITISMO ELEVATO A FARO VALORIALE
Paul Ramsey, elemento di spicco dell’humus culturale dell’alt-right, ha pubblicato diversi video (a cui ci rifiutiamo di offrire visibilità) in cui accampa spiegazioni pseudo-scientifiche con le quali mette in dubbio il numero degli ebrei trucidati dalla macchina mortifera nazista, arrivandosi a chiedere se sia “sbagliato” non provare “alcuna tristezza in merito all’Olocausto”.
Nella narrativa della destra alternativa è ricorrente l’immagine dello spettro del controllo ebraico del mondo, in cui gli israeliti minerebbero alla “civiltà bianca”, fungendo continuamente da capro espiatorio. Anche se, a causa della citata non sistematizzazione di questa ideologia, non mancano le contraddizioni. Tra allusioni nazionalsocialiste e braccia tese del proprio pubblico, Richard Spencer ha dichiarato: “Gli ebrei esistono ancora proprio perché non si assimilano … e per questo li rispetto. Vorrei che anche il mio popolo si comportasse nello stesso modo”.
Molti “intellettuali” dell’alt-right si definiscono atei, agnostici, ex-cristiani o addirittura pagani. E non dovrebbe sorprendere: la sub-cultura che pretendono di rappresentare è, intrinsecamente, contraria al concetto di dignità umana. In altre parole, è profondamente anti-cristiana, seppur spesso mascherata da una superficiale parvenza di religiosità.