Via Crucis, Rosario… e non solo
«Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l'amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo».
Così si legge ne L'imitazione di Cristo, fin dal primo capitolo del primo libro, e nel capitolo primo del secondo libro si riprende il tema:
«Se non sai fissare lo sguardo della mente nelle cose alte e celesti, riposati nella passione di Cristo, e poni volentieri la tua dimora nelle sue sacre ferite: se infatti ti raccogli devotamente nelle piaghe e nelle cicatrici di Gesù sentirai grande consolazione nella tribolazione e non terrai conto degli scherni degli uomini, anzi porterai in pace perfino le parole diffamatorie».
Più volte Papa Francesco ha invitato a “non aver paura della tenerezza”: in effetti essa sembra a molti quasi un punto di debolezza, qualcosa di sentimentale da nascondere perfino nella teologia. Così non di rado le meditazioni della Via Crucis diventano traccia di esibizione di svariate originalità – psico-sociologiche ma anche teologiche e filosofiche –, come se restare soli con Cristo abbandonato fosse “troppo poco” per l'anima credente. Il cristianesimo, invece, interpella tutto l'uomo e dall'uomo tutto intero esige l'olocausto della fede: in un periodo come quello quaresimale, consacrato al rinnovamento della vita, gli esercizi di pietà che coinvolgono gli affetti vanno ricercati e praticati con devozione.
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