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Opere di misericordia corporale
Generalmente amiamo le opere di misericordia corporale meno di quelle spirituali: questo non perché siamo effettivamente “persone spirituali”, ma perché più sottili e meno evidenti sono le vanità che deformano le opere spirituali – dunque più facilmente, praticandole (o illudendoci di praticarle) possiamo presumere di “essere dei bravi cristiani”. Fortuna che illustrando il giudizio finale Gesù ha detto: “Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Mt 25, 35-36) – e viceversa. L'amore che ci misurerà sarà molto concreto, e malgrado le barcollanti esegesi di alcuni avventurieri Gesù ha raccontato una delle sue parabole più belle proprio per spiegarcelo: il prossimo non è “il vicino” più di quanto sia “il lontano”… il prossimo non è uno che ci scegliamo perché – questo è il succo della parabola – il prossimo ciascuno di noi è chiamato ad esserlo per gli altri. E il motivo per cui Gesù rovescia la domanda di chi gli chiedeva “chi è il mio prossimo?” (Lc 10, 15) è lo stesso che differenzia le opere di misericordia corporale dalla mera filantropia, pur lasciando che le due cose – viste dall'esterno – si somiglino tanto: nel povero c'è Gesù. • Dar da mangiare agli affamati; • Dar da bere agli assetati; • Vestire gli ignudi; • Alloggiare i pellegrini; • Visitare i malati; • Visitare i carcerati; • Seppellire i morti, significa sempre soprattutto incontrare Gesù – Dio povero e solo che cerca amore nel deserto dell'umanità.
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