Nel suo saggio “Epifania: l'invisibile che si manifesta” (Cantagalli), il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, si rivolgeva ai cosiddetti “atei dichiarati” ricordando loro che in realtà non possono “sapere” che Dio non esiste.
Nella nota introduttiva del testo, il porporato spiegava che agli atei dichiarati “è consentito 'ipotizzare' che Dio non esista, è consentito 'desiderare' che Dio non esista, è consentito 'sperare' che Dio non esista; ma, parlando propriamente, non possono 'sapere' se Dio esiste o non esiste”.
“Un elenco aprioristico, universale e sistematico di 'ciò che non esiste'”, sottolineava infatti, “è precluso alle nostre facoltà conoscitive”, essendo “un privilegio esclusivo del Dio onnisciente (supposto che un Dio siffatto ci sia)”.
Il cardinale ricordava anche una delle affermazioni sostenute a più riprese, ovvero “Dopo Auschwitz non è più possibile credere in Dio”.
Il senso sotteso all'asserzione sarebbe questo:
Il porporato ricordava allora che “non è che con l'esclusione dell'ipotesi dell'esistenza di Dio sarebbe eliminato ogni orrore dalla vicenda umana”, e “Auschwitz non per questo cesserebbe di essere una nefandezza irrimediabilmente avvenuta”. E allo stesso modo “se Dio non ci fosse, il male del mondo incomberebbe su di noi con tutta la sua opprimente opacità”.
“Ma se Dio c'è – continuava –, ci sarà oltre tutti i tormenti e le atrocità di quaggiù uno spazio ultimo e risolutivo, dominato da una superiore equità e da una trascendente misericordia. Solo se l'ultima parola su di noi sarà pronunciata da una Divinità, ci riesce di continuare a sperare che i conti possano essere un giorno pareggiati e l'assurdo sia vinto. Solo chi attende una vita ben diversa oltre questa nostra vita miserabile, può credere in un trascendente recupero di una giustizia che sulla terra appare continuamente oltraggiata”.
Per questo, la conclusione del cardinale Biffi era esattamente l'opposto: “Dopo Auschwitz non è più possibile non credere in Dio”.