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La prima domanda che ho sentito è stata: “Dov’è Dio?”

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Syrian women and children sit wrapped in blankets outside collapsed buildings on February 7, 2023, in the town of Jandairis, in the rebel-held part of Aleppo province, as search and rescue operations continue following a deadly earthquake. - The death toll from the massive earthquake that struck Turkey and Syria rose above 8,300, official data showed, with rescue workers still searching for trapped survivors. (Photo by Bakr ALKASEM / AFP) - EN_01553763_1096.jpg

BAKR ALKASEM | BAKR ALKASEM/AFP/East News

KAI - Katolicka Agencja Informacyjna - pubblicato il 15/02/23

Una conversazione toccante con un parroco di Aleppo

Un terremoto di magnitudine 7,8 ha scosso il sud della Turchia e parte della Siria lunedì scorso, seguito da una serie di repliche, una delle quali di magnitudine 7,5. Le vittime hanno superato le 35.000 unità, migliaia di persone sono rimaste senza casa e moltissimi sono gli edifici crollati.

Piotr Dziubak della KAIha intervistato padre Bahjat Elia Karakach OFM, parroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo.

Qual è la situazione dopo il terremoto ad Aleppo?

Stiamo iniziando a risvegliarci dall’incubo del terremoto e ad analizzare la nostra realtà, per valutare esattamente i danni. Abbiamo verificato lo stato delle abitazioni. Molte non sono più in condizioni per poterci vivere. Per questo, ci sono molte famiglie sfollate per ragioni di sicurezza.

In molti luoghi, soprattutto appartenenti alla Chiesa, accogliamo le persone rimaste senza un tetto. Sono in prevalenza scuole e chiese. Ora bisogna verificare e decidere chi può tornare a casa. Per coloro per i quali è impossibile sorge un grande problema. Stiamo cercando, e continueremo a farlo, di aiutarli a trovare una nuova sistemazione, o almeno una soluzione temporanea.

In questo momento stiamo cercando di determinare quante famiglie sono rimaste senza un tetto, ma praticamente tutte hanno bisogno di aiuto. Quasi tutti gli edifici hanno subìto danni, e non possono essere lasciati senza restauro. Abbiamo davanti a noi molto lavoro per aiutare la gente a tornare a una normalità nella vita quotidiana, se si può dire che dopo 12 anni di guerra la vita ad Aleppo possa essere normale.

Nei 12 anni della guerra in Siria, Aleppo ha sofferto molto, soprattutto per il comportamento dei Russi del cosiddetto “Gruppo Wagner”, che vi ha commesso molte atrocità, assassinando e distruggendo sistematicamente la struttura della città. Ora un terremoto fortissimo, uno dei più gravi nella storia della regione. È difficile non chiedersi “Dio, perché hai abbandonato la Siria, Aleppo?”

Ci penso continuamente. Quando diciamo che il terremoto è stato di 7,8 gradi nella scala Richter è una misura oggettiva, ma non è esatta. La sensazione della forza di un terremoto dipende da chi vive sul posto e in quali condizioni. Chi abita in una casa antisismica sarà molto spaventato, ma alla fine non ha sperimentato le conseguenze drammatiche di un terremoto. Chi abita in una casa già malridotta, invece, è sicuramente sotto le macerie.

Si può dire che c’è una misura soggettiva nella forza di un terremoto. Quando parlo di cattiva costruzione delle abitazioni, non mi riferisco solo alle opere di muratura. Tutta la società siriana attuale è in una situazione molto tesa ed è strutturalmente debole. Per alcuni il sisma è stato di 7,8 gradi, ma per noi a livello psicologico è stato di 9 o 10.

Dobbiamo essere le mani di Dio per altre persone

Com’è sopravvissuto personalmente a questo cataclisma?

Appena sono corso dal monastero in strada pioveva, era buio, ho notato che la gente correva verso la chiesa. Il terremoto continuava. La prima domanda che ho sentito da una bambina è stata: “Dov’è Dio?” Non ho risposto.

In quel momento cercavamo un rifugio. Mi rendo conto che è una domanda molto difficile, anche per me. Non posso rispondere. Ho detto alla gente in chiesa “Anziché porci domande sulla fede, sull’esistenza di Dio, dobbiamo rispondere con l’azione. Ora dobbiamo agire come se fossimo le mani di Dio”. Questa è l’unica risposta possibile.

Dobbiamo essere le mani di Dio per altre persone. Non possiamo concentrarci sulle nostre ferite in questo momento. Dobbiamo essere generosi e solidali con gli altri. Forse in futuro ci si potrà permettere il lusso delle risposte teologiche. Non lo sappiamo.

Credo che in questo contesto la presenza della Chiesa sia fondamentale. Per le persone, è l’unico punto di riferimento in materia materiale e spirituale. Quando il terremoto è iniziato, dov’è corsa la gente? Alla nostra chiesa.

Cerchiamo di essere presenti, di stare vicini alle persone, dando speranza, ma la speranza dev’essere affiancata dalle possibilità. Le opportunità in Siria erano già prima molto limitate. Molte persone volevano lasciare il Paese, cercando un’opportunità per costruirsi un futuro in un altro luogo.

Non so cosa succederà ora. Probabilmente solo la gente più povera resterà qui. La nostra missione non avrà fine. I più poveri fanno parte del popolo di Dio.

Non ci sono aiuti da parte degli organismi internazionali

L’embargo contro la Siria è ancora in vigore. Nel contesto del terremoto, quali aiuti materiali concreti stanno arrivando ad Aleppo?

Arrivano ben pochi aiuti. Sono qui e lo vedo. Pensavo che le organizzazioni internazionali sarebbero state più presenti. Abbiamo cercato materassi fin dal primo giorno del terremoto. Finora non ce n’è nessuno. Non possiamo far fronte a tutte le necessità. Tutti i giorni riceviamo garanzie del fatto che agiranno, ma accade appunto ogni giorno. Gran parte degli aiuti che ci arrivano viene da Siriani di altre parti del Paese. Finora non abbiamo visto alcun aiuto internazionale.

Bisogna distinguere dagli aiuti che ci danno gli amici o le organizzazioni benefiche, che ci arrivano con grande difficoltà. In primo luogo si tratta di aiuti finanziari. Grazie a questi, possiamo comprare le cose più urgenti. Permettetemi di ripeterlo: non abbiamo aiuti da parte delle organizzazioni internazionali.

Quando riceve del denaro, riesce a comprare ciò che è necessario? Medicine, cibo…

Nel bazar di Aleppo riusciamo ancora a comprare tutto quello di cui abbiamo bisogno, ma temo che le cose finiranno presto. Nessuno conosce il futuro. Siamo costantemente preoccupati per il nostro destino. Se non ad Aleppo, comunque, in altri luoghi possiamo comprare quello che ci serve.

Il Governo siriano sta facendo qualcosa di concreto per aiutare le vittime del terremoto?

Stanno cercando di fare qualcosa. Il sindaco della città mi ha chiamato spesso chiedendo di cosa avevamo bisogno. Ci hanno portato alcune delle cose che ci servivano. La nostra cucina prima del terremoto serviva 1.200 pasti al giorno, ora sono quasi 3.000. Per cucinare serve gas. Abbiamo bisogno di farina, olio, riso. Il sindaco ci ha aiutati distribuendo pane. Va ricordato che le istituzioni del nostro Paese sono molto deboli e non hanno fondi sufficienti. È difficile aspettarsi qualcosa da loro.

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