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La “Lunga Quaresima” dei sopravvissuti agli abusi sessuali e la via del recupero

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John Burger - Aleteia - pubblicato il 05/11/15
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Mentre Spotlight riaccende i riflettori sullo scandalo degli abusi sessuali da parte del clero a Boston, le vittime raccontano la loro lotta per guarireUn noto intellettuale cattolico si è riferito al 2002 come alla “Lunga Quaresima” – un periodo in cui sulla Chiesa cattolica si è riversata la vergogna per l’errata gestione degli abusi sessuali da parte di membri del clero.

La definizione di padre Richard John Neuhaus era appropriata: le rivelazioni sul modo in cui l’arcidiocesi di Boston ha gestito gli abusi da parte del clero non sono finite con una luminosa mattina di Pasqua. Quelli che sono iniziati come resoconti investigativi del The Boston Globe del 6 gennaio 2002 sembravano ingigantirsi con il passare dei mesi, con altre inchieste giornalistiche in tutto il Paese che hanno rivelato pratiche simili in altre diocesi. Se molte persone di spicco nella Chiesa si sono messe sulla difensiva, considerando le rivelazioni un attacco all’autorità morale della Chiesa cattolica, i vescovi americani hanno rivisto le politiche che avrebbero dovuto evitare la cattiva gestione della questione. L’anno è terminato con le dimissioni dell’arcivescovo di Boston, il cardinale Bernard Law, e sembrava che quella “Quaresima” stesse finalmente arrivando al termine.

Per molte vittime di abusi, però, la Quaresima è continuata. Per alcuni, purtroppo, non ha mai superato il Venerdì Santo.

Spotlight, un film che illustra gli sforzi del Globe per esporre la gestione dei casi di abuso da parte di membri del clero da parte dell’arcidiocesi di Boston, verrà diffuso questo weekend. Riaprirà senz’altro vecchie ferite e ravviverà vecchi dibattiti. Aleteia voleva prendere in considerazione un aspetto particolare dello scandalo degli abusi: la guarigione delle vittime. Abbiamo contattato vari sopravvissuti e altre persone coinvolte nella loro ripresa e abbiamo chiesto loro di raccontare la propria storia, di parlare di cosa ha funzionato per loro e di quali passi pensano che la Chiesa debba ancora intraprendere.

È importante tenere a mente l’unicità del percorso di ogni persona. Oggi presentiamo due storie, ma non vogliamo in alcun modo implicare che rappresentino una vittima o un sopravvissuto “tipico” agli abusi sessuali. Le due storie rappresentano esperienze diverse: entrambe le persone sono state abusate da sacerdoti cattolici ma in luoghi diversi e in decenni diversi. Uno è un uomo, l’altra una donna.

Quando ci è stato chiesto, abbiamo usato degli pseudonimi per difendere l’identità delle persone di cui raccontavamo la storia. Altri hanno pubblicato articoli sul proprio abuso e hanno accettato che venissero usati i loro veri nomi. Molte delle nostre fonti hanno iniziato a contattare altre vittime di abusi.

Katharine”

Katharine” aveva 14 anni quando è stata abusata da un giovane parroco, ma ha detto che era stata “preparata” all’abuso per un po’ di tempo in precedenza. Il sacerdote, di cui non ha fatto il nome, era un amico di famiglia, qualcuno che “ha fatto molto per me”. Ha riconosciuto l’interesse della ragazza per la musica e le ha comprato uno stereo, portandola anche ai concerti.

Gli abusi sono continuati per un anno e mezzo, all’inizio degli anni Settanta.

Poi è finita, e quando è finita non ha avuto molto a che fare con me per l’anno successivo o giù di lì”, ha detto in un’intervista telefonica. Ma lei ha continuato a starci a stretto contatto per un po’ di tempo. Lui ha anche officiato il suo matrimonio qualche anno dopo.

Ha battezzato due dei miei tre figli, e ho finito per lavorare per lui in una scuola” come insegnante, ha spiegato. “Non ne ho mai parlato”.

Un giorno, però, lui è scomparso, e sui giornali è saltato fuori che era stato accusato di aver abusato di alcuni ragazzi affidati alle sue cure. La notizia ha gettato “Katharine” in uno stato di shock.

È crollato tutto. Ho iniziato a piangere in continuazione. È stato un periodo terribile”. All’epoca aveva tre figli maschi e doveva andare avanti per il loro bene. È andata negli uffici dell’arcidiocesi di Boston per riferire quando le era accaduto vent’anni prima. “Ho dovuto firmare un foglio dicendo che non c’era ammissione di colpa, ma che avrebbero pagato la mia terapia, che era comunque tutto ciò che volevo”, ha dichiarato.

Katharine” non voleva consultare i professionisti che l’arcidiocesi raccomandava, ma ha avuto la fortuna di trovare un buon terapeuta cattolico. “Volevo qualcuno che riuscisse a capire il contesto” della fede, ha detto. “Amavo la mia fede. Non ho mai smesso di praticarla… L’inizio della guarigione è stato trovare questo splendido terapeuta”.

