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Corsa campestre con pancake: i giochi di Carnevale d’Oltremanica

PANCAKE

foodstck | Shutterstock

Lucia Graziano - pubblicato il 21/02/23

Nel Regno Unito, il Martedì Grasso è popolarmente chiamato “Pancake Day”; e i pancake sono protagonisti di molti dei giochi tipici del Carnevale inglese. Le radici di questa curiosa usanza? Affondano nel cristianesimo medievale!

Siete stufi dei soliti dolci di Carnevale? Le frappole vi sono venute a noia, i fritti sono troppo pesanti, o semplicemente vorreste provare qualcosa di diverso? Beh: quest’anno potreste decidere di darvi alla cucina internazionale, facendo gran scorpacciate di pancake. Oltremanica, questi dolcetti sono così strettamente legati al Carnevale da aver dato il loro nome al Martedì Grasso: ancor oggi, molti londinesi lo chiamano, scherzosamente, “Pancake Day”. 

Ma qual è il legame tra i pancake e il Carnevale?

Beh, la spiegazione sta negli ingredienti che lo compongono: farina e zucchero, ovviamente, ma anche latte, uova e burro. 

Ed effettivamente, i libri di cucina che danno istruzioni sul miglior modo per preparare i pancake inglesi di Carnevale offrono ricette che sono particolarmente cariche di ingredienti d’origine animale (la preparazione standard prevede 125 gr. di farina, quattro uova, un bicchiere di latte, un cucchiaio di zucchero e 20 grammi di burro. Niente male!). 

E tanto basterebbe a costituire una spiegazione: i pancake furono il dolce attraverso cui gli Inglesi medievali scelsero di dare fondo a tutti i “cibi proibiti” che ancora avevano in dispensa, prima che il rigore del digiuno quaresimale imponesse loro di rinunciare a certi ingredienti. Nel Medioevo, anche le uova e i latticini rientravano nel novero degli alimenti proibiti o consigliati: e i pancake dovettero parere ai nostri cugini d’Oltremanica un modo rapido e sbrigativo per impiegare ciò che ancora avevano da parte.

In fin dei conti, anche i nostri antenati fecero qualcosa di simile qui in Italia, inventando una marea di frittelle da consumare nei giorni di Carnevale. Sotto sotto, anche i dolci della tradizione nostrana rispondevano allo stesso bisogno: consumare, entro il Mercoledì delle Ceneri, tutto quel burro e tutte quelle uova che non sarebbe più stato possibile gustare da quel momento in poi.

Di quando la Quaresima imponeva una dieta vegana

“Ma come!”, potrebbe chiedersi qualcuno. “Ma quindi, una volta, durante la Quaresima, la gente doveva rinunciare anche alle uova e al burro? Non bastava la normale astinenza dalle carni?”.

In effetti, no. Nei primi secoli di Storia cristiana, le norme alimentari che regolavano l’astinenza quaresimale erano molto più rigide di quelle che conosciamo oggi (o che comunque ci hanno descritto i nostri nonni): le autorità ecclesiastiche domandavano ai fedeli di astenersi da tutti i prodotti di origine animale. Insomma, erano banditi dalla tavola di un buon cristiano la carne, le uova, il latte e i latticini e addirittura i pesci (!): di fatto, si trattava di una dieta vegana ante litteram, sicuramente molto mortificante in un’epoca in cui la gente non aveva la possibilità di entrare al supermercato e scegliere, a suo gusto, frutta e verdura fuori stagione. 

Inizialmente, queste norme così stringenti erano state pensate per gruppi di fedeli molto ristretti: monaci e sacerdoti, essenzialmente. Ma, entro la fine del IV secolo, le autorità ecclesiastiche avevano cominciato a proporre (e poi imporre) anche al laicato questo stesso tipo di mortificazione, che effettivamente fu adottato per buona parte del Medioevo. Quasi subito, la Chiesa ritenne che il pesce fosse un alimento che poteva essere reintrodotto nella dieta quaresimale senza troppo incomodo, permettendo così ai laici di tornare a consumarlo; ma il divieto che riguardava uova e latticini restò in vigore molto più a lungo.

