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E’ davvero possibile l’istituzione delle diaconesse?

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 25/05/16
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Militello: dibattito ancora inficiato da pregiudizi. Vitali: ok, ma solo se ad ministeriumPapa Francesco ha detto di voler riprendere lo studio sul diaconato femminile nella Chiesa primitiva. Ne ha parlato durante l’udienza all’Unione internazionale Superiore generali (Uisg), ricevute in Vaticano (Aleteia, 12 maggio).

Secondo una tradizione antichissima, scrive Vatican Insider (12 maggio), il diacono in realtà veniva ordinato «non al sacerdozio, ma al ministero». Esistono alcune testimonianze della storia sulla presenza di diaconesse, sia nella Chiesa occidentale che orientale. Le testimonianze fanno riferimento anche a riti liturgici di ordinazione. Il punto da approfondire è che tipo di figure ministeriali fossero, quali erano i ruoli che svolgevano all’interno della comunità. La posizione del magistero, che considera il diaconato come il primo grado del ministero ordinato, lo riserva soltanto agli uomini esattamente come avviene per gli altri due gradi, il presbiterato e l’episcopato.

Con l’annuncio di voler istituire una commissione di studio sul diaconato femminile nella Chiesa primitiva, Francesco vuole verificare se e come attualizzare quella forma di servizio.

LA CHIESA PRIMITIVA

«Notizie sicure di un diaconato femminile organizzato – premette monsignor Enrico dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense in “Laici e Laicità nei primi secoli della Chiesa” – si hanno solo per l’Oriente. La Didascalia degli Apostoli parla infatti delle diaconesse, assegnando loro un ruolo chiaramente subordinato ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi. Di fatto neppure in Oriente le diaconesse potevano aspirare a funzioni gerarchiche, rientrando piuttosto le loro competenze in servizi di tipo ausiliario, a supporto assistenziale e organizzativo delle comunità».

Quanto alle Chiese occidentali, «il diaconato delle donne resta praticamente ignorato, mentre, come già si è visto, il gruppo delle vedove assolve gli uffici delle diaconesse, e occupa un posto di particolare rilievo tra la fine del II e la prima metà del III secolo».

Intanto il documento che inquadra storicamente la presenza delle diaconesse è Il diaconato Evoluzioni e prospettive (2003) (IV capitolo “Il ministero delle diaconesse” in epoca apostolica) a cura della Commissione Teologica Internazionale.

IL MINISTERO DIACONALE

Cettina Militello, docente di Ecclesiologia e Teologia presso diverse Facoltà ecclesiastiche, premette ad Aleteia che «il solo percorso storico – la Commissione Teologica Internazionale lo disegna puntualmente – non basta a sciogliere la questione perché, al femminile come al maschile, bisogna prima stabilire cosa sta dietro a termini “ministeriali” che solo progressivamente hanno assunto, e lentamente, il significato che oggi loro attribuiamo».


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LE RADICI DELLA DISCRIMINAZIONE

Di certo, prosegue la teologa, «nel Nuovo Testamento c’è un solo ministero: la diaconia, ossia il “Servizio” di cui si fa segno Gesù nella lavanda dei piedi. Il resto appartiene alla “evoluzione” via via più mirata che le Chiese danno della diaconia. Nel servizio – che poi è traduzione del “carisma”, ossia del dono ricevuto dall’Alto per l’utilità comune – troviamo accomunati uomini e donne; come del resto uomini e donne stavano alla sequela di Gesù, e gli studi recenti confermano. Come ciò diventi potere e discriminazione è difficile capire. La Chiesa vive nella storia e ne assimila i contesti. Solo questo spiega l’erosione, sino a smentire il termine stesso servizio».

LE PRIME DIACONESSE

Nelle comunità apostoliche, evidenzia Militello, «sono presenti diverse donne, delle quali si indicano compiti che, se fossero stati esercitati da uomini, non si avrebbe difficoltà a riconoscere “ministero”. Certo, c’è anche l’imposizione delle mani, ma, forse, solo a partire dalle Lettere pastorali possiamo leggerla come una sorta di anticipazione di celebrazioni rituali vere e proprie con le quali poi si sarà istituiti o ordinati. Ad esempio nel capitolo 16 della Lettera ai Romani troviamo Febe, he diakonos (diaconessa) della Chiesa di Cencre, indicata anche come prostátis (che ha protetto), e si dice kopiôsas (che hanno faticato) di Maria, Trifena e Trifosa, e di Perside. Per non parlare di Giunia detta “apostolo insigne”! Comunque sia, nella Chiesa antica «è largamente attestata la presenza delle diaconesse, soprattutto in Oriente».

