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Come fare per rimanere cristiani senza lasciarsi calpestare? 

Woman - Bullying - Disrimination
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Edifa - pubblicato il 01/11/19
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Gesù ci chiede di “non opporci al malvagio”. Bisogna allora accettare tutto da parte di coloro che ci vogliono del male? di padre Alain Bandelier

“Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5,39). Potremmo dire che questa parola del Signore sia un’iperbole orientale, un ideale inaccessibile, un paradosso pedagogico. Potremmo pensare che non dovremmo prendere il Vangelo alla lettera. Tuttavia questa parola, incisiva come una spada, tocca e affascina e la prova è che nessuno riesce a dimenticarla. San Paolo ne dà anche una traduzione: “Vinci il male con il bene” (Rom 12,21; 1Ts 5,15). Tra tutte le risposte possibili ad un’aggressione, come la collera, la vendetta, la rivendicazione, la disperazione, il disprezzo o l’indifferenza, esiste anche una risposta diversa e sconcertante che è la dolcezza, la pazienza, la compassione e il perdono. San Paolo li chiama i frutti dello Spirito. È il volto concreto della Carità (Gal 5,22-23; 1 Cor 13,4-7) ed è la risposta di Cristo a coloro che lo crocifiggono.

Non contrattaccare per ogni torto subìto non significa che dobbiamo accettare tutto 

A proposito, perché si parla di guancia destra? Il nostro docente di Sacra Scrittura ci ha fatto notare la differenza tra il ricevere un buffetto amichevole, con il palmo della mano aperto sulla guancia sinistra e lo schiaffo che colpisce la guancia destra e umilia; è il gesto del disprezzo e del rifiuto. Anche in questo caso, Gesù ci chiede di non avere uno spirito di rivalsa, di non fuggire ma di restare lì, vulnerabili. È il solo modo di fermare la violenza.

Non bisogna dire troppo velocemente che è qualcosa di impossibile. Il pastore Wilkerson, scrittore americano e cristiano evangelico, racconta nel suo libro La croce e il pugnale, come la Provvidenza l’avesse condotto nel mondo dei giovani delinquenti di New York. Il capobanda, esasperato dalle sue prediche e dalla loro crescente influenza sui suoi compagni, l’aveva minacciato di tagliarlo a pezzi. Il Pastore allora gli aveva risposto: “Puoi farlo, ma sappi che ogni pezzo dirà ancora ‘Ti voglio bene'”. Potremmo citare ancora numerosi martiri che hanno offerto la loro vita per i loro carnefici. E tutti questi giganti dell’amore non ci devono far dimenticare coloro che nella vita quotidiana mettono la pace dove c’è la guerra e la tenerezza dove c’è la crudeltà. È una follia? Si tratta di eroismo o dell’audacia di amare come Gesù, cioè incondizionatamente?

Tuttavia questo non significa che non bisogna mai reagire o che dobbiamo accettare tutto. Quando sei l’unico coinvolto, puoi rinunciare a fare valere i tuoi diritti: “a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello” (Mt 5,40). Tuttavia quando è messo in pericolo il bene privato di una persona o il bene comune di una società, la carità esige che rispettiamo e che facciamo rispettare la giustizia. I beni, la salute, l’onore e a maggior ragione la vita corporale e spirituale dei nostri fratelli non possono essere abbandonati al potere dei malvagi. Per carità verso i nostri stessi nemici, a volte dovremo tenere loro testa. Per fare questo, si inizierà con un dibattito e se questo non basterà si arriverà fino all’azione giudiziaria; si comincerà con la legittima difesa e se questo non sarà sufficiente si arriverà fino alla guerra quando questa diventerà sfortunatamente inevitabile. In tutte queste situazioni limite, tuttavia, si riconosce che una persona è un discepolo di Cristo per queste due cose: non intrattiene l’odio e fa ricorso alla forza solo quando tutti gli altri mezzi hanno fallito.