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Conciliare un lavoro molto impegnativo con l’essere genitori

WORK

Shutterstock-Diego Cervo

Edifa - pubblicato il 06/11/20

Tra il desiderio di avere successo, il gusto del lavoro ben fatto, il desiderio di vedere i figli crescere accanto a sé e i rischi dell’eccesso di impegni o di burn-out, come trovare l'equilibrio tra la propria vita professionale e quella di genitore?

di Florence Brière Lot

Conciliare lavoro e figli è per molti un esercizio da funamboli. Il lavoro, i legami sociali, la necessità di ricaricare le batterie, o anche gli impegni caritatevoli pesano sulla gestione del tempo dei genitori, a volte a spese dei figli. Come rimediare a questo, come giungere ad un giusto equilibrio? Ecco le spiegazioni di Etty Buzyn, psicologa e psicoanalista.

Avrete notato che i genitori non sono abbastanza presenti a casa

È la mia battaglia, da quello che sento dalle varie lamentele da parte dei bambini. Sono molto lucidi e hanno una richiesta per i loro genitori; alcuni di loro viaggiano molto, come questa madre che, tornata da Bruxelles domenica sera, partiva per Sydney il giovedì seguente. Ho ricevuto suo figlio di 10 anni che deve confrontarsi costantemente con la valigia della madre nel corridoio. Siccome anche suo padre è molto preso dal suo lavoro, questo bambino dice sempre che è malato e si sente come abbandonato.

Qual è l’impatto sui bambini?

Le conseguenze sono talvolta pesanti. Alcuni somatizzano come questo ragazzino, e finiscono per perdere la fiducia nel loro ambiente e negli adulti in generale. In età adulta, riprodurranno questo tipo di comportamento o, al contrario, diventeranno genitori iperprotettivi?

Per quanto riguarda i più piccoli, è ancora peggio: perché un bebè, di fronte a un’assenza che non può capire, ne sarà più traumatizzato di un bambino di 10 anni. L’assenza dei genitori, troppo lunga per il piccolissimo, può essere per lui simile a una scomparsa. Perché fino all’età di due o tre anni, ha un controllo limitato della nozione di tempo, poi questa capacità di memorizzazione aumenta con l’avanzare dell’età e, a partire dai tre anni, comincia a controllarla meglio. A quei bambini che soffrono per l’assenza di un genitore, possiamo consigliare: “Chiudi gli occhi e immagina il volto di tuo padre o di tua madre nella tua testa; lo vedi? Dì a te stesso che anche lui ti vede, e tiene il tuo volto nella sua testa, proprio come fai tu”. Questo processo che gli permette di rendere presente il genitore ha il vantaggio di riappacificarlo.

Come possono i genitori compensare la loro assenza?

Quando lavoravo in neonatologia, suggerivo ai genitori che erano angosciati all’idea di lasciare il loro bambino, di affidargli un oggetto personale. Sia il bambino che i genitori si sentivano cosi rassicurati da questo legame simbolico che consiglio ancora oggi.

I padri sono spesso più assenti di prima a causa delle frequenti separazioni della coppia ed è importante che affidino al figlio un oggetto (una foto, una sciarpa…), che faccia da legame, come un’estensione di sé stessi. Il bambino, che è un tutt’uno con la magia dei gesti, è fiducioso che il padre tornerà per recuperare ciò che gli appartiene. È anche possibile lasciare piccoli messaggi, inviare SMS o messaggi vocali, che sono molto pratici intorno ai 7-8 anni. Le telefonate sono da evitare per il bambino piccolino perché, turbato, avrà difficoltà a capire da dove proviene la voce fuori campo. D’altra parte, il telefono può essere vantaggioso per i bambini più grandi, purché non li chiamino la sera, con il rischio di fargli sentire nostalgia dei loro genitori e di disturbare il loro sonno.

Lei sostiene che ai bambini viene chiesto di essere ragionevoli, di cercare di capire che i loro genitori devono assentarsi.

Sì, e gli viene chiesto di farlo sempre più presto. Perché, pur essendo ogni bambino degno di rispetto, è ben lungi dall’essere un adulto; finché gli si spiegano le cose, si pensa che tutto sia risolto. È un errore, e se è bene verbalizzare la situazione, non dobbiamo dire troppo e cadere in spiegazioni che non lo riguardano, questo non può che angosciarlo di più.

Non spetta piuttosto ai genitori capire i bisogni affettivi dei propri figli?

Quando le madri hanno importanti responsabilità professionali, diventa molto difficile per loro rinunciarvi, anche se i bambini lo vivono male perché diventano dei tappa buchi ai quali si concedono solo le briciole del tempo rimanente! Sono ben lungi dall’essere una priorità e lo sentono bene! Prima di fondare una famiglia, sarebbe auspicabile chiedersi di quanto tempo si potrà disporre per stare con i propri figli.

Recentemente ho ricevuto una donna, madre di tre figli, con un lavoro prestigioso. I bambini bisticciano sempre e la più piccola andava piuttosto male. Hanno però tantissime attività, ma mai un pomeriggio con la madre o il padre. L’attuale tendenza a voler tenere occupato il bambino a tutti i costi è un modo per liberarsi del problema.

La soluzione più comune è che qualcun altro si occupi del figlio, ma bisogna fidarsi di questa persona, perché vedo alcuni bambini affidati a tate che non si prendono cura di loro in modo appropriato: nel giardino pubblico, ad esempio, sono legati al passeggino, mentre chiacchierano tra loro. Nel mio libro, La tata, i nostri figli e noi, suggerisco di prevenire la tata, per non prenderla alla sprovvista, che ci permetteremo di passare di tanto in tanto, prima dell’ora, per vedere come vanno le cose. È essenziale essere molto vigili su quello che stanno vivendo questi piccoli, che non possono dire nulla a riguardo!

Dov’è il limite del tempo dedicato al lavoro?

L’ideale sarebbe che almeno uno dei genitori potesse essere presente con il più piccolino, per compensare l’assenza dell’altro. Per costruirsi, ha bisogno di attingere “una sicurezza di base” nel suo ambiente. Se non riesce a trovarla, moltiplica i sintomi, soprattutto nell’ambito del sonno.

Imporsi un tempo di condivisione con il proprio piccolo dovrebbe essere un investimento prioritario. Coinvolgo sempre più i padri e li metto di fronte alle loro responsabilità. Educare significa accettare i vincoli familiari e, se si vuole avere un’occupazione professionale a pieno regime, è meglio aspettare di uscire da questa interdipendenza genitore-figlio. È normale che vengano sempre dopo il lavoro e non facciano peso riguardo alla vita professionale?

Sarebbe bene che i genitori si rendessero conto che l’equilibrio psico-affettivo di un bambino dipende in gran parte dalla loro presenza e dal tempo che dedicano alla famiglia.

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