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Come (e quando) nascono le icone?

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Jezus Chrystus na ikonie

Adam Jan Figel | Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 27/02/23

Esistevano già nei primi secoli di Storia cristiana; ed erano oggetti semplici, non particolarmente costosi, che anche i fedeli provenienti dalle famiglie meno abbienti erano in grado di procurarsi senza troppi sforzi. Poi arrivò l’eresia iconoclasta a complicare le cose.

Nel centro storico della città di Kiev, sorge una prestigiosa Accademia Teologica dalla quale hanno transitato, negli ultimi secoli, tutti i più grandi intellettuali ortodossi della nazione. Nel museo annesso all’Accademia, i curatori custodiscono con giusto orgoglio un insospettabile e preziosissimo tesoro: una piccola collezione di icone antiche, risalenti al periodo compreso tra il IV e il VI secolo, che è veramente unica al mondo per la rarità dei pezzi che la compongono. A buon diritto, si può dire che la stragrande maggioranza delle icone orientali ancor oggi esistenti, e provenienti dai primi cinque secoli di storia cristiana, sia conservata proprio in quel museo. A mettere assieme la collezione fu, alla metà del XIX secolo, Porphyrius Uspensky, vescovo ortodosso, archeologo e antichista che, nel corso dei suoi numerosi viaggi in Terra Santa ricercò, acquistò e collezionò una infinità d’opere d’arte sacra, focalizzandosi su quelle che erano state create prima che l’eresia iconoclasta portasse scompiglio in Oriente.

La battuta d’arresto dell’arte sacra, sotto il peso dell’iconoclastia

La collezione Uspensky è particolarmente preziosa proprio per proprio per la rarità degli esemplari che raccoglie. Purtroppo, molte delle opere d’arte sacra prodotte in Oriente nei primi secoli di Storia cristiana andarono incontro a distruzione a causa della furia iconoclasta. L’eresia si diffuse a partire dalla seconda metà del VII secolo: i suoi sostenitori ritenevano che l’abitudine di pregare di fronte alle immagini di Dio e dei santi fosse assimilabile all’idolatria dei pagani, che si prosternavano di fronte alle statue delle loro divinità. Soprattutto in Oriente, dove l’eresia ebbe maggiore diffusione, molte opere d’arte furono distrutte con la violenza (e altre, occultate dai fedeli nel tentativo di preservarle, furono smarrite o comunque danneggiate dallo scorrere del tempo). Naturalmente, l’arte sacra non scomparve del tutto: ma, là dove la lotta iconoclasta era più feroce, i pittori lavorarono nella massima segretezza, costretti dalle circostanze a dare origine a dipinti di estrema semplicità.

Ma come dovevano essere, invece, le icone orientali prodotte prima dell’era iconoclasta? La collezione approntata dal vescovo Uspensky è preziosa proprio perché permette agli storici dell’arte di azzardare una risposta a questa domanda.

«Volti santi» per segnalare la tomba di un santo: alle origini delle icone, i ritratti dei martiri

Le icone orientali dei primi secoli erano, in ogni caso, prodotti di grande semplicità; non mancavano opere d’arte più elaborate, ma si ha l’impressione che gli artigiani tendessero a considerare la funzione dei dipinti (cioè il loro essere utilizzati per agevolare la preghiera) più importante rispetto alla ricerca estetica fine a se stessa. Le icone venivano stese su tavolette di legno: inizialmente con la cera, secondo la tecnica dell’encausto, e successivamente con tempera a uovo. A quanto risulta, venivano dipinte con l’intenzione di segnalare ai fedeli il luogo di sepoltura di un certo santo: erano poggiate sulla sua tomba, secondo quella che gli storici dell’arte indicano come tradizione dei «volti santi», un costume che nasce nelle comunità cristiane dell’Egitto e poi si diffonde in Siria, Terra Santa e Costantinopoli.

