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Non dimenticare di fare le pulizie di primavera all’anima!

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Lucia Graziano - pubblicato il 25/02/23
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Avete mai pensato alla vostra anima come a un appartamento che periodicamente si impolvera e che va ripulito con una salutare sciacquata d’acqua? Ecco a voi alcune suggestioni sul tema, grazie alla predicazione dei religiosi medievali.

Non ci va poi chissà che cosa, a trasformare una casetta accogliente in un tugurio disordinato: basta qualche giorno di stanchezza in cui rimandano a un indefinito futuro tutte le incombenze meno impellenti. E così, pian piano, la cesta dei panni sporchi si riempie di vestiti di lavare; la polvere impietosa continua ad accumularsi, incurante del fatto che noialtri non si abbia voglia di pulirla; gli schizzi di cibo continuano implacabili a inzaccherare il nostro piano cottura. È inevitabile: le case si sporcano, se c’è qualcuno che ci vive dentro; e non è colpa di nessuno, è così che vanno le cose. È proprio questo il motivo per cui è indispensabile dedicarsi periodicamente alle pulizie domestiche, se non ci si vuole trovare a vivere in un appartamento nel quale sembra che sia appena esplosa la bomba: semplice saggezza di vita quotidiana, che ognuno di noi conosce fin troppo bene.

Ebbene: avreste mai pensato di poter adattare queste considerazioni alla vostra spiritualità? I religiosi del Medioevo ritennero che questa potesse essere una metafora calzante e imbracciarono la penna per offrirci delle meravigliose riflessioni, che potremmo forse sintetizzare sotto uno slogan tipo “in questa Quaresima, non dimenticare di fare le pulizie di primavera all’anima!”.

Se non ti vergogni di lavare i vestiti sporchi, perché dovresti vergognarti di confessare i tuoi peccati?

La suggestione di un’anima che viene ripulita con abbondanti secchiate d’acqua fresca non è, a onor del vero, un’idea che appartiene unicamente alla predicazione medievale. Metafore simili si ritrovano già nella Bibbia: «purificami con issopo e sarò pulito; lavami e sarò più bianco della neve» recita il celebre Salmo 50; ma anche la Lettera agli Ebrei (10, 22) paragona «i cuori purificati da ogni cattiva coscienza» a un «corpo lavato con acqua pura». 

Insomma: i religiosi medievali non inventarono nulla di nuovo, nel ricorrere a questa metafora; è vero però che questo tipo di similitudine divenne molto più frequente negli ultimi secoli del Medioevo. Nel 1215, il quarto Concilio Lateranense aveva ordinato a tutti i cattolici di confessarsi almeno una volta all’anno: un vincolo che non esisteva fino a quel momento, e che non sempre i fedeli avevano recepito con gioia. All’epoca, un buon numero di credenti era ancora legato all’idea errata per cui “la confessione è un rimedio che viene messo a disposizione per chi ha commesso peccati veramente gravi… ma io non ho mica bisogno di confessarmi regolarmente!”: occorreva accompagnare con dolcezza questi fedeli, per favorire in loro un cambio di prospettiva. E l’idea di paragonare l’anima del cristiano a un appartamento che pian piano si sporca e periodicamente va lavato parve essere la scelta vincente, ai sacerdoti medievali. Vediamo qualche esempio. 

Se abbiamo cura di lavarci il corpo periodicamente, perché l’anima dovrebbe ricevere meno attenzioni?

Risale all’Inghilterra del XIII secolo l’Ancrene Wisse, un manuale per anacorete scritto da un anonimo autore maschio (e ripubblicato nel 1929 in edizione critica da un autore maschio niente affatto anonimo: J. R. R. Tolkien, che fu il primo a far conoscere al grande pubblico questa deliziosa operetta). 

In un passo del trattato, scritto per offrire consigli spirituali alle ragazze che si preparano ad abbracciare la vita religiosa, l’autore riflette sulle abitudini igieniche che regolano la vita quotidiana di qualsiasi normale individuo. Partendo dal presupposto che le sue lettrici si lavino le mani almeno due volte al giorno (se non altro, prima dei pasti), l’istruttore invita le fanciulle a dedicare le medesime attenzioni alla pulizia periodica della loro anima. Per una ragazza dabbene, che profonde lodevoli sforzi nel tenere pulito il suo corpo, sarà ragionevole adottare le medesime cure per tenere pulita la sua anima, e senza per questo dover provare vergogna nell’accostarsi periodicamente alla confessione. Del resto – proprio come accade per i corpi, per le case e per gli oggetti di vita quotidiana – non è ragionevole aspettarsi che la propria anima rimanga immacolata a tempo indefinito, se non si interviene di tanto in tanto con una energica lavata. 

