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Cosa ci insegna il film Silence sull’essere missionari?

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Don Rocco Malatacca - pubblicato il 22/01/17
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Seconda parte dell’esegesi del film di Martin ScorseseLa missione è costruire pozzi artesiani, metter su scuole, proporre e finanziare opere. La missione è dar da mangiare a quelli che muoiono di fame, noi che i soldi li abbiamo. Se qualcuno andasse a provare la fame con chi non riesce a grattare il vetro del market non lo troviamo affascinante. La percezione di cosa sia missione in Silence è evidente, ma bisogna osservare bene cosa sia fede nel film, pena la brutta abitudine di far dire al film quello che il film non dice, ed io lo dico perché, dopo la visione del film, ho trovato subito diverse persone che mi hanno fermato per catechizzarmi sulla tolleranza, sul fatto che bisogna rinunciare alla fede per non creare problemi alle altre culture, che bisogna dialogare tra religioni perché “son migliori”. Non credo che il film parli di questo.

Premesso che in Silence c’è una overdose di cattolicesimo a cui i salotti colti delle nostre metropoli non sono abituati, dove ci si scomoda la fatica di alzarsi non trova le ciabatte giuste. Dipende dalla percezione che abbiamo del film, che necessariamente scomoda, perché dipende anche dalla percezione della missione. Cominciamo a lasciarci scomodare.

In Portogallo, all’inizio, c’è una missione comoda. La missione seduta in scrivania è un progetto, è una macchina organizzativa che spiega le sue forze, è un planning che resta stupito delle debolezze, che ha davanti la visione del trionfo della fede. Non male, peccato che il trionfo della fede sia inteso come il nostro trionfo, di noi che andiamo da loro. Il pathos del colonialismo si sente subito. Il Cristo di “El Greco” davanti a cui prega Rodriguez la dice lunga sul ruolo dell’immaginazione che ci turba la percezione del relae. Prosaico forse, ma reale. Questa la prima lezione di Silence: la missione nel reale. Esci dall’immaginazione, o sei come il prete missionario adorato, utile, credente, ma “in gabbia”, che sa uscire “quando non c’è pericolo” che l’immaginazione sia graffiata. L’immaginazione riguarda sé, “il missionario”, posizione sempre ricercata nel sociale, se c’è l’applauso, e riguarda anche coloro che io voglio raggiungere.

La seconda lezione è la mano di un fratello; Rodriguez e Garupe a portare Kochijiro in Giappone o se è costui a portare loro, se è quel necessario movente della Provvidenza che fa arrivare le persone giuste nel posto giusto. Riusciamo a uscire dalla nostra immaginazione per mano di un altro, spesso debole, perché più reale di noi, astratti, e la cosa riguarda anche coloro che io voglio raggiungere. Rodriguez guarda Kochijiro vomitare, non ha né dignità né decoro costui per il Gesuita e la sua persona così ferita, frammentata, non è un’occasione di preghiera ma di meditazione dispregiativa; ha bisogno di convincersi che il Signore ha deciso di morire per persone come lui; c’è bisogno di avvicinarsi a dare la Comunione ai contadini per vedere che, dando la comunione, Cristo non ha paura di arrivare fino ad essi: “Cristo non è morto per i belli e per i buoni”. Deve rompersi la magia, per imparare dalla realtà che Cristo ama persone reali, fino a capire che quelli di fronte non sono “contadini” o “poveracci” o “immigrati” o “barboni” ma sono anime. Questa piccola parola che dice coscienza, che soffrono, gioiscono, si turbano, litigano, si abbracciano, devono scegliere la fede per decidere di se stessi.

La fede semplice dei contadini porta i Gesuiti a dover capire che la fede è una cosa seria. Queste anime, che vivono nelle campagne, insieme, nel pericolo, hanno fede, la fede cattolica, ma la differenza sta nella serietà. Per essi è la differenza tra essere svalutati come bestie e riconoscersi davvero uomini. Altre cinquanta sfumature di umanità non contano, sono da salotto.

Impiantare la Chiesa

Inoue sferza Rodriguez: “Non conosci il Giappone” e Rodriguez: “non conosci il Cristianesimo”. Cos’è, una sfida? Sì, si pone così la questione, e Inoue e Rodriguez sono seduti di fronte, affrontandosi, sguainate le lingue, invocando la “sfida”. La missione non è una sfida, né con se stessi, né contro gli altri. L’atteggiamento di sfida crea quella percezione della missione della Chiesa cattolica come invadente e aggressiva, una “donna brutta e sterile che non va desiderata come moglie”, “questa è la missione”. Bisognerà attendere la fine del film, con Rodriguez “sconfitto dal Giappone”, per accorgersi che “la Chiesa è cambiata… non è come prima”. Cosa è cambiato? Nulla, la percezione che Inoue aveva della cosa, non è più un pericolo. L’atteggiamento aggressivo crea i nemici di cui si ha paura.

