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Aiuto, sono sposata e penso ad un altro uomo

KOBIETA

Steven Aguilar/Unsplash | CC0

Edifa - pubblicato il 11/11/19

Anche se siamo sposati, può capitare di invaghirci di un’altra persona. A volte la desideriamo e pensiamo addirittura di esserne innamorati. Allora il dubbio si insinua dentro di noi e ci rosicchia dall’interno. Come possiamo reagire in questi casi?

Siamo responsabili delle nostre emozioni? Sul momento ovviamente no. Quando ci troviamo di fronte ad una situazione difficile da affrontare, potremmo voler fuggire. Quando ci troviamo di fronte ad un’aggressione, potremmo voler rispondere con un’esplosione di violenza. E di fronte ad una persona che emana un fascino particolare, potremmo trovarci a sognarla. Queste sensazioni esistono e possono essere violente come un’onda che ci sommerge. Altre volte invece sono quasi impercettibili ed è solo dopo un po’ di tempo che realizziamo la loro strana presenza in noi. In questi casi siamo sconcertati perché non ci riconosciamo.

“Cosa mi sta succedendo?”

Questa espressione è rivelatrice. Suggerisce che c’è un divario tra il sentimento che abbiamo, che può sopraffarci fino all’ossessione, e la nostra volontà. È dentro di noi, ma non ci rappresenta. Perlomeno, finché rifiutiamo di dare il nostro consenso. È il momento di ricordare un principio semplice ma fondamentale: la tentazione non è un peccato. Finché non acconsentiamo (né con le azioni, né con il pensiero) rimaniamo fedeli e non pecchiamo.

Alla domanda: “È perdonabile?” bisogna dunque rispondere che non c’è da perdonare un pensiero o un sentimento involontari. Alla vergogna (“È ripugnante”) bisogna rispondere come Gesù: “Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro” (Mc 7,15).

Ma nella realtà, le cose non sono così limpide. Tra il puro e semplice rifiuto della tentazione e l’evidente caduta nell’infedeltà, c’è spesso una zona di ambiguità, più o meno intrattenuta che lascia una porta aperta al peggio. C’è dunque una lotta da combattere ed è necessario prima di tutto eliminare la tentazione del “vediamo fino a dove posso arrivare senza cedere”. La resistenza dev’essere chiara nel pensiero e netta nella volontà, anche se è una lotta difficile e talvolta lancinante perché sembra non finire mai.

Una tentazione che deve sollevare degli interrogativi

Forse è necessario insistere qui sul non consenso. Cerchiamo di essere chiari: il consenso non è solamente il passare all’azione, c’è anche un consenso mentale. Nel discorso della montagna, Gesù chiama i suoi discepoli ad una giustizia che non è solamente conformismo esterno, ma una verità interiore.

Queste fragilità, queste reazioni sconcertanti, ci interrogano sul nostro passato e sul nostro futuro. Sembrano sorgere inaspettatamente e inspiegabilmente o venire da circostanze esterne. Tuttavia sono così estranee come sembrano? Possono essere una conseguenza dell’imprudenza, di una mancata vigilanza oppure di errori antichi o più recenti che hanno lasciato dei segni e che ci rendono ancora vulnerabili a questo tipo di tentazioni. Questo richiede l’opera dello Spirito Santo nel nostro cuore: un’opera di luce, guarigione e liberazione.

D’altra parte, questi momenti di turbamento e di esitazione ci costringono a ripensare alle nostre scelte e ai nostri impegni. Delle cose che sembravano ormai ovvie e acquisite vengono messe in discussione. Questo può significare che mancavano di autenticità o di maturità. Le prove sono delle occasioni per rinnovare il nostro impegno che diventerà più vero e più radicale. Ecco perché il Signore permette questi passaggi pericolosi nella nostra vita. Ne ha meno paura di noi!

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