FUNZIONI IN COMUNE

La testimonianza liturgica relativa al rito di ordinazione «non distingue molto tra uomini e donne – aggiunge la teologa – stessa preghiera epicletica, stesso luogo (il bema), stesse consegne (stola e calice)».

«Ovviamente poi diverso è il servizio per ragioni culturali e le diaconesse svolgono compiti relativi alle donne (catechesi, visite, assistenza, unzioni battesimali, controllo del loro buon ordine nelle assemblee), ma, come nel caso di Olimpia, interlocutrice di Crisostomo (cfr. Cettina Militello, Donna e Chiesa. La testimonianza di Giovanni Crisostomo, EdiOtfes, Palermo 1986), fanno anche molto altro che le accomuna agli uomini (sono latrici di lettere, intessono pubbliche relazioni, sono portavoce del vescovo e al suo personale servizio, ecc.).

LE DUE LINEE DEL VATICANO II

Se da un lato la distanza tra le funzioni di diaconi e diaconesse non è così abissale, dall’altro occorre capire quanto sia dibattuta a livello accademico la proposta del Concilio Vaticano II di sciogliere il Diaconato dall’ordinazione per permettere l’ingresso delle donne.

«In Concilio ci furono due interventi di segno contrario – sottolinea Militello – quello di monsigor Roo che proponeva un diaconato istituito ma non sacramentale, e quello di monsignor Hallinan che invece era favorevole al diaconato ordinato femminile. Si tratta di interventi scritti a cui non seguì un particolare dibattito. Ma nessuno in Concilio ha proposto di “sciogliere” il diaconato dall’ordinazione per permettere l’ingresso delle donne. Ha studiato il contesto e l’eco Serena Noceti (cfr. “Donne e Vaticano II: i documenti” in Cristina Simonelli  e Matteo Ferrari (a cura), Una Chiesa di uomini e di donne, Camaldoli 2015)».

IL POST CONCILIO

«Quanto al post-Concilio – aggiunge la teologa – c’è qualcuno che ha sostenuto la tesi del ministero istituito ma non ordinato, e altri/e che hanno detto diversamente. Un contributo rilevante attuale è quello di Moira Scimmi (cfr. Le antiche diaconesse nella storiografia del secolo XX. Problemi di metodo, Glossa, Milano 2004)».

Alcuni di quelli che mettono in forse l’ordinazione al diaconato femminile, «estendono la loro riserva persino al diaconato uxorato, sostenendo che l’ordinazione diaconale sarebbe veramente tale solo se propedeutica al presbiterato. Il che, teologicamente, è follia pura. Ovvero misoginia pura! Rispunta altrimenti (e parossisticamente) la insignificante antropologia dell’impedimentum sexus!».

STOP AI PREGIUDIZI

E allora come accogliere l’invito del Papa a riaprire un dibattito sulle diaconesse e concretizzare, eventualmente, questa strada? «Personalmente sono del parere che la questione è culturale – sentenzia la docente di Ecclesiologia – Siamo lontanissimi, e non solo nella Chiesa, dall’accettare la pari consistenza antropologica e dignità di uomini e donne. Sino a quando non avremo metabolizzato come comunità ecclesiale che in Cristo Gesù non c’è più né schiavo né libero, né giudeo né greco, né uomo e donna (cfr. Gal 3,28), non approderemo a niente. Sono convinta che la questione del ministero non sia radicalmente d’indole teologica (né biblica né dommatica – antropologica o ecclesiologica); né, alla fine, sia dirimente invocare la traditio perpetuo serbata. Come per altre questioni – e la storia ce ne testimonia tante –  si tratta di invocazioni inficiate da pregiudizio».

LA DIGNITA’ BATTESIMALE

Militello non pensa tuttavia «a soluzioni né sollecite, né facili. Spero in una conversione profonda riguardo alla comune dignità battesimale. Sì, il paradosso è questo: ciò che è fondamentale è il battesimo, l’iniziazione cristiana che mai ha discriminato uomini e donne. Eppure – chiosa – la si è minimizzata sino a negare di fatto lo statuto stesso del popolo di Dio portatore tutto di carismi e perciò chiamato a esercitarli in docilità allo Spirito (LG 9-13). È questa poi, la lezione del Vaticano II; ahimè rimossa o disattesa».

