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Vi sentite a disagio con voi stessi? È giunto il momento di leggere questo articolo

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© wavebreakmedia - Shutterstock

Edifa - pubblicato il 11/10/20

Avete dei complessi e davanti allo specchio vedete solo i vostri difetti? Ecco alcuni consigli che vi aiuteranno ad accettare il vostro corpo così com'è.

di Padre Luc de Bellescize

Santa Madre Teresa di Calcutta raccoglieva i moribondi e riceveva il loro ultimo respiro. La vera dignità consiste nel morire tenendo la mano di un altro. Ella tenne la mano dei lebbrosi e li conduceva fino alla soglia della vita eterna. “La tua lebbra – disse Jean Giono – è amore inutilizzato.” Ogni uomo è peccatore, e quindi, come dicono i Padri della Chiesa, ogni uomo è un lebbroso, poiché ha perso la somiglianza con Dio, anche se sussiste sempre in lui il riflesso dell’immagine divina. “Quanta poca sostanza lascia alla nostra vita il peccato che la divora!” scrisse Bernanos. I dieci lebbrosi che stanno davanti a Cristo sono l’abisso della nostra vita, che gridano al più bello dei figli degli uomini: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17,13). “Gesù Cristo, Figlio di Dio Salvatore, abbi pietà di me, peccatore”, come i monaci dell’Oriente sussurrano, in un incessante respiro dell’anima. Bisogna acconsentire alla propria lebbra per gridare verso lo splendore di Dio.

Quanto è doloroso prendere su di sé la propria lebbra… Questo è dimostrato dalla difficoltà che abbiamo nel mostrare il nostro corpo con le sue luci e le sue ombre. Siamo pronti a idolatrarlo nell’allegria della sua giovinezza, ma lo disprezziamo nelle crepe della sua vecchiaia. Le “case dei vecchi” sono i mortori sanificati del mondo moderno… Non dobbiamo dimenticare però che il primo luogo della fedeltà di un uomo, prima di diventare custode del corpo di un’altra persona, è quella di abitare il suo corpo come una terra santa, aperta alla promessa della risurrezione; è di essere incondizionatamente fedele al suo corpo, che non gli appartiene perché l’ha ricevuto e dovrà restituirlo alla terra. Ma come riuscirci se tutte le riviste di gossip continuano a confinarci nella ristrettezza di noi stessi e continuano ad esaltare il corpo mitico, dove ogni gioia è messa al livello del benessere psicologico? Un labrador troppo nutrito su una moquette spessa può provare un certo benessere, ma ignora senza dubbio la profondità della gioia.

Restaurare l’icona di Dio in sé stessi invece di occuparsi del superfluo

Se la bellezza non è portata dall’amore, è solo un involucro vuoto, un idolo impietrito. Non è più la bellezza di Cristo che “salva il mondo”. Cosa diremo al Signore alla fine dei nostri giorni? “Mio Dio, ho fatto fatica a mantenere la linea e ho cercato di evitare di metter su ciccia”? “Ho seguito una dieta dimagrante grazie al mio super coach sportivo”? Dobbiamo portare il nostro corpo di gloria e di miseria come un tempio, dove la potenza di Dio si dispiega nella nostra debolezza. Non abbiamo mai amato qualcuno finché non abbiamo acconsentito ad amarlo fino alla vulnerabilità del suo corpo. Non avremo mai la bellezza statica delle donne perfette, ma la bellezza del nostro amore vissuto.

Ne “Il ritratto di Dorian Gray”, Oscar Wilde immagina un giovane uomo consapevole della sua grande bellezza, che usa come potere di seduzione al servizio della menzogna, dell’orgoglio e della morte. Ma il suo ritratto è lo specchio della sua anima, e pian piano s’imbruttisce fino a ricoprirsi di lebbra. Il giovane uomo lo nasconde nella sua soffitta, e a volte sale, tremante, per vedere il Male che si sta compiendo in lui. Alla fine del romanzo, in un impeto di rabbia, Dorian pugnala il suo ritratto, e avviene il rovesciamento. Il ritratto recupera la sua bellezza passata, e il giovane muore, il suo volto segnato dalla violenza e dall’odio.

Questa è la posta in gioco della nostra vita: o pugnaliamo il nostro doppio, o assumiamo la lebbra. Ma solo la via della misericordia, sulla quale i lebbrosi sono guariti, ci permette di portare ciò che è sporco nella nostra vita. Il cammino che conduce a noi stessi passa attraverso il cuore di Cristo. Quando è stata la nostra ultima confessione? Andiamo a mostrarci ai sacerdoti, che hanno ricevuto la grazia di perdonare nel nome del Signore e di restaurare in noi l’icona di Dio, affinché possiamo “glorificarLo e portarLo nel nostro corpo”.

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