Come nasce il risotto allo zafferano?
Ovviamente, non lo sa nessuno: quella che stiamo per raccontare è solamente una leggenda, inventata a posteriori dagli abitanti di Milano per il gusto di creare un mito fondativo attorno a uno dei piatti più amati della gastronomia locale. Ma anche le leggende hanno il loro valore, soprattutto se offrono l’occasione per ravvivare il pranzo della domenica raccontando qualche aneddoto curioso: e dunque, ecco a voi la storia di come (non) nacque il risotto alla milanese (ma noi piace comunque far finta che sia vero).
C’era una volta, tanto tempo fa, il cantiere del duomo di Milano
E fin lì: il cantiere c’era per davvero.
In effetti, all’interno del cantiere, c’erano per davvero anche due dei protagonisti di questa storia: mastro Valerio Profondavalle e la sua giovane figlia Prudenzia
I due personaggi sono realmente esistiti, figli d’arte in ogni possibile senso del termine: discendenti da una famosa famiglia di pittori che da lungo tempo lavorava in Svizzera, attorno alla metà del Cinquecento s’erano trasferiti a Milano. Lì, mastro Profondavalle aveva ricevuto commissioni importanti (per esempio, aveva affrescato il porticato di Palazzo Ducale); la piccola Prudenzia, poco più che una bambina al momento del trasloco, aveva cominciato a maneggiare i colori del padre divenendo, a tempo debito, una pittrice stimatissima, specializzata in nature morte (una delle poche artiste donne dell’Italia della prima età moderna!).
La vita milanese di Valerio Profondavalle culminò, verso la metà degli anni ’70 del XVI secolo, con un incarico destinato a renderlo famoso: Carlo Borromeo scelse proprio lui per curare la realizzazione di due delle vetrate del duomo di Milano. In particolar modo, affidò a lui quella che ripercorre la vita di san Giuseppe e quella dedicata a sant’Elena e al ritrovamento della santa croce.
E, fin qui, abbiamo raccontato la Storia vera, con la S maiuscola.
Da questo momento in poi, la Storia cede il passo alla leggenda nel momento in cui la narrazione introduce un terzo personaggio: un giovanotto milanese che mastro Profondavalle aveva assunto come garzone per farsi aiutare nella realizzazione di quelle due vetrate.
E qui entra in scena un giovanotto talentuoso
Il ragazzo, che era entrato in cantiere come una maestranza di basso livello, aveva mostrato in pochi giorni di saper tenere in mano il pennello con un’abilità che, francamente, aveva sorpreso tutti.
In breve tempo, s’era reso evidente un dato di fatto: in tutto il cantiere, non c’era nessuno abile come quel ragazzo nel dare profondità ai toni del giallo. Le vetrate che il giovanotto dipingeva col colore dell’oro si illuminavano di mille sfaccettature, quando i raggi del sole vi si posavano sopra: e davvero sembrava che su quelle finestre fosse stata stesa, impalpabile, una lamina di quel metallo prezioso, a giudicare dal lucore splendente che ogni volta si veniva a creare.
In effetti, quelle opere d’arte esistono per davvero, e hanno per davvero queste caratteristiche: le vetrate realizzate sotto la guida di mastro Profondavalle spiccano realmente per il loro uso massiccio del colore giallo. Naturalmente, noi non abbiamo idea di chi fu la maestranza a realizzare, ma la leggenda meneghina non ha dubbi: tutto merito di quel volenteroso giovanotto milanese!
In breve tempo, il garzone conquistò la stima professionale del suo maestro, che cominciò ad affidargli incarichi sempre più importanti; e cominciò anche a invitarlo a casa sua, di tanto in tanto, avendolo ormai posto sotto la sua ala di protezione. E fu proprio così che il giovane artista incrociò lo sguardo con quello della figlia di Profondavalle: la bellissima Prudenzia, che proprio in quegli anni sbocciava all’età adulta.
Un risotto color dell’oro, per suggellare l’amore tra due artisti
I due giovani avevano la stessa età, interessi comuni e mille occasioni per frequentarsi. In breve tempo, tra i due nacque l’amore: un amore che fu benedetto, e anzi incoraggiato, da mastro Profondavalle; ché l’uomo non avrebbe potuto immaginare un partito migliore di quel lavoratore disciplinato e talentuoso.
E fu così che la giovane Prudenzia e l’abile garzone milanese si unirono in matrimonio. Era l’8 settembre 1574, assicura la leggenda (chissà poi perché).
“Sì, ma il risotto allo zafferano che c’entra?”, vi starete giustamente domandando.
Il risotto allo zafferano entra in scena proprio adesso, sottoforma di garbato scherzo da matrimonio orchestrato dai colleghi dello sposo. In fin dei conti, quella love story era stata resa possibile proprio dalla maestria con cui il ragazzo aveva passato mesi della sua vita a stendere pennellate su pennellate di pittura gialla. Agli amici dello sposo, parve divertente restituire il favore colorando di giallo il piatto di portata che sarebbe stato servito al pranzo di nozze: e immaginate il coro di risate in cui scoppiarono tutti i presenti, quando si videro portare in tavola una ciotola di riso… tinta dallo zafferano con un assurdo colore giallo vivo, così acceso da sembrare uscito dalla tavolozza di un pittore!
Poco ma sicuro: la resa estetica c’era tutta; sarebbe stato difficile immaginare un piatto più adatto da servire a un matrimonio tra pittori. La cosa più sorprendente, però, fu il primo boccone di quella prelibatezza: che si rivelò essere dannatamente buona, oltre che esteticamente bella.
Effettivamente, il risotto allo zafferano cominciò a diffondersi in Lombardia nella seconda metà del Cinquecento (forse per influenza della paella valenziana, ipotizzano gli studiosi, facendo notare – e non a torto – che, in quell’epoca, la zona di Milano era sotto il dominio spagnolo). E, effettivamente, per molto tempo il risotto alla milanese fu considerato una delicatezza da gustare solamente nelle grandi occasioni (come i matrimoni, giustappunto), visto l’alto costo dello zafferano: ma il prezzo elevato non bastò a dissuadere i meneghini, il cui amore per quel piatto non venne meno, e anzi crebbe col passar dei secoli.
Tutto merito di una love story nata sotto le guglie del duomo, dice la leggenda: e anche se non è vero, tutto sommato non farà male crederci.