Il lavoro che facevo con lo psichiatra era come gettare tutti i giocattoli a terra, gettare tutte le parti di te a terra e cercare di capire quale parte era davvero te e quale si era formata a causa dell’abuso o era parte dell’abuso stesso. Era come lacerarti e rimetterti insieme lasciando da parte aspetti della tua personalità come il bisogno di essere perfetta, cose che avevo sviluppato a causa dell’abuso”.

Quando è scoppiato lo scandalo nel 2002 stava iniziando a riprendersi, e le notizie di quel periodo l’hanno spinta a ricorrere più spesso alla terapia, ma poi ha capito che non era l’unica ad aver subito abusi. “E ho capito che li avevano subiti anche bambini a cui avevo insegnato” nella parrocchia in cui lavorava e in cui il suo ex abusatore lavorava all’epoca. “Capire che ero stata involontariamente presente nel periodo in ci stava accadendo loro quella cosa è stato un grave danno per me”, ha confidato.

Il dolore di “Katharine” era aumentato dal fatto di ascoltare le omelie nella Messa domenicale che rimproveravano il Globe e dipingevano le vittime come persone che stavano attaccando la Chiesa dal di fuori. “Volevo alzarmi e dire ‘Ma io sono una di loro’. Il motivo per il quale siamo stati abusati è che facevamo tutti parte della Chiesa. Da quanto so in base alle persone che ho conosciuto, eravamo chierichetti e membri del coro, e la chiesa era una parte molto importante della nostra vita”.

Una mattina stavo andando al lavoro e il cardinale [Francis] George [di Chicago] era alla radio a parlare di un altro caso, e ha detto: ‘Se una 14enne seduce un sacerdote, non è davvero colpa del sacerdote’. Lo sto parafrasando, ma il senso era questo. Stava biasimando la vittima. Quel giorno non sono riuscita ad andare al lavoro”.

Tutta questa esperienza, ha confessato, l’ha resa sensibile alle persone che si sentono fuori dalla Chiesa, “siano esse divorziati o persone che hanno abortito, o gay o lesbiche”.

La sua esperienza di una sorta di “outsider” rafforza la sua convinzione che la Chiesa debba stare con coloro che soffrono e con quanti hanno bisogno di essere guariti. “Non abbiate mai paura di ascoltare, per quanto tempo ci voglia”, consiglia. “Abbiamo perso una generazione, se non due, in tutto ciò. Non è solo per lo scandalo degli abusi sessuali, ma molto può essere fatto risalire a una mentalità ‘loro e noi’, sia che si parli della gerarchia e dei laici che delle vittime di abusi e di chiunque altro”.

Katharine” ha anche trovato persone nella Chiesa che si interessavano davvero a lei. C’è stato un pastore sensibile che l’ha subito ascoltata e l’ha aiutata a guarire attraverso il sacramento della riconciliazione e l’Eucaristia. C’è stato un funzionario arcidiocesano che sapeva quanto fosse difficile per lei festeggiare Natale e Pasqua a causa degli abusi. Ci sono state volte in cui la musica liturgica la coinvolgeva in modo particolare quando era in chiesa. Il funzionario “mi ha chiamato per molti anni la vigilia di Natale per sapere come stavo”.

L’abuso fisico, ha affermato “Katharine”, ha portato a una “ferita spirituale – non aver fiducia in Dio, non aver fiducia nel fatto che Dio ti ama”. Da bambina aveva conosciuto Dio Padre, una capacità che attribuisce all’amore del proprio padre, ma un rapporto promettente con Dio Figlio e con lo Spirito Santo è stato “sospeso” a causa degli abusi. “Sentivo di dovermi sforzare sempre per essere perfetta (…) Non c’era rapporto personale perché non lo meritavo”.

Oltre che alla terapia, attribuisce la sua guarigione agli “amici cresciuti con me, persone splendide che mi avevano visto in periodi molto bui, e a mio marito e ai miei figli, che mi hanno tenuta legata alla vita quando sarebbe stato molto più semplice mollare tutto”.

Paul Fericano

Anche Paul Fericano aveva 14 anni quando ha subito abusi sessuali ad opera di un sacerdote francescano al Saint Anthony, un seminario minore di Santa Barbara, in California. Era il 1965, e quella vicenda non ha solo distrutto la sua vocazione al sacerdozio, ma lo ha anche allontanato dalla Chiesa. Ha scritto di non essere più cattolico.

Fericano non è però amareggiato. Ha perdonato il suo abusatore e ora prova a lavorare con le diocesi cattoliche per aiutare altri sopravvissuti agli abusi a guarire attraverso un programma chiamato SafeNet, o Survivors Alliance and Franciscan Exchange Network.

