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Giovedì Santo: diventare servi durante la quarantena

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Edifa - pubblicato il 08/04/20

Questo Giovedì Santo ricordiamo Gesù che lava i piedi ai Suoi apostoli. Con questo gesto Egli ci invita a fare di noi i servitori degli altri. Un insegnamento che possiamo seguire, anche se siamo confinati nelle nostre case.

di Christine Ponsard

In questo Giovedì Santo contempliamo Gesù che lava i piedi dei dodici apostoli. Il gesto compiuto dal Signore rischia di rimanere incomprensibile ai nostri figli se non glieLo spieghiamo: il lavaggio dei piedi era un segno di ospitalità molto comune in quei paesi dove si camminava a piedi nudi o con dei semplici sandali. (Questo servizio era riservato all’ultimo degli schiavi, anche se uno schiavo ebreo non ne era obbligato). Deponendo le vesti per lavare i piedi ai Suoi amici, Gesù assume la condizione del più umile dei servi. Ma Egli fa molto di più che rendere un servizio, Egli manifesta chiaramente ciò che è sempre stato: un servo, “Il” servo per eccellenza. Questo è il senso stesso della Sua Incarnazione e della Sua Passione: “Il Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò Sé Stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò Sé Stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8).

Diventare servi dei nostri fratelli

Gesù ci chiede di diventare servi come Lui, ma non basta rendere un servizio per essere un servo, si può servire in modo condiscendente, dall’ “alto” della propria generosità e dedizione. Questo modo di rendere servizio rende l’altro in obbligo verso di noi: nonostante le apparenze, tale servizio ci rende come padroni di colui che serviamo, ed è un modo per esercitare potere. Non è così che Gesù serve, Lui si fa ultimo di tutti, povero tra i poveri: l’umiliazione della lavanda dei piedi annuncia l’umiliazione della croce. Ma per diventare un servitore si deve rendere servizio, a cominciare da tutti i piccoli e concreti servizi quotidiani, non eclatanti e senza alcuna gloria. Imparare a rendersi utili gratuitamente, con discrezione, con gioia, è imparare a diventare servo, a condizione che non si metta la propria gloria nel servizio reso e che non si veda nel servizio un fine. Essere un servitore a volte significa rinunciare al servizio per lasciarlo fare a qualcun altro.




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Se la Chiesa dà un tale posto alla Lavanda dei piedi nella liturgia del Giovedì Santo non è ovviamente un caso, infatti nessuna parola potrebbe sottolineare meglio il legame tra i tre grandi misteri che celebriamo in questo giorno: l’Eucaristia, la carità fraterna e il sacerdozio. La pratica sacramentale e la pratica della carità fraterna sono inseparabili, semplicemente perché il comandamento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo sono una cosa sola, perché c’è un solo amore. Essere cattolici “praticanti” significa partecipare alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa (prima di tutto partecipando alla Messa domenicale), ma anche diventando servi dei fratelli. Proprio durante l’isolamento in casa il primo dovere non è accessibile, ma il secondo lo è.

Durante questo periodo di quarantena, possiamo già farci servitori l’uno dell’altro a casa, servendoci a vicenda con sorrisi, buon umore e tante piccole attenzioni. Possiamo anche occuparci a mantenere un collegamento regolare (telefono, e-mail, ecc.) con i parenti lontani, con i nostri vicini e soprattutto con le persone anziane o i più fragili che sono soli in casa o confinate senza possibilità di visite in casa di riposo.




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