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Santa Zita, Vergine e domestica lucchese

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Lucca, dove Zita esercitò per quasi cinquant’anni l’umile mestiere di domestica, l’ha eletta sua patrona, e già al tempo di Dante, che la cita nella sua Commedia trent’anni dopo la morte, il suo nome era tutt’uno con la città toscana: parlando di un magistrato di Lucca, Dante, o meglio un diavolo nero, si limita a identificarlo come un “anzian di santa Zita”.

Nata nel 1218 a Monsagrati, un paese nei pressi di Lucca, Zita proveniva da povera gente di campagna, le cui fanciulle, per farsi la dote e più spesso per non essere di peso alla famiglia, venivano collocate a servizio presso una famiglia di città.

Prima delle attuali conquiste sociali la professione di domestica equivaleva pressappoco a una servitù. Zita, posta a soli dodici anni di età a servizio della famiglia lucchese dei Fatinelli, accettò serenamente la sua condizione sociale, ben consapevole che, servendo la famiglia ospitante, serviva Dio, per il cui amore agiva e tollerava ogni sgarbo, sia da parte dei padroni, che dapprima la trattarono con ingiustificata severità, come da parte dei suoi compagni di lavoro, gelosi per il suo zelo e il suo totale disinteresse.

Zita è conosciuta per i suoi numerosi miracoli, operati a favore dei poveri e dei deboli. Per recarsi alla chiesa di San Frediano, passava per la porta che affaccia su via San Frediano, più vicina al palazzo dei Fatinelli, quando un giorno si imbatté in un povero che batteva i denti per il freddo. Senza esitare, rientrata a palazzo prese il primo mantello che le capitò a portata di mano. Il padrone non si accorse di nulla, poiché l’Angelo Custode attese Zita a quella stessa porta, per restituirglielo. Da allora, quell’ingresso alla chiesa di San Frediano è conosciuto come “Porta dell’Angelo”, ed il miracolo è ricordato nella vetrata posta sopra la porta.

Largheggiava nelle elemosine ai poveri, che bussavano alla porta della ricca dimora dei Fatinelli, ma donava del suo, perché viveva con molta parsimonia e il gruzzolo che metteva da parte si riversava come tanti rigagnoli a irrorare le aride plaghe dell’abbandono e dell’ingiustizia.

Si racconta che una compagna di lavoro, invidiosa della stima che Zita aveva saputo accaparrarsi (superate le prime umilianti prove, le fu affidata la direzione della casa), l’aveva accusata presso il padrone di dare via troppa roba ai poveri.

Un giorno, infatti, Zita venne sorpresa mentre usciva di casa con il grembiule gonfio per recarsi a visitare una famiglia bisognosa. Alla domanda del padrone rispose che portava fiori e fronde; lasciati liberi i lembi del grembiule, una pioggia di fiori cadde ai suoi piedi (a Lucca, il 27 aprile di ogni anno, Piazza San Frediano e i suoi dintorni si trasformano in un giardino per onorare Santa Zita).

La sua vita fu tutta un simbolico florilegio di virtù cristiane a riprova che in ogni condizione sociale c’è lo spazio per l’attuazione dei consigli evangelici. Le sue virtù la imposero, mentr’era in vita, all’ammirazione di quanti l’avvicinavano e dopo la morte, avvenuta il 27 aprile 1278, impressero un moto inarrestabile alla devozione popolare.

La sua tomba nella Chiesa di S. Frediano, che custodisce tuttora il suo corpo, rimasto incorrotto fino all’ultima ricognizione effettuata nel 1652, è sempre stata meta di pellegrinaggi.

Il suo culto fu solennemente approvato il 5 settembre 1696, da Pp Innocenzo XII (Antonio Pignatelli, 1691-1700).

Santa Zita fu proclamata patrona delle domestiche, delle casalinghe e dei fornai dal Venerabile Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-1958).

Il nome Zita è una variante toscana di “cíta” o “cítta“, che significa ragazza o, per estensione, zitella ma, in questo caso, vergine.

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