Ai tempi di Omero, i guerrieri più valorosi lasciavano scorrere le loro lacrime. Oggi sono considerate un segno di debolezza, eppure possono essere un vero segno di forza e dire molto su di noi. di Luc Adrian
Le lacrime, represse o a fiume, hanno mille volti. Suor Anne Lécu, domenicana, filosofa, medico carcerario e autrice di Delle lacrime, ci spiega come possono essere un vero dono.
“Beati quelli che piangono, perché saranno consolati” (Mt 5, 4) Come lei interpreta questa Beatitudine quando lavora in un luogo di grande sofferenza?
Anne Lécu: è una Beatitudine provocatoria che bisogna ricevere senza troppo interpretare. Ci sono infatti molte persone che vivono cose insensate, che piangono, che non rideranno né domani né dopodomani, e che non saranno consolate. Detto questo, quando queste persone non possono piangere, la loro sofferenza è peggiore. Chi piange, di solito piange davanti a qualcuno, anche se è sotto forma di assenza, qualcuno di cui ci si ricorda, qualcuno che si ha amato; in ogni caso, non è una solitudine nella desolazione. Purtroppo, vediamo molte persone incarcerate che non riescono più a piangere.
L’assenza di lacrime è preoccupante?
Molto di più che le lacrime stesse! O è segno di un’anestesia dell’anima, o quello di troppa solitudine. C’è un’orribile sofferenza negli occhi asciutti: una delle mie pazienti incarcerate ha avuto lesioni cutanee su diverse parti del corpo per diversi mesi, non sapevamo come trattarla. Ma un giorno mi disse: “Sa, la mia pelle che trasuda, è la mia anima che soffre. Sono le lacrime che non riesco a piangere”.
La terza Beatitudine non offre forse la promessa di consolazione nel Regno?
Certo, ma il Regno comincia ora! Simeone il Nuovo Teologo disse nel X secolo: “Che dica addio alla vita eterna colui che non l’ha incontrata quaggiù”. Ciò che ci viene promesso non è solo la consolazione nell’aldilà, ma anche la certezza che dal cuore stesso della sventura può nascere la gioia. È il pericolo dell’utilitarismo: oggi non possiamo più pensare di poter essere tristi e allo stesso tempo in pace, tuttavia le lacrime ci assicurano che possiamo.
Nel suo libro Delle lacrime, lei scrive: “Le lacrime ci scappano e non possiamo capirle totalmente”.
Perché non siamo mai totalmente trasparenti a noi stessi! È un mito, un’illusione contemporanea l’assoluta trasparenza a sé stessi e agli altri. Dobbiamo imparare a sopportare la nostra opacità e la nostra finitezza, e questo significa crescere nella maturità. Si piangeva molto nel Medioevo, ma le lacrime si prosciugheranno con la modernità. Perché? Perché la nostra modernità ha per motore il controllo. Crediamo che perché vediamo, sappiamo, e perché sappiamo, possiamo. Ebbene, non è così! Le lacrime sono un liquido che annebbia lo sguardo, ma si vedono attraverso di loro cose che non vedremmo nella pura visione di superficie. Le lacrime dicono che c’è in noi qualcosa di sfocato, opaco, distorto, in una parola umano, ma che c’è anche in noi qualcosa di più grande di noi.
Come si distinguono le “vere” lacrime da “quelle di coccodrillo”?
Una bambina rispondeva un giorno alla madre che le chiedeva perché piangeva: “Quando piango, ti voglio più bene”. Le vere lacrime sarebbero quelle che aiutano ad amare meglio, quelle che si danno senza averle cercate. Le false lacrime sono quelle che non hanno nulla da offrire, ma che vogliono ottenere qualcosa o dare spettacolo. Possiamo illustrare questa distinzione con Jean-Jacques Rousseau e Sant’Agostino: il primo non smette mai di raccontare le sue lacrime, mettendole in scena e guardando sé stesso piangere, il che non mi commuove affatto. Il secondo piange perché guarda Cristo che lo ha sconvolto, e spera che le sue lacrime ci condurranno a Lui.
Dimmi come piangi, ti dirò chi sei…
Le lacrime rivelano qualcosa di noi stessi, ma al contempo ci destano! Perché solo i vivi piangono, chi piange ha il cuore ardente e la sua capacità di soffrire e compatire si risveglia. Piangere è essere toccati da qualcosa che è al di là di noi e sperare nella consolazione. Non per niente i Vangeli ci dicono che il mattino della Risurrezione la gioia più grande fu data a Maria Maddalena, quella che aveva pianto di più (Gv 20, 11-18).
Cosa ci dice Maria Maddalena di questo dono delle lacrime?
Unisce i ruoli della donna peccatrice che piange ai piedi di Gesù, di Maria (sorella di Lazzaro) che piange per il fratello morto, e di colei che sta in piedi in lacrime presso il sepolcro vuoto. I monaci del deserto hanno ripreso queste tre figure incitando il credente a piangere lacrime di penitenza, di compassione e di desiderio di Dio. Maria Maddalena ci insegna anche che chi è lacerato dalle lacrime è allo stesso tempo unificato in esse. È la stessa donna che piange di disperazione per la morte del suo Signore e di gioia alla Sua vista, è la stessa che piange per i suoi peccati e versa lacrime di gratitudine perché è perdonata. Lei incarna la terza Beatitudine! C’è nelle sue lacrime, come in tutte le lacrime, un paradossale potere di trasformazione: se sono accecanti, restituiscono la vista, se sono di dolore, possono anche diventare un balsamo.
Piange tre volte, come Gesù!
Proprio così. Per tre volte le Scritture ci mostrano Gesù che piange, su Gerusalemme e sull’indurimento dei cuori dei suoi abitanti. Poi, piange alla morte di Lazzaro le lacrime tristi e dolci dell’amore ferito dalla morte. In quel momento, Gesù piange per la morte dell’uomo: piange per ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che muore.
Infine, Gesù piange nel Getsemani
Sì, nel Giardino degli Ulivi, le lacrime del Messia attraversano la notte per ascendere verso Dio che sembra esserSi nascosto. Se Gesù è davvero il Figlio di Dio, allora è Dio che piange e supplica. Le Sue lacrime raccolgono tutte le suppliche di tutti i tempi, le portano fino alla fine dei tempi, fino a quel nuovo giorno, quando, come promesso nell’Apocalisse, Dio avrà la Sua dimora definitiva con gli uomini. Allora Egli asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi!
Le lacrime di Cristo “portano” ognuna delle nostre lacrime?
D’ora in poi, nessuna lacrima viene persa! Perché il Figlio di Dio ha pianto lacrime di angoscia, di desolazione e di dolore, ogni uomo può credere, effettivamente, che ognuna delle sue lacrime è ora raccolta come una perla fine dal Figlio di Dio, ogni lacrima di un figlio d’uomo è quella del Figlio di Dio. Il filosofo Emmanuel Levinas lo aveva previsto ed espresso in questa formula folgorante: “Nessuna lacrima deve andare perduta, nessuna morte fare a meno della Risurrezione”.
È in questa scoperta radicale che si inserisce la tradizione spirituale che svilupperà il dono delle lacrime: se Dio stesso piange, è perché le lacrime sono una via verso di Lui, un luogo dove incontrarLo perché Lui è lì, una risposta alla Sua presenza. Quindi, le lacrime sarebbero più da accogliere che da pensare, come si accoglie un amico o il dono di un amico.