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Beato Pier Giorgio Frassati

“Santo delle Beatitudini”

PIER GIORGIO FRASSATI

Pier Giorgio Frassati | Facebook

Giorgio Frassati nasce a Torino il 6 aprile 1901, sabato santo, in una famiglia della ricca borghesia. La madre, Adelaide Ametis, è un’appassionata ed affermata pittrice. Il padre, Alfredo, è fondatore e proprietario del quotidiano “La Stampa“, e sarà l’artefice del grande successo che il giornale godrà negli anni Dieci e Venti. È liberale e agnostico. Amico di Giovanni Giolitti, per molti anni capo del governo italiano, nel 1913 diventerà Senatore del Regno e ambasciatore a Berlino nel 1921-1922. I gravosi impegni gli impediscono di seguire molto da vicino l’educazione dei figli. Spetta alla madre farsi maggiormente carico della crescita di Pier Giorgio e di Luciana, nata poco più di un anno dopo (18 agosto 1902, † nell’ottobre 2007, a 105 anni).

Quando, fanciullo, apprese i primi racconti del Vangelo, Pier Giorgio ne restò colpito, a volte in modo così profondo da diventare protagonista di gesti inattesi in un bimbo tanto piccolo. Dopo l’infanzia venne istruito con la sorella privatamente.

Cresciuto nella casa familiare di Pollone (Biella), Pier Giorgio si appassionò presto alle montagne, dove organizzava frequenti escursioni e sciate con gli amici. “Ogni giorno m’innamoro sempre più delle montagne – scriveva ad un amico – e vorrei, se i miei studi me lo permettessero, passare intere giornate sui monti a contemplare in quell’aria pura la Grandezza del Creatore”.

Trasferitosi a Torino per gli studi (dopo un primo periodo al liceo classico D’Azeglio, proseguì all’Istituto Sociale dei padri Gesuiti, per poi iscriversi al Politecnico, al corso di ingegneria meccanica con specializzazione mineraria), visse in un periodo in cui la città iniziava un accentuato sviluppo imprenditoriale, e venne ben presto a conoscenza delle difficoltà in cui si dibattevano gli operai. Durante il liceo cominciò a frequentare le Opere delle Conferenze di S. Vincenzo, dedicando il tempo libero alle opere assistenziali a favore di poveri e diseredati.

Avrebbe potuto allietare la sua giovinezza con ricevimenti e feste da ballo, ma preferiva essere il “facchino” dei poveri, trascinando per le vie di Torino i carretti carichi di masserizie degli sfrattati e visitare le famiglie più bisognose per portarvi conforto e aiuto materiale.

Negli anni del Politecnico, che lo vide, anche da studente, attivamente impegnato nell’ambiente universitario (fu membro attivo, fra l’altro, della FUCI).

Pier Giorgio era spesso al verde perché il più delle volte i soldi, di cui disponeva, venivano da lui generosamente donati ai poveri e ai bisognosi che incontrava o a cui faceva visita. Non di rado gli amici lo vedevano tornare a casa a piedi perché aveva dato a qualche povero i soldi che avrebbe dovuto utilizzare per il tram. “Aiutare i bisognosi – rispose un giorno alla sorella Luciana – è aiutare Gesù”. In famiglia nessuno sapeva alcunché delle sue opere caritative; inoltre non compresero mai appieno chi fosse veramente Pier Giorgio, questo figlio così diverso dal cliché alto-borghese di famiglia, sempre pronto ad andare in chiesa e mai a prendere parte alla vita mondana del suo stesso ceto.

Dinamico, volitivo, pieno di vita, Pier Giorgio amava i fiori e la poesia, le scalate in montagna. Spesso raggiungeva a piedi il Santuario della sua Madonna di Oropa, il grande tempio mariano del Piemonte. Arrivato al Santuario, dopo un’ora di marcia e completamente digiuno, era solito assistere alla Santa Messa, poi faceva la Comunione, quindi si raccoglieva in preghiera nel transetto di destra, davanti all’immagine della Vergine Bruna; la devozione verso la Vergine, che per lui era irrinunciabile. Recitava ogni giorno il Rosario, che portava sempre nel taschino della giacca, non esitando a tirarlo fuori in qualsiasi momento per pregare, anche in tram o sul treno o per strada. “Il mio testamento – diceva, mostrando la corona del Rosario – lo porto sempre in tasca”.

