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Nicea II: 787 L’ultimo grande concilio ecumenico riconosciuto da tutte le chiese tratta ancora di cristologia, ma in modo meno esplicito e tematizzato dei precedenti: la disputa sull’iconodulia, cioè sulla liceità di venerare le immagini, poneva la grande questione della possibilità concreta di vedere Dio. Questo è il motivo per cui alla fine gli iconoduli vinsero sugli iconoclasti, e fu soprattutto Giovanni Damasceno a individuarlo: era Cristo stesso, secondo il dettato paolino, «l’immagine del Dio vivente». Dunque il Dio che «nessuno aveva mai visto» si era reso visibile, e anche nei santi (a cominciare dalla “Tuttasanta Madre di Dio”) si manifestava visibilmente l’invisibile. Per combattere dunque l’iconoclastia, che come già l’arianesimo si presentava con i crismi di un grande ossequio verso la dignità di Dio, la grande imperatrice Irene intervenne quando morì suo marito Leone IV: assunse la reggenza del piccolo Costantino VI e, perché questi non fosse preda delle pressioni iconoclaste (già in opera ufficialmente fin dal Concilio Quinisesto del 691-692) lo fece accecare così che fosse inabile al governo e in modo da poter quindi tenere lei le redini dell’ortodossia. L’imperatrice fece riunire il concilio e quando vide che la maggioranza dei vescovi era già prona all’iconoclastia, a cominciare dal patriarca, fece spostare la sede da Costantinopoli nella più piccola Nicea, per poter gestire la situazione con miglior agio. Lì fece leggere la lettera di Papa Adriano, la fece acclamare dai vescovi e fece solennemente anatematizzare gli iconoclasti. In Occidente un altro (aspirante) imperatore, frattanto, mal soffriva l’alleanza tra Adriano e Irene: Carlo Magno, quindi, convocò a Francoforte un sinodo, nel 794, in cui condannò le risoluzioni del concilio e scomunicò Irene. Fatto sta che fin da subito Nicea II fu un grande concilio ecumenico, mentre il sinodo carolingio resta quasi una mera curiosità da eruditi.
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© Antoine Mékary I Aleteia