Del resto, non è forse vero che qualcosa di simile vale anche per la biancheria? Per quanto si possa fare attenzione, è impensabile che una tovaglia possa essere utilizzata per tanti giorni consecutivamente senza riempirsi di piccole macchie; e infatti, le massaie avvedute lavano con regolarità la biancheria da tavola. Ebbene: lo stesso accade all’anima di un buon cristiano. Una bella sciacquata nell’acqua pura della confessione sarà sufficiente a rimetterla a nuovo anche quando si è un po’ sgualcita.

Quando hai la muffa in casa, lasci che si allarghi o intervieni subito per tamponare il problema?

Nel De doctrina cordis, trattato duecentesco attribuito al frate domenicano Gerardo di Liegi, la confessione viene paragonata ai lavori di manutenzione periodici attraverso cui i popolani liberano le loro case dalle erbacce e dalla muffa, per rimetterle a nuovo (e per impedire che la situazione degeneri, costringendo poi a riparazioni molto più lunghe e onerose). Del resto, è la normale esperienza di vita domestica a consigliare interventi tempestivi quando ci si avvede di qualche problema: le donne sanno bene che, quando un vestito si sporca, sarebbe opportuno lavarlo il prima possibile per evitare che la macchia, seccandosi, si fissi sulla stoffa diventando molto più ostica da ripulire. Ebbene, lo stesso vale per la nostra anima: accostarsi con regolarità e tempestività alla confessione non deve essere motivo di vergogna, ma anzi di lode.

Se non sei sicuro che l’acqua sia potabile, ti verrebbe mai voglia di berla?

Il pozzo di Giacobbe è una raccolta di novantacinque sermoni composta nell’Inghilterra del tardo XV secolo. Rivolgendosi a una popolazione fortemente rurale, l’anonimo autore (probabilmente un parroco di campagna) ricorre a una ampia gamma di metafore ispirate alla vita d’un villaggio medievale, per sottolineare la necessità di prendersi cura della propria anima. In una di queste, il curato di campagna invitava i fedeli a riflettere sulle tecniche utilizzare per costruire un pozzo: innanzi tutto, è bene scegliere un posto nel quale si abbia la ragionevole certezza la falda acquifera non sia facilmente contaminabile. E dunque allo stesso modo sarà bene che un cristiano abbia cura di edificare la sua anima luogo che sia ben lontano da tutti quei siti (reali o metaforici) che sono noti per la loro sozzura – oggi le definiremmo “occasioni prossime di peccato”.

Ma non solo: l’autore sottolinea che i pozzi vanno sottoposti ad accurata manutenzione. Spesso, vengono protetti con un coperchio che impedisce alle foglie di caderci dentro; e i contadini avveduti controllano periodicamente che non vi sia della sporcizia accumulatasi nell’imboccatura, poiché l’esperienza dolorosamente insegna quanto sia facile che un elemento esterno arrivi a contaminare acqua altrimenti limpida, rendendola non più potabile. Ebbene, lo stesso accade con la nostra, nel momento in cui non abbiamo cura di sottoporla a manutenzione con controlli periodici – oggi li definiremmo “esami di coscienza”. 

Talvolta, il peccato è come un’alluvione che riempie tutto di fango e detriti

E il tema delle falde acquifere contaminate che spandono i loro effetti venefici è presente anche nel De institutione inclusarum di Aelred di Rievaulx, composto alla metà del XII secolo. In questo caso, la suggestione dei danni causati dall’acqua sporca si trasforma nella descrizione di un’alluvione fluviale, che rompe le dighe e porta distruzione in tutti i luoghi che tocca, rischiando concretamente di affogare i malcapitati che (per sfortuna o per imprudenza) vi si ritrovano presi in mezzo. 

Con umiltà, il monaco stesso ammette d’essersi trovato in simili ambasce quando (in giovinezza, non avendo ancora abbracciato la vita religiosa) era stato completamente sommerso dal fiume della concupiscenza, che l'aveva avvinto e tramortito trascinandolo nella sua fortissima corrente. Il giovane aveva fatto molta fatica a uscirne e a ripulirsi di tutta la lordura che l’acqua sporca aveva lasciato su di lui: del resto, le alluvioni portano con sé fango e detriti che rimangono ad appesantire il paesaggio anche quando l’acqua si ritira. Meglio cercare di non ritrovarsi in condizioni così drastiche, dalle quali si rischia di non uscire indenni e che, nella migliore delle ipotesi, richiedono poi un lavoro durissimo per ripristinare lo status quo

Del resto, però, quella di Aelred è una testimonianza piena di speranza: dopo essersi ripulito dalla lordura, l’uomo entrò in convento e divenne monaco; oggi la Chiesa lo riconosce come santo. 

Insomma: anche dalle peggiori catastrofi ci si può riprendere. Basta armarsi di buona volontà, di buona lena… e di quelle acque pulite e limpide che scorgano dal sacramento della confessione.