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Quando la discrezione di San Giuseppe diventa il linguaggio dell’essenziale

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© Philippe Lissac / Godong

Edifa - pubblicato il 21/03/20

Questo santo discreto ci insegna molto sullo stile di vita che dobbiamo condurre sulla terra per raggiungere la santità, ed è un esempio da seguire con determinazione.

di padre Nicolas Buttet

La Chiesa ha sempre riconosciuto in San Giuseppe il più grande santo della Chiesa dopo la Vergine Maria. Un Padre della Chiesa, San Gregorio Nazianzeno (IV secolo), scriveva: “Il Signore ha riunito in Giuseppe, come in un sole, tutto ciò che i santi hanno insieme di luce e di splendore”. Non è esagerato visto ciò che sappiamo di lui? Per rispondere a questa domanda, è necessario capire che non è tanto la sua biografia ad essere importante quanto il suo essere “teologico”, vale a dire la sua stessa esistenza in Dio. La sua discrezione diventa allora il linguaggio dell’essenziale.

San Giuseppe, maestro dell’ascolto di Dio

Ciò che è assolutamente disarmante è che il luogo della massima santità, Nazareth, è anche il luogo della massima discrezione. Una vita così semplice, quasi banale, una vita fatta di amore coniugale e di carità familiare, segnata dal lavoro, una vita intera rivolta a Dio attraverso la preghiera e l’osservanza delle prescrizioni religiose, segnata dall’obbedienza al dovere di stato nella monotonia della vita quotidiana! Non finiremo mai di meditare su questo rapporto contrastante tra tale santità eminente e la vita umile di ogni giorno.


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In questa scuola di Nazareth, San Giuseppe appare come il dottore del “silenzio”, è maestro in materia d’ascolto di Dio, vive pienamente lo “Shema Israel” (“Ascolta Israele”), pregandolo due volte al giorno. Il suo silenzio non è quindi mutismo, ma qualità d’ascolto! Giuseppe è allora pronto ad obbedire: mai prevenuto, ma sempre pronto! Questo è il segno convincente del Suo abbandono, confidente nella Divina Provvidenza: “Prese Sua moglie nella sua casa” (Mt 1, 24), andò a Betlemme (Lc 2, 4), prese la Madre e il Bambino e fuggì in Egitto (Mt 2, 13), dopo la morte di Erode tornò a Nazareth con la moglie e il Bambino (Mc 2, 19-23). Attraverso il Suo esempio di vita reale e ben “incarnata”, lo sposo di Maria, il padre di Gesù e l’artigiano del villaggio è diventato il testimone di una vita autenticamente mistica. Egli è “giusto” perché “è una persona che prega, che vive di fede e cerca di fare il bene in ogni circostanza concreta della vita”, diceva San Giovanni Paolo II.


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“Non immaginare la propria santità ma accoglierla, costruirla umilmente”

Ciò che non viene detto esplicitamente su Giuseppe, quegli anni di vita di amore e di lavoro, ci rimanda, per necessità, alla nostra vita quotidiana. È come se Dio ci dicesse attraverso Giuseppe: “Non cercate opportunità di santificazione in nessun altro luogo se non nella realtà della vostra vita, non fuggite fuori dalla vostra vita per trovare il Signore. Non immaginate la vostra santità: accoglietela, costruitela con umiltà ma con fermezza, nel corso di eventi che sono tante occasioni di obbedienza alla volontà del Padre che è nei cieli, tante occasioni per il dono generoso di voi stessi, tanti luoghi di incontro e di vita dell’Unico necessario: l’amore di Dio e del prossimo”.

Giuseppe, una santità senza parole, ma eloquente. Il Suo silenzio ci invita ad ascoltare il Verbo, il Verbo fatto carne che è al centro della Sua e della nostra vita.

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