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San John Ogilvie

Gesuita e Martire

JOHN OGILVIE

Lawrence OP CC

John Ogilvie nasce nel 1579 a Drum in Scozia e di lui non si sa nulla con certezza prima del 1593, anno in cui fu inviato quattordicenne sul Continente a studiare, come molte famiglie facoltose della Gran Bretagna, facevano con i loro figli in quell’epoca.

Convertitosi al cattolicesimo, studiò a Douai (F) ; a Lovanio (B); a Ratisbona (D) nel Collegio dei benedettini scozzesi; pressi i Gesuiti ad Olmütz, dove sentì la chiamata di Dio allo stato religioso.

Ottenne, così, di essere ammesso al noviziato gesuita di Brunn in Moravia, in cui entrò il 24 dicembre 1599, aveva vent’anni. Terminati gli studi in teologia, fu ordinato sacerdote a Parigi nel 1610 e destinato a Rouen.

Il suo desiderio, però, sin dai tempi di Lovanio, era quello di ritornare nella sua patria, la Scozia, per lavorare nelle missioni cattoliche; bisogna ricordare che in tutta la Gran Bretagna era in corso la persecuzione anticattolica.

Dopo più di due anni di richieste, fu esaudito e nell’autunno del 1613, dopo 22 anni di assenza, riuscì finalmente ad entrare in Scozia con la falsa identità di “capitano Watson”. Prese ad operare nell’apostolato missionario ad Edimburgo, ospite di Guglielmo Sinclair, avvocato al Parlamento e fervente cattolico.

Celebrava clandestinamente le S. Messe, frequentatissime, predicando fattivamente ai tanti cattolici che meditavano con interesse la sua parola; si spinse travestito, anche nelle carceri a confortare i molti cattolici prigionieri.

Si recò anche a Londra e Glasgow e fu proprio in questa città, che venne arrestato il 4 ottobre 1614, su denuncia di Adam Boyd, fatta all’arcivescovo protestante.

Subì per quattro mesi dolorosissime torture e, restando sempre strettamente incatenato, tanto da poter compiere pochissimi movimenti, finì davanti ai giudici scozzesi per cinque volte, dal 1614 al 1615.

Rimangono due resoconti molto particolareggiati dei processi: uno redatto dallo stesso Giovanni Ogilvie e completato dai compagni di prigionia, l’altro è costituito dalla relazione ufficiale inglese fatta scrivere dall’arcivescovo protestante Spottiswood, subito dopo il supplizio del martire.

Il 10 marzo 1615, il sacerdote viene dichiarato reo di lesa maestà dal tribunale di Glasgow e condannato a morte mediante impiccagione: la sentenza venne eseguita nel pomeriggio dello stesso giorno.

Fu subito sepolto nel cimitero dei condannati e dei suoi resti non se ne seppe più nulla.

Fu beatificato il 22 novembre 1929 da Pp Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti, 1922-1939) e canonizzato il 17 ottobre 1976 dal Beato Paolo VI(Giovanni Battista Montini, 1963-1978) che concluse la sua omelia nei seguenti termini :

« Noi siamo spesso portati a considerare nei martiri le sofferenze fisiche, le atroci e crudeli sofferenze alle quali essi sono sottoposti, più che il loro motivo, tanto è l’orrore ch’esse provocano nella nostra mente e nella nostra sensibilità. Ma non sono le sofferenze il titolo supremo specifico della loro grandezza e della loro autorità a nostro riguardo. Ce lo ricorda S. Agostino dicendo che non è la pena, ma la loro causa che fa i martiri veri: “quod martyres veros non faciat poena, sed causa» (S. Augustini Ep. 89: PL 2, 310).

E quale fu la causa del martirio di Giovanni Ogilvie? È facile scoprirla: la fede, dicevamo. Ma la fede è un mondo: quale punto della fede, quale verità della fede fece da centro al combattimento del suo martirio? La voce autorizzata da Cristo ad annunciarla: “voi mi sarete testi” (At 1, 8), testimoni, araldi, martiri. “Andate e insegnate” (Mt 28, 19): “chi ascolta voi, ascolta me” (Lc 10, 16) disse Gesù…

Scoperto questo punto centrale e dolente della testimonianza di Giovanni Ogilvie noi non andremo oltre nel nostro discorso; ci basterà registrare che la santità del nostro eroe è caratterizzata dalla sua testimonianza di devozione al magistero della Chiesa e di fede nella Messa, atto di culto che celebra la Parola di Dio e realmente la rende presente. Ma ora noi vogliamo fare dell’elogio di Ogilvie un’apologia polemica. Vogliamo piuttosto esprimere la sovrana speranza che il suo martirio giovi a confermare la nostra fede nel magistero della Chiesa e nel prodigio sacramentale e sacrificale dell’Eucaristia. La speranza che intorno a queste somme verità testimoniate dal nuovo Santo convergano i passi, convergano i cuori di quelli che allora, al momento del suo martirio, lo condannarono come traditore della lealtà dovuta alla Potestà civile della sua patria, mentre altro non fu che assertore dell’autonomia della Potestà religiosa secondo la sentenza eterna di Cristo Signore: “Date a Cesare ciò ch’è di Cesare, e date a Dio ciò ch’è di Dio” (Mt 22, 21).

Così, che, con serena comprensione dei drammi della storia passata, e con amico presagio d’una più felice storia avvenire, noi possiamo oggi attribuire a gloria del nostro Martire, con quanti altri soffrirono per la medesima causa, il merito d’aver eroicamente contribuito col suo sacrificio a rivendicare alla civiltà la libertà religiosa, quale il recente Concilio ha illustrata nella sua dichiarazione «Dignitatis Humanae»: nessuno dev’essere costretto, nessuno dev’essere impedito a professare la religione, mentre per tutti esiste il grave obbligo morale di cercare e seguire la verità, quella religiosa specialmente (Dignitatis Humanae, 2, 6, 9; S. Augustini Contra litteras Petiliani: PL 43, 315). Perciò il Santo da noi venerato, lungi dall’essere emblema di discordia civile o spirituale, placherà l’infausta memoria della violenza o dell’abuso d’autorità per causa religiosa, e ci aiuterà tutti a risolvere le vertenze relative al nostro credo rispettivo in propositi di mutuo rispetto, di serena ricerca e di fedele adesione alla Verità per ricomporre quella sospirata unità di fede e di carità, che Cristo ci insegnò essere espressione suprema del suo Vangelo (Cfr. Io. 17).

Ed affinché noi tutti siamo resi degni di giungere a questo epilogo della nostra celebrazione agiografica, ed a questa sorgente di ascetica imitazione, invocheremo umili e fidenti: San Giovanni Ogilvie, prega per noi! »

Significato del nome Giovanni: “il Signore è benefico, dono del Signore” (ebraico).

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