Insomma: queste prime icone erano l’omologo delle fotografie dei defunti che ancor oggi facciamo incastonare sulle lapidi tombali dei nostri cari, al cimitero. E anzi: fonti documentarie sembrano suggerire che, nei primi secoli di Storia cristiana, esistesse anche la consuetudine di dipingere i ritratti dei santi direttamente sulle mura del loro sepolcro. Solo in un secondo momento (non prima del V secolo) cominciò a diffondersi l’usanza di creare piccoli ritratti “in formato portatile” da distribuire ai pellegrini che sostavano in preghiera sulla tomba di un qualche santo e desideravano portare a casa un ricordo di quel viaggio devozionale, scollegando così l’icona dalla sua iniziale funzione funeraria.

I ritratti funerari e le maschere dei defunti: e così, la tradizione pagana fu cristianizzata

Verrebbe da dire che i primi cristiani non inventarono nulla. Al contrario, si limitarono a rielaborare, cristianizzandola, una tradizione che era già nota al mondo pagano: in molte zone dell’Impero, esisteva già la consuetudine di poggiare sulle tombe dei propri cari dei piccoli dipinti che ritraevano il defunto. Si trattava di ritratti a busto, quasi sempre realizzati su tavolette ovali; in molte zone dell’Impero, venivano esposti nelle aree deputate al ricordo degli antenati, ma in Egitto (dove la mummificazione era molto frequente) venivano poggiati direttamente sul volto della salma.

In questo caso, i ritratti si trasformavano in vere e proprie maschere funerarie, realizzate su una base dalla forma arcuata per poter essere poggiate sul viso. Gli archeologi ne hanno rinvenuto numerosi esempi, quasi tutti d’età ellenistica, posati tra l’uno e l’altro strato di fasce della mummia, a ricreare la (inquietante) illusione ottica che il defunto avesse gli occhi aperti e stesse guardando verso l’esterno.

Nel 392, un editto emanato da Teodosio rese illegale l’utilizzo di queste maschere funerarie, ormai percepite come qualcosa che andava contro alla religione cristiana; e anche la consuetudine di poggiare ritratti sulle tombe dei defunti perse rapidamente di popolarità. O meglio fu reinterpretata in altro modo; e rivolta, come si diceva, a defunti del tutto eccezionali: i santi. E, assieme a loro, anche la Vergine Maria.

Ma insomma, com’erano le icone dei primi secoli?

A livello artistico, sono molti gli elementi che accomunano i ritratti funerari d’età ellenistica alle prime icone sacre dell’era cristiana. Entrambe le tipologie artistiche si caratterizzano per ritratti a mezzo busto, con volti pensosi, atteggiamento serio, sguardo attento e occhi prominenti, spalancati e non particolarmente espressivi. Il tutto conferisce al soggetto un’espressione di calma contemplazione, come quella di chi è preso da pensieri che ben poco hanno a che vedere con le piccolezze del mondo: uno schema iconografico che certamente ben s’adattava alla creazione di un ritratto funerario, ma che a maggior ragione dovette parere calzante per la rappresentazione di figure celesti.

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, queste prime icone non erano (o meglio: non erano necessariamente) riproduzioni artistiche di particolare pregio. Probabilmente, non occorreva essere particolarmente ricchi per potersi permettere il lusso di un’immagine sacra: accanto a opere d’arte di pregiatissima realizzazione, esistevano anche umili tavolette, il cui formato così piccolo e la cui fattura così semplice doveva dover necessariamente presupporre un prezzo di vendita molto basso. I comuni cittadini se le potevano procurare per pochi danari, nei luoghi di pellegrinaggio o in appositi banchetti sul mercato: e probabilmente sarebbe stato facile scorgerne una (magari anche più d’una) entrando in una qualsiasi casa cristiana, in bella mostra nei locali comuni in cui si riuniva la famiglia.

Arrivò poi l’iconoclastia a frenare questa consuetudine; e quando, sgominata l’eresia, i pittori poterono ricominciare a dedicarsi liberamente alla produzione di arte sacra, lo fecero prediligendo forme stilistiche più ricercate, che finirono inevitabilmente con l’aumentare il costo del prodotto finale. Ma le prime icone nacquero proprio così: come la rielaborazione cristiana di una consuetudine semplice e diffusa, legata alla memoria dei defunti. Un’arte quotidiana semplice e sentita, creata da chi voleva avere sempre vicino a sé il ricordo dei suoi cari in Paradiso: e in fin dei conti, non è questa una descrizione che ben si sposa anche alle immagini dei santi che anche noi teniamo in casa?

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