L’impegno sociale e politico, che fra l’altro vide Pier Giorgio schierarsi apertamente e senza timori contro il regime fascista, si svolse principalmente tra le fila del Partito Popolare italiano, fondato da don Luigi Sturzo nel 1919.

Tale impegno era una diretta conseguenza del suo modo di sentirsi cristiano: non gli era sufficiente aiutare i poveri, andare nelle loro misere soffitte, nei tuguri dove la malattia e la fame si confondevano nel dolore, non gli bastava portare ai diseredati una parola di conforto, carbone, viveri, medicinali e denari: voleva dare una soluzione a quei problemi di miseria e di abbandono e la politica gli parve la via idonea per fare pressione là dove si decideva la giustizia. Una concezione della politica, dunque, come “la più alta forma di carità”.

Partecipò a diverse congregazioni ed associazioni cattoliche: Azione Cattolica, FUCI, “Milites Mariae“; il 28 maggio 1922, nella chiesa torinese di S. Domenico, ricevette l’abito di Terziario Domenicano prendendo il nome di Girolamo, in memoria di Fra’ Girolamo Savonarola.

Pier Giorgio era un ragazzo molto vivace, solare, sempre allegro (“Finché la Fede mi darà forza – diceva – sarò sempre allegro!”) e ricco di energie. Praticò numerosi sport, ma furono soprattutto le escursioni in montagna a costituire la sua più grande passione documentata, del resto, da molte fotografie che lo ritraggono intento in scalate ed escursioni. Si iscrisse anche a varie associazioni alpinistiche, partecipando attivamente a circa una quarantina di gite ed escursioni. La sua più notevole ascensione è stata la difficile vetta della Grivola  (tuttora riservata ad alpinisti esperti); tra le altre montagne scalò anche l’Uia di Ciamarella, il 20 luglio 1924, insieme agli amici dell’associazione di alpinisti cattolici “Giovane Montagna“. Nonostante la sua attivissima partecipazione a numerose associazioni, il 18 maggio 1924, durante una gita al Pian della Mussa, insieme con i suoi più cari amici, fondò la “Compagnia dei Tipi Loschi“; un’associazione caratterizzata da un sano spirito d’amicizia e d’allegria, tutt’oggi esistente ed attiva nel ricordo di lui.

Ma dietro le apparenze scherzose e goliardiche, la Compagnia nascondeva l’aspirazione ad un’amicizia profonda, fondata sul vincolo della preghiera e della fede.

Io vorrei che noi giurassimo un patto che non conosce confini terreni né limiti temporali: l’unione nella preghiera”, scrisse Pier Giorgio ad uno dei suoi amici il 15 gennaio 1925.

Ed era proprio il vincolo della preghiera a legare i “lestofanti” e le “lestofantesse”, come scherzosamente si denominavano tra di loro, di questa singolare Compagnia.

Il 30 giugno 1925 Pier Giorgio accusa degli strani malesseri, emicrania e inappetenza: non è una banale influenza, ma una poliomielite fulminante che lo stronca in soli quattro giorni, il 4 luglio, tra lo sconcerto e il dolore dei suoi familiari e dei tanti amici e conoscenti. Sulla sua scrivania, accanto ai testi universitari, erano aperti l’Ufficio della Madonna e la vita di S. Caterina da Siena. Nasceva alla vita del Cielo di sabato, giorno mariano, così come anche di sabato, il Sabato Santo di ventiquattro anni prima, era venuto al mondo.

Ai suoi funerali presero parte molti amici, ragguardevoli personalità, ma soprattutto tantissimi poveri che al tempo erano stati aiutati dal rimpianto estinto. Per la moltitudine dei partecipanti, qualcuno dei presenti paragonò quei funerali a quelli di Don Bosco. Davanti al popolo così numeroso, che accorse a dare l’ultimo saluto, per la prima volta i suoi familiari capirono, vedendolo tanto amato, dove e come era vissuto Pier Giorgio.

Il padre, con amarezza, asserì: “Io non conosco mio figlio!”.

Pier Giorgio Frassati è stato beatificato il 20 maggio 1990 da san Giovanni Paolo II (>>> Omelia), in piazza S. Pietro, a Roma, in presenza di migliaia di giovani. Da allora i suoi resti mortali sono conservati, miracolosamente incorrotti, nella cattedrale S. Giovanni Battista di Torino.

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