Costantinopoli III: 680-681
Anche questa pietra miliare dei concili ecumenici testimonia della sensibilità squisitamente orientale (e dei relativi disinteresse e inettitudine degli occidentali) in merito alla disputa cristologica che si protraeva ben oltre Calcedonia. Nella fattispecie, la sensibilità monofisita tornava a manifestarsi nell’attestazione dell’unicità della volontà di Cristo: non era solo una questione filosofica, o “di lana caprina” (poiché nella psicologia e nella metafisica in uso le facoltà dell’anima si ascrivono particolarmente alla natura, e non alla persona, affermare due volontà pareva ai monofisiti un cedimento all’odiosissimo nestorianesimo), ma anche una più semplice e genuina notazione di buonsenso, come a dire che Cristo non poteva essere e non può essere considerato “schizofrenico”, cioè in balia di due volontà contrapposte. Per tale osservazione, fondamentalmente corretta e rispondente al sensus fidelium, anche Papa Onorio credette di poter evitare l’aperta condanna del monotelismo, affermando che in effetti in Cristo non poteva che trovarsi un’unica volontà. Ma si parlava di “volontà naturali” – obiettarono anche al Papa – e non di “unità morale delle volontà”, che era quanto il Papa sosteneva. I grandi Sofronio e Massimo (detto “il Confessore” per lo zelo con cui confessò la retta fede) furono determinanti nel volgere il dibattito in favore di una spiegazione completa e comprensiva della dottrina ditelita.
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