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Daily Prayer
Meditazione del giornosabato 16 Ottobre

Narrazione del martirio di santa Perpetua e Felicita (3° secolo)

§ 2-3

« Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio »

Avevano arrestato alcuni giovani catecumeni: Revocato e Felicita, tutti e due schiavi, Saturo e Secondolo. Con loro c'era Vibia Perpetua, che era nobile, aveva ricevuto una brillante educazione e fatto un bel matrimonio. Perpetua aveva ancora il padre e la madre, due fratelli – uno era anch'egli catecumeno – e un bambino non ancora svezzato. Aveva circa ventidue anni. Lei stessa ha raccontato tutta la storia del martirio. Eccola, scritta di suo pugno e secondo le sue impressioni. «Eravamo ancora con le guardie, quando già mio padre cercava di convincermi. Nella sua tenerezza, si sforzava di far vacillare la mia fede.

- Padre, gli dissi, vedi ad esempio questo vaso o quell'orciolo?

- Lo vedo, rispose mio padre.

- Puoi tu forse chiamarli con un altro nome, diverso da quello che essi sono? gli dissi.

- No, mi rispose.

- Così non posso io essere chiamata con un nome diverso da ciò che sono: cristiana.

Mio padre allora, irritato da queste mie parole, mi si scagliò addosso, come volesse strapparmi gli occhi. Tuttavia si limitò a maltrattarmi poi se ne andò, vinto, e portandosi via gli argomenti che gli aveva ispirato il diavolo. Per quei pochi giorni che mio padre fu assente ringraziai il Signore e la sua assenza mi era di sollievo. Proprio nello spazio di quei pochi giorni fummo battezzati, e lo Spirito mi suggerì che all'acqua battesimale non avevo da chiedere altra grazia che la resistenza alla sofferenza fisica.

Qualche giorno dopo fummo trasferiti nel carcere di Cartagine. Ebbi tanta paura, perché non avevo mai conosciuto tenebre come quelle (...); ero presa totalmente dall'angoscia per il mio bambino. (...) Riconfortavo mio fratello, raccomandandogli mio figlio. Ero piena di dolore perché vedevo soffrire i miei per causa mia. In queste angustie passai molti giorni; poi ottenni di poter tenere con me, in carcere, mio figlio. Subito egli ha ripreso forze ed io sono stata liberata dalla pena e dalla sollecitudine per lui. Di colpo il carcere divenne per me un palazzo, al punto che preferivo rimanervi che trovarmi in alcun altro posto».

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