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Le tre dimensioni dell’atto dell’offerta di sé a Dio

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Edifa - pubblicato il 16/07/20

San Giovanni Battista de La Salle diceva: "Offrire a Dio il proprio sé e tutto ciò che è proprio è fare un dono e un'offerta di sé, di tutti i propri pensieri, parole, azioni e beni, sia spirituali che temporali, in una parola di tutto ciò che si possiede in questo mondo". Ecco come fare.

di padre Nicolas Buttet

San Paolo invita vivamente: “Vi esorto, fratelli miei, per la tenerezza di Dio, ad offrirGli la vostra persona e la vostra vita come sacrificio santo, capace di piacere a Dio: questa è per voi la vera adorazione” (Rm 12, 1). “In sacrificio”? In ebraico, “sacrificio” si dice “korban”, che significa “riavvicinamento”. Il sacrificio, quindi, ha lo scopo di riavvicinarci a Dio e di invitarci a vivere un’intensa comunione con Lui. Per fare questo, è necessario “fare teshuvah”, cioè convertirsi. Questo “teshuvah” consiste in un completo rinnovamento del nostro modo di vedere e pensare la realtà (Rm 12, 2). Si tratta di guardare dall’alto, con lo sguardo misericordioso di Dio, la nostra vita e il nostro mondo. Ecco la triplice dimensione dell’atto di offerta.

L’offerta di sé

Nella misura in cui la nostra vita è un “regalo ” di Dio, dovremmo considerare tutto ciò che c’è di buono nel nostro essere e nella nostra esistenza: la nostra anima, il nostro corpo, i nostri talenti, il nostro patrimonio culturale e famigliare… A questo proposito, San Paolo scrive: “Che cosa hai tu che non hai ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti glorifichi come se non l’avessi ricevuto? ”(1 Corinzi 4, 7). “Fare teshuvah” è anche riconoscere Dio come fonte di ogni bene e, di conseguenza, ci viene chiesto di conformare la nostra esistenza alla Sua parola di verità.

Questa offerta di sé realizza nella forma del ringraziamento e della lode per i benefici ricevuti e si incarna nel desiderio determinato di servire Dio e il prossimo, di mettersi interamente, secondo il proprio stato di vita, a disposizione del Signore per costruire il Suo Regno e di rendere coerenti con la nostra vita i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni.

Offrire i propri peccati

Troviamo il seguente aneddoto nella vita di San Girolamo. Dio gli chiese: “Che cosa mi dai oggi, Girolamo? ”Egli risponde: “Ti do, Signore, la mia preghiera”. ”Bene, ma cos’altro?” Girolamo cita varie opere: la sua ascesi, le sue veglie, il suo amore per coloro che vengono a trovarlo… E Dio gli chiede: “Cos’altro?” Girolamo rispose: “Ma, non so, non ho più niente! ”Il Signore allora gli disse: “C’è qualcosa che non mi hai dato, sono i tuoi peccati!”

Offrire le proprie sofferenze

Infine, c’è ciò che è “subìto”, le grandi prove della vita e i “piccoli dolori quotidiani, che ci colpiscono come punture più o meno sgradevoli”. Offrire queste sofferenze significa “inserirle nella grande compassione di Cristo” e farle entrare “in qualche modo nel tesoro di compassione di cui il genere umano ha bisogno” per vivere l’amore, per accogliere e diffondere la salvezza (Benedetto XVI).

Madre Teresa di Calcutta pregava così:

“Aiutaci, Padre amantissimo, a prendere tutto quello che Tu ci dai e a dare tutto quello che ci prendi con un grande sorriso”

Quel sorriso interiore ed esteriore è il chiaro segno della libera offerta di sé in ogni circostanza, e si oppone alla tristezza della rassegnazione o alla rabbia della mormorazione.

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