Il rigore si ammorbidì solamente nel tardo Medioevo: furono dapprima singole diocesi a permettere ai loro fedeli di consumare derivati animali, magari in cambio di qualche altra mortificazione da scegliere di volta in volta. E poi, pian piano, la Chiesa valutò che l’astinenza dalle carni fosse di per sé più che sufficiente ad accompagnare la preghiera in quel periodo di ascesi: uova e latticini furono riammessi nella dieta quaresimale, e anzi finirono in alcuni casi col diventarne caposaldi. Ma effettivamente, per buona parte del Medioevo, la cristianità ebbe a vivere secondo regole diverse: e molti dei dolci che ancor oggi associamo al periodo di Carnevale nacquero proprio dalla necessità di dar fondo alle scorte di uova e burro, negli ultimi giorni in cui era possibile mangiare quei due alimenti.

La Corsa con Pancake: una dolcissima tradizione inglese

Ma, oltremanica, i dolci di Carnevale non sono unicamente fatti per essere mangiati. Per antichissima tradizione, i pancake del Martedì Grasso sono parte integrante di molti giochi carnascialeschi: per esempio, nel refettorio della Westminster School di Londra, i dolcetti vengono poggiati sopra un’alta barra di metallo e lasciati lì, a disposizione degli scolari. Per guadagnare l’agognata porzione, gli studenti dovranno arrampicarsi lungo quel palo della cuccagna (oppure provare ad agguantare un dolce con un salto sufficientemente alto): un gradito intermezzo al rigore della vita scolastica, in pieno stile carnascialesco!

Ma i giochi più caratteristici del Carnevale britannico sono probabilmente le gare di corsa campestre con pancake che hanno luogo in diverse città del Paese. La più antica e popolare è quella che ogni anno si tiene nel villaggio di Olney, nel Buckinghamshire: i contendenti (rigorosamente vestiti con un grembiule da cucina e una cuffietta da cuoco) devono correre i circa 400 metri che li separano dal sagrato della chiesa parrocchiale tenendo in mano una padella nella quale è adagiato un vero pancake. La sfida, ovviamente, consiste nel non far cadere il dolce a terra – e anzi, nel farlo “saltare” periodicamente nella padella, proprio come fanno in casa i cuochi provetti per evitare che la preparazione si bruci, senza mai smettere di correre. Naturalmente, vincerà il corridore che per primo riuscirà a tagliare il traguardo senza essersi perso per strada il pancake: e i dolci che saranno arrivai indenni alla fine della gara saranno serviti agli astanti, tra grandi risate. 

Da dove nasce questa antica tradizione?

Ovviamente, nessun lo sa: una buffa leggenda spiega però che l’usanza sarebbe nata nel 1445, a causa della sbadataggine di una massaia un po’ distratta. La signora – una pia donna che non mancava mai ai suoi doveri religiosi – s’era ripromessa di andare a confessarsi entro la fine del Carnevale, in maniera tale da poter iniziare la Quaresima con la coscienza a posto e l’anima alleggerita da suoi peccatucci. 

Ma, il Martedì Grasso, s’era attardata a preparare pancake per la famiglia e non s’era resa conto dello scorrere del tempo: a richiamarla al dovere erano stati i rintocchi delle campane della chiesa, che suonavano per annunciare l’ora dei Vespri. E la donna aveva sussultato, rendendosi conto che ormai stava per finire il lasso di tempo che il parroco aveva fissato per le confessioni: senza perdere un istante, si era precipitata fuori dalla porta di casa senza nemmeno togliersi il grembiule e la cuffietta da cucina, lanciandosi in una folle corsa verso la chiesa. Solo quando era già a metà strada tra casa sua e la parrocchia s’era resa conto che, nella fretta, s’era persino dimenticata di posare la padella nella quale stava facendo cuocere l’ultimo pancake della giornata, e che aveva in mano proprio nel momento in cui aveva udito il suono delle campane. Dimentica di tutto e di tutti, s’era precipitata in chiesa con la pentola ancora in mano (!): e quante risate s’era fatto il parroco, trovandosi di fronte quella vecchietta col fiatone che (padella in mano e grembiule addosso) implorava “aspetti, aspetti, don! Ci sono anche io, per la confessione!”.

Ebbene sì: anche i giochi di Carnevale possono essere, a loro modo, piccole forme di catechesi; e quasi quasi verrebbe voglia di importare la Corsa con Pancake anche nei nostri oratori, avendo cura di raccontare ai ragazzi la leggenda che l’ha originata. Chi ha orecchi per intendere, di certo intenderebbe! 

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