Lasciare la propria casa, l'ambiente familiare dove si è abituati a vivere, può essere a volte complicato e persino doloroso, anche se il trasloco è motivato da prospettive positive come una nascita, un trasferimento per lavoro o un progetto per una nuova vita. Ecco i suggerimenti per togliersi dalla mente gli scatoloni e sentirsi bene nel nuovo ambiente
di Raphaëlle Simon
Anna, che trasloca per la quinta volta, confessa: “Ho sempre pianto quando arrivavo e ho sempre pianto quando partivo”. L’esperienza può essere più o meno dolorosa, ma è pur sempre uno strappo. Lo psicanalista Alberto Eiguer dice che “non importa come viene vissuto, cambiare casa è sempre una prova di abbandono”. Si tratta di lasciare i propri punti di riferimento, ma soprattutto i legami affettivi: gli amici, il quartiere, i volti familiari, un asilo nido o una scuola, una parrocchia, e tutti quei i piccoli legami che si intrecciano nella vita quotidiana. Anche se è per il meglio (non necessariamente immediato), anche se scelto, spostarsi è traumatico. Come per i profeti del libro dell’Esodo, cambiare la propria dimora può essere difficile, ma è anche una chiamata a vivere un’altra missione. È un percorso che permette di crescere, ma a certe condizioni…
Accettare di non guardarsi indietro
Se è doloroso staccarsi dal proprio vecchio luogo di vita spostandosi, è fondamentale costringersi a costruirne uno nuovo, senza cercare di prolungare ciò che è stato vissuto prima. Cristina ne ha fatto l’esperienza: “Ci siamo trasferiti in un appartamento abbastanza vicino a quello vecchio. All’inizio volevo tornare con i bambini nei giardini dove spesso giocavano, ma mi sono costretta ad andare regolarmente in quelli del nostro nuovo quartiere”.
Non si tratta tanto di tagliare i ponti per sempre, quanto di trasformare dei vecchi legami in nuove relazioni. Non è forse imparando a separarsi che si impara a preservare l’essenziale? In questo periodo di sconvolgimenti, è particolarmente opportuno pregare, confidare a Qualcuno la propria tristezza, speranze, dubbi, gli amici lasciati dietro di sé, coloro che si faranno avanti, e chiedere l’aiuto dello Spirito Santo per discernere le scelte future.
Un trasloco comporta tanta confusione e molti passaggi da fare. Ci vogliono diversi mesi per assorbirlo completamente, riconoscere la propria stanchezza fisica, psicologica ed accettare di vivere negli scatoloni per un certo tempo (a condizione che ciò non si trascini in eterno), permette di andare avanti.
Il momento di fare il punto della situazione o anche di voltare pagina
Pulire, marcare il proprio territorio, mettere ordine e celebrare socialmente la fine del trasloco sono i quattro elementi che lo costituiscono come rinnovamento, come passaggio verso una nuova vita. Sistemarsi in casa implica una dimensione intima, ma anche una dimensione sociale, è una tappa di riappropriazione più soddisfacente, perché porta speranza e cambiamento, ed un simbolo di rinnovamento. Per alcuni è un’opportunità per fare il punto della situazione e anche per voltare pagina.
Per Caterina e Franco, il trasloco ha sempre sollevato molte domande: “Come vogliamo vivere in questo nuovo posto? Che tipo di rapporto vogliamo e con chi?” Il trasloco ci dà l’opportunità di fare un bilancio e a volte, di liberarci e di scoprire nuovi modi di realizzazione e di servizio.
Per integrarsi, dobbiamo osare
Spetta ai genitori tessere per primi i fili della loro nuova vita e la loro integrazione dipenderà dalla loro motivazione. Positiva (“Super, altre facce, una nuova regione con molto da scoprire!”), o demotivante (“Cosa ci faccio in questo buco? Non c’è niente da fare e nessuno da vedere”). Chi si muove spesso, o per un periodo molto breve, a volte ha difficoltà a rinnovare i propri sforzi. Costanza, moglie di un militare, si chiede “Quando sai che vieni per un anno, è difficile impegnarsi: a cosa serve tutto questo sforzo per costruire relazioni se poi le perdi e ricominci da qualche altra parte? “. E aggiunge “Più si è motivati ad investirsi velocemente, più è probabile che ci si inserisca, indipendentemente dalla durata della permanenza”.
Altri fanno raramente il primo passo. Bisogna andare ad incontrarli, con umiltà, che è la parola chiave di questo processo di integrazione: permettere di farsi aiutare, chiedere dei consigli o delle informazioni ai vicini per semplificare le procedure amministrative, ottenere gli indirizzi giusti nel quartiere (ristoranti, medici, calzolai, tintorie, negozi di alimentari, ecc.) Anche l’utilizzo della propria rete professionale non deve essere trascurato. A volte è necessario prendere l’iniziativa, di creare occasioni di incontro, di aperitivo con i vicini, di accettare un caffè tra madri di famiglia. La parrocchia e la scuola restano mezzi privilegiati di integrazione e i bambini aiutano ad aprire le porte, a condividere situazioni e scambiarsi dei favori.
Anche le famiglie isolate hanno interesse ad avvicinarsi ad una comunità religiosa, luogo di rinnovamento spirituale e di legami fraterni. La Provvidenza, che mette al nostro fianco le persone giuste al momento giusto, attende solo la nostra fiducia: dice Maria “La nostra vicina di casa al piano di sopra ha avuto due gemelle di sei mesi più grandi dei miei gemelli. Ci siamo aiutati molto l’un l’altra e mi ha presentato tutta la sua rete di amici”. Infine, perché non approfittare di un trasloco per scoprire una nuova regione, la sua geografia, le pagine della sua storia, la ricchezza della sua cultura?
Se da una parte non si deve aspettare di essere completamente sistemati per “farsi il proprio giro”, il tempo è un prezioso alleato per radicarsi in profondità e durata. Anna riassume: “Il primo anno si costruisce, il secondo si consolida, il terzo si comincia ad approfittarne”. Ora è lei che accoglie i nuovi arrivati nel suo condominio.