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Cos’hanno oggi in comune ebrei e cristiani?

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Alvaro Real - Aleteia - pubblicato il 06/04/16
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Che senso ha la tua vita? Che senso ha la Rivelazione nella storia dell’umanità? La fede giudaico-cristiana ha davvero molto da direLe principali mete di dialogo tra ebrei e cattolici sono “conoscenza reciproca perché ci conosciamo molto poco; la costruzione congiunta di una cultura di pace, di riconoscimento reciproco e di progresso e lavorare insieme superando situazioni di antisemitismo che si verificano ancora in molti Paesi”.

Lo hanno affermato il rabbino David Rosen, interlocutore di papa Francesco per il dialogo ebraico-cristiano e uno dei leader ebraici più importanti a livello di questioni interreligiose, e il sacerdote Florencio Sánchez, direttore dell’Istituto John Henry Newman dell’Universidad Francisco de Vitoria (UFV) di Madrid.

I due hanno affrontato le sfide di oggi e la necessità di “lavorare insieme per contribuire a un mondo migliore” nella tavola rotonda “I doni di Dio sono irrevocabili. 50 anni di dialogo ebraico-cattolico”, organizzato dalla UFV e dalla comunità ebraica internazionale.

Nel programma El Espejo de COPE, Angel Barahona, decano di Umanistica della UFV, ha parlato del rapporto tra ebrei e cristiani, delle loro radici, della secolarizzazione come problema comune e della continuità tra il Dio dell’Antico e quello del Nuovo Testamento.


Complimenti per la tavola rotonda. Perché la necessità di questo dialogo con la Nostra Aetate sullo sfondo?

Abbiamo istituito una cattedra, un centro Isaia II con la visione centrata sul dialogo interreligioso. Pensiamo che un’università debba essere sempre aperta al dialogo, alla cultura, soprattutto con i nostri fratelli ebrei.

Il mondo ebraico ha molte cose da dirci, e noi abbiamo molte cose da imparare da lui.

Abbiamo un aspetto in comune, cioè che anche gli ebrei stanno sperimentando la secolarizzazione, la laicizzazione, e abbiamo bisogno di questo dialogo, soprattutto nel contesto in cui si celebrano i 50 anni della Nostra Aetate.

Nel dibattito si è parlato di molte cose, come il rapporto tra cattolici ed ebrei e quello tra l’Antico e il Nuovo Testamento…

È un punto importante, anche con il documento presentato dal cardinale Kurt Koch sull’irrevocabilità dell’alleanza. Non si può capire il cristianesimo senza l’Antico Testamento, senza l’antica alleanza…

Non c’è più spazio per quella che veniva indicata come “Teoria della Sostituzione”. Secondo questa teoria, il nuovo popolo di Dio, l’eletto, era la Chiesa. No. I papi (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco) ci hanno detto che non è più così.

Parliamo del passaggio dall’alleanza con il popolo di Israele all’arrivare, nel cristianesimo, a trascendere tutti i popoli, tutte le Nazioni e tutti gli uomini…

Esattamente… è questo il punto. San Paolo è il primo a esprimere questa chiamata all’universalità.

Una delle domande che la gente si pone è “Com’è possibile che il Dio giustiziere, il Dio Padre, il Dio di Sodoma e Gomorra, il Dio dell’Antico Testamento sia anche il Dio misericordia, il Dio della parabola del figliol prodigo, il Dio del Nuovo Testamento?”

È un punto che in qualche modo scandalizza, ma la teologia sa che c’è un progresso in questo senso, e anche gli ebrei hanno aperto a questa possibilità… David Rosen è uno dei pionieri nel riconoscimento del fatto che la storia della salvezza deve includere il cristianesimo.


Leggi anche: “Un buon cristiano deve riconoscere le sue radici ebraiche”


È una delle forme in cui Dio parla… Non è che sostituisca, ci sono semplicemente una continuità e un progresso morale che tutti dobbiamo scoprire. Questo Dio non è quel Dio giustiziere, il Dio di sola etica, ma un’altra cosa.

 

50 anni di dialogo ebraico-cattolico, una via sulla quale bisogna andare avanti. Possiamo aiutarci a vicenda, ebrei e cristiani?

Cristo è incomprensibile senza l’ebraismo e l’Antico Testamento. Ora ci sono moltissime tesi di dottorato e libri che parlano del rapporto intrinseco tra, ad esempio, la preghiera di Cristo dello Shemà (da buon ebreo) e tutto il suo modo di vedere la sua vita pubblica: le tentazioni, la croce stessa.

È un itinerario codificato dalla preghiera che gli ebrei recitano due volte al giorno, lo Shemà: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze”.

Tutto questo è incomprensibile senza entrare nell’Antico Testamento, tutto il Vangelo di San Giovanni nella versione che Cristo fa come rabbino di un Israele nuovo. Un Israele sulle feste ebraiche: il Succot, la Pasqua, tutto è codificato in termini ebraici e Cristo rende questa lettura innovativa.

 

In un mondo secolarizzato come quello di oggi, solo credere, tenere Dio presente nella nostra vita ci unisce molto. Ci sono una base storica e una base di valori…

La rivelazione ha un’unità. È riconosciuto nei pontificati di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.

Dio si rivela attraverso una scelta, e questa scelta continua: il dialogo è assolutamente necessario.

Benedetto XVI li chiama “padri nella fede”, Giovanni Paolo II “fratelli”.

Abbiamo un’unità nella rivelazione d’elezione. Dobbiamo mettere in comune, evidentemente, perché abbiamo lo stesso problema di fronte al mondo pagano.

Cerchiamo le stesse cose. Alla fine cerchiamo risposte, e questa intuizione è tipica dell’Istituto John Henry Newman nel nucleo dell’università, in questo caso la Francisco de Vitoria, no?

È questo il punto, e per questo nel contesto dell’università è tanto importante farlo. Siamo alla ricerca di senso, e crediamo che la fede giudaico-cristiana abbia qualcosa, anzi moltissimo da dire al riguardo.

Vuol dire aprirsi a queste domande: Perché vivi? Che senso ha la tua vita? Che senso ha la Rivelazione nella storia dell’umanità?

Il popolo ebraico, per via della Shoah, per tutta la sua storia, ci sta parlando gridando. Dio l’ha scelto e ha qualcosa da dire attraverso di lui. Vogliamo camminare con il popolo ebraico in questa ricerca.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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