Il seme caduto in terra

Inoue rimprovera che la Chiesa cattolica va bene “per il Portogallo, per la Spagna, ma non per il Giappone”. Inoue ha torto? È un giapponese, è un governatore, vede la Chiesa cattolica una cosa sola con quelle nazioni e, per quanto non assimilabile, è in ogni caso un “prodotto occidentale”. Ora, la questione qui è nell’essere percepiti come un corpo estraneo che è stato seminato nella latinità, è cresciuto ma è anche ormai un tutt’uno con un mondo che ne ha portato la gestazione. Impensabile l’importazione della Chiesa impacchettata e con fiocco, in un Giappone così diverso.

La questione che si pone è quella del seme. C’è bisogno del seme, ed al seme sono richieste alcune cose: che abbia in sé tutto il DNA di ciò che andrà a sviluppare, che sia disposto a farsi piantare, che sia disposto a morire perché se non muore rimane solo, se muore porta molto frutto. Un seme che non muore non diventerà albero.

  1. Il DNA. Silence insiste per questo sulla necessità della fede cattolica, che è essenzialmente il legame col Signore ma il Signore reale, non immaginario, non intellettuale. I contenuti di fede non sono eliminati, devono essere contenuti del seme, sennò il seme è senza identità, ma dice anche di più. Noi spesso pensiamo alla “verità” (ed è vero) della fede, ma dimentichiamo che la “verità” sussiste in quanto una cosa sola con noi che la portiamo ovunque andiamo. Non siamo contenitori di biscotti, la fede è tutt’uno con noi e la questione verte dunque sul seme, se ha fede per se stesso o concepisce se stesso per il Signore. Ovvero, la donazione di sé è parte integrante della fede cattolica. Non può mancare, altrimenti ci sono tutti i paramenti della fede e l’esteriorità, ma non lo Spirito di Cristo. Rodriguez e Ferreira non possono essere missionari se non accettano la vergogna ossia il prezzo di se stessi per la missione. Papa Francesco direbbe “ la realtà è più importante dell’idea”.
  2. Il terreno. Silence insiste per questo sulla conoscenza reale del Giappone, non quella dei libri, ma quella che ognuno riesce a sperimentare sulla propria pelle. Per questo la conoscenza dei libri che scrive Ferreira per il governatore passa in secondo piano, in un paese refrattario al cristianesimo, perché non è a colpi di idee che si apre la mente, ma nello stesso modo in cui il cristianesimo entrò nel mondo latino: lentamente, realmente, di bocca in bocca, con un passaparola esistenziale. Cominciare un processo è tutto, piuttosto che conquistare spazi, è uno dei cardini della Evangelii Gaudium. La missione non è colonizzazione, per prendere alcuni “dei loro” e farli diventare “dei nostri”, ma è accoglienza, con i tempi e le condizioni dell’accoglienza, tempi lunghi e modi lenti. Così avviene anche una conoscenza sulla propria pelle della terra in cui si arriva a predicare il vangelo, altrimenti ci si mette in testa idee e addosso vestiti: piuttosto che inculturazione (ne è una conseguenza) è accettazione a entrare all’interno di un terreno.
  3. Il seme muore. Una qualche forma di martirio, non necessariamente fisico, è necessaria alla missione, altrimenti il seme caduto in terra non muore e resta solo. Soprattutto, se non c’è, si rischia di considerare importanti la cultura e le usanze, come uno schermo. No, la missione è per le anime. Non dobbiamo correre il rischio di banalizzare. Per Silence la cultura giapponese non è necessariamente importante, anzi, dice esattamente il contrario: nessuna cultura è importante, sono solo usanze locali, lo ribadisce sempre quel resoconto freddo e culturale che arriva fino alla fine del film, finché le si combatte le si rende più importanti di quelle che sono e oscurano le coscienze. Inoue, che parla tanto di Giappone, disprezza i contadini, proprio in virtù del Giappone; Rodriguez, accettando il “martirio” fa ciò che Inoue non può, lascia i vestiti, abbandona la sedia, fa quello che ne hanno voluto. La moglie di Rodriguez diventerà cristiana? Sì, lo testimonia il crocifisso messo tra le mani di lui alla morte, ma perché si è accorta, in silenzio, per chi suo marito faceva ogni cosa, perché non è la fretta dei numeri e delle cose ma è la lentezza delle cose che crescono a dare il ritmo della missione, perché, il Papa direbbe, “il tempo è superiore allo spazio” e conta più cominciare processi che conquistare spazi.

Ovviamente, la missione è come il martirio, qualcosa che si fa solo per l’unico Signore Gesù Cristo, dando se stessi.