Mi sono sentito profondamente tradito da questo sacerdote, che mi ha fatto sentire che non meritavo di diventare presbitero”, ha detto in un’intervista, “e (…) di non essere degno come persona. Quando ho lasciato il seminario ho provato un dolore che ho seppellito. Era più che altro questo senso di tradimento e di non riuscire a fidarmi di altri uomini. Per molto tempo sono stato lontano anche da mio padre”.

Alcuni dei suoi insegnanti, ha detto, gli hanno riconosciuto un talento nell’esprimersi a parole.

Penso che possa avermi salvato – scrivere, esprimermi con la poesia e con le storie. Credo che scrivere sia diventato la mia terapia, molto prima di aver cercato un aiuto professionale”.

In seguito, ricevendo psicoterapia, ha imparato che doveva perdonare il suo abusatore.

Non c’è nulla di semplice nel perdono. Implica il desiderio di essere veri su se stessi. Dico ai sopravvissuti che il perdono non è una convenienza come quando eravamo bambini in chiesa. È la vera conversazione che si ha”.

Fericano ha incontrato il suo abusatore, un uomo che ha detto continuava a negare i fatti. “Non ho paura di dirlo, abbiamo avuto un rapporto molto compassionevole”, ha detto. “Provavo davvero compassione per lui, e allo stesso tempo lavoravo con altri sopravvissuti che erano stati feriti da lui, per offrire loro terapia e anche avvocati che li facessero risarcire per quello che aveva fatto, e lui lo sapeva, così come i francescani”.

Parte del processo di perdono, ha spiegato, era “riaffermare e rivivere la mia storia”. “Dico ai sopravvissuti: ‘Se volete perdonare, dovete rivivere quello che è accaduto. Dovete abbracciare quella sofferenza, anziché respingerla’. Mi urto con alcuni membri del clero che mi dicono che è ora di andare avanti. Cosa ne sanno? Per me è ora di approfondire, non di andare avanti. Penso che il sacerdote che sale sul pulpito e dice al suo gregge che è ora di gettarsi alle spalle la crisi degli abusi da parte del clero fa un grande disservizio. Ci sono centinaia di persone nei banchi che tacciono ma sono state abusate – dal coniuge, da un partner o da un sacerdote”.

Andare avanti

Spotlight uscirà questo weekend. L’arcivescovo di Boston, il cardinale Seán O’Malley, ha diffuso una dichiarazione riconoscendo che “la diffusione del film può essere particolarmente dolorosa per i sopravvissuti agli abusi sessuali da parte del clero”. Il cardinale ha dichiarato che

il resoconto investigativo dei media sulla crisi degli abusi ha portato a chiedere alla Chiesa di assumersi la responsabilità dei suoi fallimenti, di riformarsi internamente – di affrontare ciò che era vergognoso e nascosto – e di impegnarsi a mettere al primo posto la protezione dei bambini, prima di tutti gli altri interessi.

Abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere perdono a tutti coloro che sono stati feriti dai crimini degli abusi di minori. Come arcivescovo di Boston ho incontrato personalmente centinaia di sopravvissuti agli abusi da parte di membri del clero negli ultimi dodici anni, ascoltando il racconto delle loro sofferenze e cercando umilmente il loro perdono. Sono rimasto profondamente colpito dalle loro storie e mi sono sentito esortato a continuare a lavorare in vista della guarigione e della riconciliazione, sostenendo allo stesso tempo l’impegno a fare tutto il possibile per evitare che qualsiasi bambino venga ferito in futuro.

La scrittrice Dawn Eden, vittima di abusi da parte di un familiare, ha detto che se la Chiesa vuole aiutare a guarire le vittime degli abusi sessuali “dobbiamo portare guarigione non solo a coloro che sono stati feriti dal clero, ma anche al numero esponenzialmente superiore di coloro che sono stati feriti al di fuori delle nostre chiese e scuole. La maggior parte degli abusi sessuali di bambini avviene in casa da parte di un familiare o di un amico di famiglia”.

Le vittime spesso sentono di essere state abbandonate da Dio”, ha detto la Eden, autrice di My Peace I Give You: Healing Sexual Wounds with the Help of the Saints (Vi do la mia pace: guarire le ferite sessuali con l’aiuto dei santi), in una dichiarazione ad Aleteia.

Come Chiesa dobbiamo offrire loro l’aiuto spirituale e la comunità amorevole di cui hanno bisogno per reclamare la propria identità come figli e figlie amati di Dio in Cristo. Per fare ciò, abbiamo bisogno che i sacerdoti non abbiano paura di predicare su abuso e guarigione. Abbiamo anche bisogno che le parrocchie siano proattive nel promuovere gruppi di sostegno guidati dalle vittime come il Maria Goretti Network e SafeNet, perché la gente trovi la guarigione in comunità”.

 

Domani, nella seconda parte, la crisi degli abusi colpisce la famiglia – come le famiglie sono state influenzate dai peccati dei sacerdoti.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]