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Ci sentiamo buoni a nulla? Dio ha un messaggio per noi

Sad - Woman - Desperate

© Marcos Mesa Sam Wordley

Edifa - pubblicato il 08/01/20

A volte ci succede di sentirci dei buoni a nulla. Questo sentimento ci divora dall'interno e ci impedisce di essere felici. Cosa possiamo fare per rimetterci in carreggiata e ritrovare la fiducia in noi stessi? Il Signore ha la risposta a questa domanda.

di Christine Ponsard

La sensazione di essere perdenti può avere cause molto diverse: in primo luogo, può essere radicata nel profondo e aggravata da ferite infantili, da fallimenti recenti che potrebbero aver danneggiato seriamente la nostra fiducia, dalla stanchezza (particolarmente pesante nelle buie e fredde serate invernali), dal cumulo degli impegni da svolgere, dalle preoccupazioni da affrontare, dagli eventi imprevisti che sconvolgono l’ordine delle cose… e da molte altre ragioni che spesso si mescolano tra di loro. Quando questo sentimento ci travolge, lasciamoci guardare da Colui che non ci trova affatto patetici o incapaci… Infatti, è Lui che ci ha fatti a Sua immagine e che ci salva!

Dio ci ama, qualsiasi cosa accada

Siamo certamente lontani dall’immaginare quanto Dio si meraviglia di ciascuno di noi : questa potrebbe essere la sorpresa più grande quando ci troveremo davanti a Lui. Dio vede la nostra bellezza e ce la rivela.

Quando preghiamo, anche se sembra un monologo pieno di distrazioni e di noia, Dio continua a ripeterci nel Suo linguaggio silenzioso: “Tu sei il Mio figlio prediletto, sei bello, sei grande, sei il tesoro del Mio cuore”. La preghiera, come la stanchezza o il lavoro eccessivo, non ci esime dal combattere contro le cause dello scoraggiamento.

Crisi esistenziale o stanchezza temporanea?

Ricordiamoci che Dio non ci chiede più di quanto possiamo realizzare in un giorno, per questo è importante distinguere tra i veri e i falsi obblighi: ad esempio, mentre alcuni hanno bisogno di poche ore di sonno, noi non dobbiamo negarci le nostre di ore e neanche quei periodi di riposo indispensabili.

Non dobbiamo farci prendere dal panico, considerando come crisi esistenziale quella che il più delle volte è solo una stanchezza più o meno temporanea, ma prendiamo comunque le cose seriamente, rispettando il nostro corpo, affinché la nostra vita spirituale non ne soffra.

L’umiltà sopra ogni altra cosa!

Sentirsi buoni a nulla non è una cosa grave, purché non ci buttiamo giù di morale. Possiamo riconoscere nell’umiltà la nostra nullità e nel contempo rallegrarci perché Dio è tutto. Ma quando ci manca questa santa umiltà, nell’orgoglio ci ribelliamo e ci disperiamo di fronte ai nostri fallimenti, cosicché la constatazione dei nostri limiti ci riempie di amarezza e di scoraggiamento. Detto questo, l’umiltà non può essere conquistata solo con i nostri sforzi, il volontarismo in questa materia può anche portare al risultato opposto. Il segreto ci viene dato da Santa Bernardetta: “Ci vogliono tante umiliazioni per fare un po’ di umiltà”. I fallimenti e le umiliazioni ci appaiono spesso come un’involuzione, dei freni nella nostra vita spirituale e degli ostacoli alla santità, ma l’umile Bernardetta ci insegna ad accoglierli come occasioni per affidarci con semplicità all’amore di Dio.

Ecco perché non saremo mai degli “incapaci patetici”

“Sono patetico!”
Questa constatazione è dapprima un grido di dolore, poi un grido d’aiuto e infine si trasforma in un canto di lode: “Il Signore fa miracoli per me”. È vero che da soli siamo patetici, incapaci e anche meno di questo, tuttavia, nel senso stretto del termine, non siamo nulla. Se Dio smettesse di amarci per un solo istante cesseremmo di esistere, ma ciò che conta è che Lui ci ama e ci amerà sempre. Anche se ci sentiamo subissati a causa dei nostri fallimenti, dei nostri limiti, di qualsiasi considerazione su noi stessi, buona o cattiva che sia e della gravità del nostro peccato, non siamo e non saremo mai “patetici” proprio a causa dell’amore infinito che Dio ha per noi. La cosa più importante è accettare di farsi guidare e di ricevere tutto da Lui.

Il bimbo piccolo non si preoccupa della propria debolezza, ma confida nell’amore dei suoi genitori. Non è forse questo il beato abbandono a cui ci invita Gesù quando dice che il Regno appartiene ai bambini e a coloro che li assomigliano?

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