TESTIMONIANZE LACUNOSE

Don Dario Vitali, docente di Ecclesiologia alla Pontificia Università Gregoriana, è prudente sulle diaconesse nella Chiesa primitiva. «Dal punto di vista storico – spiega – le notizie sulle diaconesse sono assai lacunose e frammentarie. D’altronde, quando si propone una ricostruzione delle origini cristiane, bisogna essere sempre consapevoli che si tratta di congetture. Anche in possesso di testimonianze che usano i termini abituali per dire i gradi della gerarchia, non possiamo ipso facto dedurre che si tratti della stessa realtà: un processo di sviluppo delle istituzioni cristiane lungo due millenni non permette una percezione esatta di come stessero le cose nei primi secoli».

DIACONESSE E CATECUMENI

Pur con queste cautele, sottolinea Vitali, «da un punto di vista storico non si può negare che siano esistite le diaconesse. Gli studi in merito sono tantissimi e storicamente fondati, e attestano una presenza notevole delle diaconesse nella Chiesa dei Padri, soprattutto in Siria, e poi a Costantinopoli al tempo dei Padri Cappadoci, per quanto sia difficile precisarne la natura». Probabilmente, continua il l’ecclesiologo, «la sua istituzione va legata alla celebrazione dell’iniziazione cristiana, quando il diacono assisteva il catecumeno che entrava nudo nella piscina per il lavacro battesimale e riceveva l’unzione con l’olio dei catecumeni: regola di ovvia decenza voleva che ad accompagnare le donne fosse una diaconessa».

L’IMPOSIZIONE DELLE MANI

Discussa, puntualizza anche Vitali, è anche «l’imposizione delle mani sulle diaconesse, ovviamente legata alla questione se si trattasse di semplice benedizione o di ordinazione vera e propria. Si tratta però di una questione mal posta, perché determinata dalla preoccupazione di riservare il diaconato agli uomini, trasformandolo in un grado previo al presbiterato e all’episcopato».

VESCOVI E DIACONI

Altro punto dolente riguarda il dibattito sul Concilio e la funzione del diaconato.


«La preoccupazione del Vaticano II – sottolinea il teologo – è stata quella di ripristinare il diaconato “come grado proprio e permanente della gerarchia”. È, questa, la formula utilizzata da Lumen gentium, al n. 29, il paragrafo che tratta per esteso dei diaconi. Il testo conciliare chiarisce che i diaconi si trovano “nel grado inferiore della gerarchia“, e che a loro “sono imposte le mani non ad sacerdotium, sed ad ministerium“. La formula è patristica e indica come i diaconi partecipino del ministero del vescovo e ne prolunghino in qualche modo la funzione non in ciò che è ad sacerdotium, dove il soggetto è propriamente il presbiterio, ma soltanto per ciò che è ad ministerium, cioè per tutte quelle funzioni ministeriali che hanno a che fare con le necessità della comunità».

I BISOGNI DELLA COMUNITA’

In altre parole, evidenzia Vitali, «il ministero del vescovo è diversamente partecipato dai presbiteri, che formano con lui un solo organismo, il presbiterio appunto, la cui funzione riguarda ciò che è ad sacerdotium, e dai diaconi, che ricoprivano forme ministeriali diverse a seconda del discernimento del vescovo sui bisogni della comunità. Si capisce in questa direzione come e perché il ministero diaconale – dei diaconi e delle diaconesse – fosse rivolto soprattutto a ministeri che avevano a che fare con la catechesi e la carità». Si tratta comunque di due realtà «radicalmente diverse, che trovano composizione e unità nel ministero del vescovo, che ha “la pienezza del sacramento dell’ordine”. Sta qui la possibilità di pensare un ripristino del diaconato femminile».

SOLO “AD MINISTERIUM”

A questo punto, conclude lo studioso di Ecclesiologia, è possibile pensare ad un diaconato “in rosa” «a condizione di questa netta distinzione: che il diaconato sia ad ministerium e non riguardi ciò che è invece ad sacerdotium. Anche prescindendo dalla questione del sacerdozio alle donne, questo è e deve rimanere un punto fermo della dottrina. Una possibilità del genere non è in alcun modo contraria alla Tradizione, e non introdurrebbe novità che sovvertono la costituzione della Chiesa. Semmai, bisogna ricordare che la scelta di legare insieme diaconato e presbiterato, costruendo il cursus honorum degli ordini minori e maggiori, è molto più recente e spiega la caduta nell’oblio – probabilmente voluta – del diaconato femminile».

L’apertura del papa, chiosa il docente della Gregoriana, «offre la possibilità di studiare il problema e di aprire strade feconde per la presenza delle donne nella Chiesa dal punto di vista sia ministeriale che decisionale, dal momento che “il diaconato è un grado proprio e permanente della gerarchia“».