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Dobbiamo evitare la nostra realizzazione personale?

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By Antonio Guillem | Shutterstock

Edifa - pubblicato il 22/07/20

Di fronte alla realizzazione personale, alcuni sono combattuti tra diffidenza e fascino. È un percorso che può aiutare a progredire nella propria vita? Non basta la fede per "realizzarsi"?

di Bénédicte Drouin

La ricerca di sé, la guarigione interiore… L’entusiasmo per la crescita personale, spesso manca di discernimento. Il filosofo Norbert Mallet analizza questo concetto alla luce della fede.

Lo scopo della vita cristiana è vivere la carità. Perché cercare l’appagamento personale?

Come ci ricorda Gesù, nell’Antico Testamento la Legge dice: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22, 39). L’amore per l’altro non può essere vissuto senza un giusto amore di sé. L’amore di Dio è unico per tutti, il modo in cui Egli raggiunge gli uomini è attraverso il rispetto della loro personalità, della loro storia, dei loro bisogni. Non siamo creature spiritualmente clonate, chiamate allo stesso rapporto con Dio, ognuno risponde alla propria vocazione a seconda dei talenti ricevuti. Come per esempio, San Tommaso d’Aquino o San Carlo Borromeo con il loro talento intellettuale, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori con quello del governo degli uomini…

L’unione con Dio non è preferibile alla ricerca del benessere?

L’unione con Dio è l’apice della realizzazione personale. Siamo stati creati da Lui per essere uniti a Lui con tutta la nostra persona: corpo, anima, emotività, intelligenza, immaginazione, volontà, etc. Il rischio è quello di perdere ciò che siamo e i frutti che potremmo portare. Lavorare su noi stessi, riducendo le disfunzioni della nostra personalità, i sistemi di difesa che ci bloccano, facilita l’opera del Signore nella nostra vita. Possiamo illustrarlo con la personalità di San Pietro: collerico, tutto fuoco e fiamme, egli non può accogliere completamente il messaggio di Cristo finché non ha lasciato la sua impulsività.

Ma la guarigione delle nostre ferite non eliminerà mai la nostra condizione di peccatori…

San Tommaso d’Aquino dice che l’effetto primario del peccato è quello di impedire l’amicizia con Dio. Il secondo effetto è una ‘cacofonia’ delle nostre facoltà (intelligenza, volontà, sensibilità…) che rimangono buone, ma non sono più armonizzate. La grazia di Dio ristabilisce l’amicizia tra Dio e l’uomo, ma non risolve la discrepanza tra le varie facoltà dell’uomo.

La nostra conversione consiste nel cercare di farle lavorare insieme. Per fare questo o riceviamo una grazia da Dio che cambia radicalmente la nostra vita, oppure, il più delle volte, dobbiamo mettere in atto disposizioni virtuose. Ognuno, secondo il proprio temperamento, soffre di una passione dominante. Abbiamo una virtù particolare da sviluppare per unificare la nostra umanità e ricevere la salvezza.

Cosa significa “realizzarsi” per un cristiano? Qual è la differenza con la conoscenza di sé?

Il termine “realizzazione personale” si riferisce allo sviluppo delle nostre risorse personali. Il termine “conoscenza di sé” risale all’antichità. Il “Conosci te stesso” socratico è stato ripreso da Platone, poi da Aristotele e poi, con sfumature diverse, dai Padri della Chiesa. Questa conoscenza è al centro della tradizione greca e cristiana: più mi conosco, più sono in grado di inscrivere la mia vita personale in una vocazione che va oltre me stesso per sviluppare tutte le dimensioni della mia persona, compresa quella della salvezza. Partiamo da ciò che siamo per sbocciare in Dio; un albero senza radici è sradicato alla prima tempesta.

Quindi la realizzazione personale è un’invenzione della modernità?

Se la realizzazione personale fa parte della contemporaneità, il processo di conoscenza di sé e di padronanza delle passioni è antico. Platone ne parla nei Dialoghi. In Etica a Nicomacheo, Aristotele descrive un’”etica del carattere”, commentato da San Tommaso d’Aquino. San Giovanni Cassiano, Padre del deserto, ha dato ai suoi monaci il consiglio di “scoprire la passione dominante: quella che fa reagire immediatamente e impedisce di pensare e di essere umano. Una volta trovata, sforzarsi di convertirla e di orientarla verso Cristo. Quando si sarà convertita questa passione dominante, vedere se c’è un’altra passione che causa lo stesso problema e lavorare anche su quella per convertirla”. Non invita tutti i monaci a pregare allo stesso modo, piuttosto chiama ciascuno a convertire la parte di sé che gli causa maggiori difficoltà.

Come si articolano vita corporea, vita psichica e vita spirituale?

Per capire le cose, l’uomo è talvolta tentato di dividere e di fare separazioni arbitrarie. È sciocco separare il corpo, la psiche o la vita spirituale: siamo una cosa sola. Qualunque sia la porta d’ingresso, si tratta, insieme allo sviluppo personale, di cogliere la totalità della nostra umanità, tutto è collegato, tutti noi abbiamo sperimentato che l’angoscia può essere alleviata con l’esercizio fisico. Dobbiamo allo stesso tempo evitare di separare le diverse dimensioni che compongono la nostra persona, e allo stesso tempo rispettarle. Accade che una delle parti della nostra persona presenta un problema: sarà necessaria una cura adeguata affinché l’opera di salvezza di Dio possa realizzarsi più pienamente.

A quali condizioni un cristiano può trarre beneficio dalla realizzazione personale?

Vedo due rischi: una pratica che “psicologizzerebbe” tutto, tagliata fuori dalla vocazione dell’uomo di essere unito a Dio, oppure un’etica fuori luogo, confinata all’unione con Dio, dimenticando l’Incarnazione. Il rischio è allora quello di distogliersi dall’umano, di aspettare solo l’opera della grazia, dimenticando la parte della volontà, della libertà che appartiene all’uomo. In realtà, la realizzazione personale inizia con le persone con cui veniamo a contatto: coniuge, figli, colleghi, vicini, che sono lo specchio dei nostri limiti e ci permettono di migliorare noi stessi. E non dimentichiamoci che il Comandamento di Gesù non è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”, il comandamento di Gesù è un “comandamento nuovo” che compie tutto perfettamente: “Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi”. Questo nuovo comandamento ci allontana radicalmente da noi stessi e dalla nostra realizzazione personale, per rivolgerci verso gli altri e impegnarci a dare la nostra vita per loro, in un amore che va “fino alla fine” dove ci sacrifichiamo, a imitazione di Cristo: “Avendo amato i Suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13, 1).

“Come Io vi ho amato”: l’autentica imitazione di Gesù Cristo si rivela infine l’opposto assoluto della ricerca della propria realizzazione personale. San Paolo ce lo conferma: “Abbiate tra di voi un solo amore, un solo cuore, una sola anima; non concedete nulla a ciò che vi separa, nulla alla valorizzazione di voi stessi, ma al contrario, che ciascuno si abbassi per elevare l’altro al di sopra di sé: che nessuno di voi si preoccupi mai di sé stesso, ma che siate predisposti l’uno all’altro. Abbiate tra voi gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù: Colui che era di natura divina non ha rivendicato il Suo essere come Dio, ma svuotò Sé stesso assumendo una condizione di servo, Si è annientato, facendoSi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (cfr. Fil 2,1-11).

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